In Italia, specie negli ultimi mesi, si è fatto un gran discutere sugli affitti brevi, in quanto metodologia di locazione rivista dal governo Meloni per cercare di andare incontro alle richieste degli operatori turistici tradizionali che, propria a causa di essa, hanno avuto un calo dei loro fatturati. Ricorrere all’affitto breve, infatti, conferiva e conferisce in parte anche adesso, delle agevolazioni fiscali importanti per i proprietari, che dunque potevano godere di maggiori introiti in proporzione rispetto ai normali alberghi. Malgrado i benefici, tuttavia, i dati recenti pubblicati da Eurostat e dal Centro studi Rescasa-Confcommercio, mostrano come nelle grandi città italiane siano molte le case vuote: un appartamento su tre a Milano e uno su due a Roma.
Affitti brevi, i dati Eurostat su Roma
Secondo i numeri diffusi da Eurostat, l’ufficio statistico della Commissione europea, Roma è stata nel 2023 la seconda al mondo per numero notti prenotate sulle quattro principali piattaforme dedicate agli affitti brevi, ovvero Airbnb, Booking.com, Tripadvisor and Expedia Group. Il dato numerico rende più visibile il fenomeno: nella Capitale d’Italia il numero di notti per affitti brevi è passato da 8.574 milioni del 2022 a 11.768 milioni nel 2023. Il balzo è stato pari dunque al 37,3 per cento, con la sola Parigi che ha avuto numeri più alti di Roma.
Le case vuote nelle grandi città
Indicativi, in tema di affitti brevi, sono tuttavia anche i numeri elaborati dal Centro studi Rescasa-Confcommercio. Secondo quest’ultimi a Milano solo il 50 per cento degli appartamenti disponibili risulta occupato. Il dato è stato ottenuto partendo dal numero di appartamenti presenti sulle principali piattaforme online, circa 20mila, delle quali soltanto la metà negli ultimi 12 mesi ha ottenuto dei tassi d’occupazione significativi. Per la restante parte si è registrato un utilizzo marginale dell’immobile o un completo inutilizzo, con gli appartamenti che sono rimasti vuoti. Numeri simili, secondo lo studio, possono essere individuati anche in altre grandi città del Paese, come Napoli, Firenze e Roma. Tale percentuale di inutilizzo mostra come, in realtà, la carenza abitativa e la volontà di improntare un business sulle seconde o terze case da mettere in affitto breve sia una pratica non del tutto seguita dai proprietari.
Affitti brevi, i limiti italiani
A fornire i motivi dell’alta percentuale di immobili vuoti in Italia è stato Francesco Zorgno, presidente di CleanBnB Spa, il più grande gestore italiano di immobili in affitto breve, ben 2.600 unità in 80 località italiana. Per l’esperto, gli italiani non affitterebbero per brevi periodi i loro immobili per “una pura questione di mercato”. “Oggi – ha detto Zorgno al Corriere – gli ospiti non accettano soluzioni al di sotto di determinati standard, non vogliono correre rischi”. C’è poi un altro motivo, ovvero “l’incapacità degli host non professionali di tenere aperto per lunghi periodi o di essere efficienti con tariffe dinamiche”. “Assistiamo – ha continuato il presidente di CleanBnB Spa – a una grande segmentazione nel mondo degli affitti brevi, ma a vincere sono solo coloro che operano con elevati standard e pieno rispetto delle regole”. E ancora: “Secondo i dati in nostro possesso e la nostra esperienza nel settore degli affitti brevi, possiamo dire che solo gli immobili gestiti professionalmente possono avere tassi di occupazione significativi”.