Le ripercussioni e gli effetti della guerra in Ucraina si fanno sentire sempre di più negli ambiti più diversi. Oltre alla tragedia umanitaria dei civili uccisi e delle migliaia di profughi e alla crisi economica ed energetica globale, si profila all’orizzonte anche la tanto temuta emergenza alimentare.
Già intervenuta con varie iniziative per contrastare le prime due problematiche, l’Europa sta mettendo a punto un piano anche per l’ultima e più pressante minaccia. Un piano rischioso che comporta il trasporto via mare di cereali, per il cui export l’Ucraina è in cima alle classifiche mondiali.
Il piano europeo per scortare il grano ucraino via mare
Quella russo-ucraina si sta dunque rivelando sempre di più (anche) una guerra del grano. E l’Unione europea sembra voler finalmente prendere l’iniziativa, proponendo un’alternativa alla finora poco efficace strategia di trasportare i cereali ucraini via terra attraverso la Polonia.
In una bozza operativa che dovrebbe essere discussa al prossimo Consiglio europeo lunedì 30 maggio, Bruxelles parla di voler scortare il grano di Kiev attraverso il Mar Nero utilizzando navi militari. Una decisione inedita, dato che si tratterebbe del primo coinvolgimento diretto di forze armate dell’Ue nel conflitto in corso. In precedenza Bruxelles aveva elaborato altre strategie, dall’aumento dei mezzi a disposizione alla maggiore flessibilità alle dogane, dalla priorità sulle rete europea per i treni provenienti dall’Ucraina all’accesso ai depositi comunitari per i cereali ucraini.
L’obiettivo comunitario è dunque quello di sbloccare le milioni di tonnellate di cereali in attesa di esportazione bloccate in Ucraina, per consentire alle derrate di raggiungere i mercati di destinazione nei Paesi più a rischio di conseguenze sistemiche per la crisi. Nel documento, si legge che il Consiglio europeo “condanna severamente l’appropriazione illegale della produzione agricola ucraina da parte della Russia”. Per questo viene chiesto a Mosca “di porre fine al limite massimo consentito di esportazione di generi alimentari, soprattutto nella regione di Odessa“.
Possibili attacchi da parte della Russia: un rischio reale per l’Ue?
Secondo il quotidiano El País, l’operazione europea comporterebbe il “rischio estremo” di innescare un conflitto con la Marina militare russa che presidia il porto di Odessa, principale sbocco sul Mar Nero dal quale passa il 95% dell’export di grano ucraino. La possibilità di uno scontro armato è dunque reale (e reso più temibile dai test russi di un nuovo missile ipersonico, come abbiamo spiegato qui).
Dal canto suo, l’Ue sembra più preoccupata dal rischio di crisi alimentare che da quello di escalation militare. Secondo Bruxelles, la carestia potrebbe infatti portare a una profonda crisi umanitaria per i Paesi che più dipendono dalle esportazioni di grano ucraino. Una questione che ci riguarda letteralmente da vicino, visto che molti di questi Stati si trovano nel bacino del Mediterraneo.
Crisi del grano, i Paesi più esposti e le rotte alternative
La Tunisia, ad esempio, importa dall’Ucraina il 53% del proprio fabbisogno di grano, mentre la Libia il 44% e l’Egitto il 26%. La crisi alimentare potrebbe aggravare l’emergenza economica e sociale delle nazioni africane, il che a sua volta provocherebbe ulteriori ondate migratorie verso l’Italia e l’Europa. Senza contare che anche il nostro Paese dipende dall’export ucraino, seppur in misura molto più contenuta rispetto ad altre nazioni: 2,5% per il grano duro, 5% per il grano tenero e 15% per il mais.
In generale, sono 38 i Paesi nel mondo che versano in una crisi alimentare e che dipendono in maniera totale dal grano russo o ucraino. Tra i più esposti ai rischi ci sono Yemen, Sudan, Nigeria ed Etiopia, ma anche Eritrea, Somalia, Madagascar, Tanzania e Congo (dei Paesi più a rischio carestia avevamo parlato anche qui).
Con i porti ucraini bloccati, l’export di cereali ucraini si snoda per forza di cose su rotte alternative. Il trasporto avviene principalmente su ferrovia e sfrutta le confinanti Moldavia e Polonia.
Il tentativo di mediazione di Draghi
Il rischio di escalation è stato paventato proprio nei giorni successivi al colloquio telefonico tra Mario Draghi e Vladimir Putin, organizzato per tentare una mediazione tra il presidente russo e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky.
Quello che voleva (e doveva) essere il primo passo verso un accordo di pace si è però rivelato fallimentare (l’Italia ha inoltre elaborato un piano in quattro mosse per porre fine alla guerra: ne abbiamo parlato qui). Subito dopo i colloqui, Putin è infatti tornato imputare la colpa della crisi alimentare alle sanzioni imposte da Europa e Stati Uniti.
La proposta italiana prevedeva il “controllo delle rotte” delle navi cargo che partono cariche di grano dal porto ucraino di Odessa. La mediazione si è però arenata per la richiesta russa di “conoscere in anticipo i porti di destinazione” e di “stabilire chi e che cosa può partire e quando”. Una condizione che difficilmente Zelensky vorrà accettare anche in futuro.
I costi (enormi) della guerra del grano
Il conflitto rischia di far crollare definitivamente quello che è da sempre considerato il granaio d’Europa (e del mondo). Nel 2021 l’Ucraina è stata il primo esportatore mondiale di grano, coprendo insieme alla Russia il 28% del mercato globale, e il primo produttore di semi di girasole. Fino all’invasione russa, il Paese esportava ogni anno 18 milioni di tonnellate di grano, 24 milioni di tonnellate di mais e quasi cinque milioni di tonnellate di orzo, secondo i dati dell’International Grains Council.
L’inizio della guerra è poi coinciso con un balzo del prezzo del grano, aumentato di oltre il 35% rispetto a inizio 2022 con effetti a cascata su tantissimi prodotti alimentari. Secondo le stime di Coldiretti, il conflitto è già costato oltre 90 miliardi di dollari a livello globale solo per l’aumento dei prezzi del grano.
Campi incolti e porti chiusi
Non solo: il moltiplicarsi dei combattimenti sul suolo ucraino ha compromesso la coltivazione. Gran parte del Paese invaso sta subendo un forte calo del volume di produzione agricola, in particolare per quanto riguarda il grano. Non solo meno campi coltivati (quasi un terzo rimarrà incolto quest’anno), ma anche e soprattutto la chiusura dei porti mette a rischio addirittura un quarto del grano mondiale, secondo la Fao.
La chiusura dei porti, poi, ha fatto impennare i costi di di spedizione e assicurazione per quei pochi carichi che riescono a partire. Lo ha spiegato chiaramente ad Adnkronos Mario Zappacosta, economista senior Divisione Mercato e Commercio della Fao: “La maggior parte delle esportazioni ora funziona su ferro, su gomma o per via fluviale”. Tre metodi che non hanno la capacità di far uscire dal Paese tonnellate di grano con la stessa velocità con cui uscivano dal Mar Nero. “Ci sono file lunghissime sulle strade e sulle ferrovie, con veicoli e vagoni in coda per 2-3-4 settimane per poter uscire dal Paese”.