Putin contro il dissenso: la strategia dello “zar” per reprimerlo

La Russia, dopo l’invasione dell'Ucraina, ha soffocato ogni forma di opposizione. Così il presidente Putin censura chiunque la pensi diversamente da lui

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Continua la repressione del Cremlino nei confronti di chi si oppone all’invasione russa in Ucraina. Ufficialmente, Mosca ha fatto sapere che punirà severamente chi diffonde notizie false sulla guerra. In pratica, l’inasprimento delle pene colpirà soprattutto gli oppositori e coloro i quali la pensano diversamente dallo zar, impegnato a portare avanti la sua propaganda e evitare che il malcontento si diffonda.

Non a caso, la decisione presa dal presidente a marzo di bloccare l’accesso a Facebook e ai principali organi di informazione stranieri e di promulgare una legge per punire chiunque diffonda “informazioni false” con fino a 15 anni di carcere, è arrivata proprio quando lo Stato si è trovato vicino al fallimento, dovendo fare i conti con una delle peggiori crisi degli ultimi decenni inasprita dalle pesanti sanzioni occidentali e dai blocchi in Ue. Temendo di perdere consensi, quindi, è stato deciso di reprimere ogni forma di opposizione.

Cosa rischia chi si oppone a Putin

La legge firmata da Vladimir Putin è stata etichettata da molti come una legge contro il libero pensiero, e forse non ci sono altri modi per descriverla. Di fatto, il presidente ha così criminalizzato qualsiasi tipo di opposizione pubblica, bloccando le notizie indipendenti sulla guerra contro l’Ucraina. Entrando in vigore il giorno dopo la promulgazione, tale legge potrebbe rendere un crimine semplicemente chiamare “guerra” il conflitto in corso in Ucraina, dato che il Cremlino continua ad affermare che si tratta di una “operazione militare speciale”. E tale divieto vale per i quotidiani cartacei e online, i magazine di ogni tipo, i telegiornali e i notiziari, ma è stato esteso anche all’uso dei social media.

Per evitare di finire in carcere, quindi, molti corrispondenti stranieri hanno lasciato il Paese e i media russi che non appoggiano il regime hanno deciso di chiudere.

La decisione è stata un duro colpo per la libertà individuale in Russia, nonostante l’autoritarismo di Putin in questi anni i social occidentali come Facebook sono rimasti accessibili, permettendo anche uno scambio di opinioni diverso e non controllato. Con la chiusura della piattaforma, ora i siti più popolari ancora accessibili sono VKontakt, Twitter, YouTube e Instagram. Gli analisti però si aspettano un ulteriore inasprimento delle restrizioni, che probabilmente sposterà gli utenti verso l’app di messaggistica e social network Telegram, che il Cremlino ha tentato di bloccare nel 2018 senza riuscirci.

Come Putin sta cercando di controllare e fermare il dissenso

La Camera bassa del Parlamento, la Duma di Stato, ha approvato a marzo, all’unanimità, la legge che criminalizza le “false informazioni” sulle forze armate, Vyacheslav Volodin, portavoce della Duma, ha affermato che secondo la nuova legge “coloro che hanno mentito e fatto dichiarazioni che screditano le nostre forze armate saranno costretti a subire punizioni molto dure”.

Il testo della nuova legge offre pochi dettagli su ciò che costituisce un reato, lasciando ampio margine di interpretazione, pertanto qualsiasi tipo di pensiero diverso o non gradito sull’invasione in Ucraina potrebbe essere trattato come un crimine. Secondo Amnesty International, sono tre i punti chiave della strategia messa in atto da Putin per reprimere e fermare il dissenso:

  • arresti di massa dei manifestanti, oltre 15 mila persone (tra cui 133 bambini) sono state arrestate per aver preso parte a manifestazioni pacifiche in strada;
  • censura e riduzione al silenzio dei media indipendenti, chiunque faccia informazione (corretta) sulla guerra deve affrontare un numero assurdo di accuse, spesso arbitrarie, solamente per aver espresso un’opinione;
  • leggi per limitare la libertà di espressione, approvate a partire dal 4 marzo, così i giornalisti che anche solo scrivono o pronunciano le parole “guerra” e “invasione” rischiano fino a 15 anni di carcere.

Come riportato da Amnesty: “La repressione del dissenso e delle voci indipendenti in Russia ha raggiunto livelli allarmanti. Manifestare per la pace ed esprimere dissenso contro l’invasione dell’Ucraina sta mettendo a serio rischio gli attivisti russi, infatti la maggior parte non si sente più al sicuro a protestare”. Per questo sono state organizzate diverse raccolte firme e manifestazioni in piazza in tutta Italia.