Per la Bce difficile mantenere l’inflazione al 2%: i rischi su mutui, prestiti e stipendi

La presidente della Bce, Christine Lagarde, avverte in merito alle difficoltà nel mantenere l'inflazione al 2%. La minaccia, per nulla velata, è quella del rialzo dei tassi

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 12 Marzo 2025 12:55

Christine Lagarde, presidente della Bce, ha lanciato l’allarme: sarà estremamente difficile mantenere l’obiettivo dell’inflazione al 2% nell’attuale contesto economico.

I dazi di Donald Trump sulle merci europee da una parte e i venti di guerra non ancora sopiti che spingeranno le nazioni Ue a maggiori investimenti nella Difesa potrebbero avere effetti sull’inflazione. Il che avrebbe a sua volta effetti sulle politiche monetarie della Bce.

Christine Lagarde sull’inflazione

I dazi statunitensi sulle importazioni europee, si prevede, potrebbero avere un doppio effetto: da un lato far aumentare i prezzi, dall’altro ridurre la domanda di esportazioni Ue, con possibili effetti deflazionistici.

Lagarde sottolinea che, sì, la Bce proseguirà nel suo impegno costante per la stabilità dei prezzi, cercando di adattarsi alle nuove criticità. Ma ciò nonostante l’Eurozona, che è fortemente dipendente dal commercio e dalle importazioni energetiche, è particolarmente esposta ai nuovi shock economici.

In questo scenario “di incertezza economica e geopolitica” definito “eccezionalmente alto” i vertici della Bce non possono “garantire che l’inflazione sarà sempre al 2%”. Così ha dichiarato Christine Lagarde nel suo intervento alla 25ª edizione della conferenza The Ecb and its watchers a Francoforte.

Da qui l’invito ai banchieri centrali che “dovranno dimostrare agilità nell’adattare il loro orientamento e i loro strumenti ai cambiamenti delle circostanze, oltre ad avere la curiosità intellettuale per mettere in discussione i principi consolidati e la saggezza convenzionale”.

Sono due le incognite all’orizzonte: una riguarda la possibilità che la frammentazione degli scambi possa destabilizzare il mercato. C’è poi il nodo energetico, con l’area dell’euro che dipende fortemente dalle importazioni di energia: le tensioni geopolitiche potrebbero determinare una maggiore volatilità nei tassi di cambio e nei prezzi dell’energia e delle materie prime.

Perché l’inflazione deve rimanere al 2%

Nel periodo dalla grande crisi finanziaria conseguente allo scoppio della guerra in Ucraina, che ha avuto i suoi effetti principali sul mercato energetico, la Bce ha agito alzando i tassi per contrastare l’inflazione crescente. Questo ha reso più costoso prendere soldi in prestito

Un’inflazione al 2% viene giudicata ottimale dalle banche centrali. L’inflazione è il valore che indica il potere d’acquisto della moneta. Un’inflazione superiore al 2% (che si traduce in un’impennata dei prezzi) rallenta i consumi e impoverisce la collettività. Un’inflazione inferiore al 2% (la deflazione) spinge famiglie e aziende a rimandare spese e investimenti nella speranza di spendere ancora meno. Un’inflazione fissa al 2% è dunque considerata il punto di equilibrio ideale.

Che succede se aumenta l’inflazione

Se l’incertezza internazionale dovesse far galoppare l’inflazione, la Bce reagirebbe alzando i tassi.

Ci sarebbe un effetto immediato sui mutui: i mutui a tasso variabile, dipendendo dall’Euribor, vedrebbero aumentare le loro rate. I mutui a tasso fisso già stipulati rimarrebbero ancorati alle condizioni stabilite al momento della firma, mentre si vedrebbero condizioni meno vantaggiose sui mutui fissi di nuova stipula.

Per quanto riguarda i prestiti, le famiglie troverebbero meno vantaggioso comprare a rate dal momento che il rialzo dei tassi renderebbe più costosi i finanziamenti. Le aziende rallenterebbero i loro investimenti, dati i maggiori costi nell’accesso al credito.

Ma un’inflazione più alta si tradurrebbe immediatamente in una perdita del potere d’acquisto sui salari, per i quali non è previsto l’adeguamento automatico e immediato, e di conseguenza sugli acquisti e sulle entrate per lo Stato relative all’Iva.