Strage di Brandizzo, emergono dettagli inquietanti: “Facevano sempre così”

Secondo un ex dipendente dell'azienda dove lavoravano i cinque operai morti, capitava spesso di iniziare i lavori in anticipo. I due sopravvissuti indagati per la strage

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

La strage di Brandizzo è stata causata da una pratica comune: l’avvio dei lavori in anticipo, perché tutti seguono questa consuetudine. Questo accade perché le operazioni di manutenzione possono essere eseguite solo quando non causano disagi ai passeggeri, ovvero dopo le 22:00 e durante i fine settimana. Tuttavia, il contratto dei lavoratori prevede solo due turni notturni a settimana. Questa regola viene costantemente elusa attraverso la chiamata volontaria dei lavoratori.

Nel frattempo, Antonio Massa, il responsabile Rfi per la sicurezza del cantiere, è sotto inchiesta per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. Recentemente, Massa ha ricevuto minacce e ha chiuso i suoi profili sui social media, ma non ha ancora nominato un avvocato difensore. Per lui è stato designato un legale d’ufficio.

Le indagini

Le pubbliche ministere Valentina Bossi e Giulia Nicodemo hanno chiamato come testimone l’ex operaio della Si.gi.fer. di Borgo Vercelli, Antonio Veneziano. Egli ha già fornito dettagli ai media sulla pratica che era in uso presso l’azienda, spiegando:

“Era frequente avviare i lavori in anticipo, specialmente quando sapevamo che un treno era in ritardo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer), quando sapevamo che un treno era in ritardo, anticipavamo l’inizio del lavoro. In altre parole, quando dovevamo effettuare una regolazione, come il restringimento del binario, che richiedeva l’intervento di un convoglio previsto in orari non corretti, iniziavamo i lavori. Svitavamo i chiavardini, che sono i dispositivi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno. Successivamente, poco prima del passaggio dei convogli, venivamo rimossi dalla traccia. Solitamente, eravamo sei o sette persone in ogni gruppo, ma in queste situazioni, c’era sempre qualcuno che sorvegliava la situazione. Tuttavia, nella tragica notte recente, la situazione è stata diversa, poiché tutti erano sulla massicciata”.

Orari di lavoro non rispettati: come lavoravano

Anche altri colleghi hanno confermato la pratica in uso al quotidiano La Stampa, dichiarando: “Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci dice verbalmente che possiamo farlo, e questo avviene non quando arriva un documento formale, ma quando i treni hanno cessato di passare. Questo è un comportamento diffuso tra tutti noi.” Ora l’inchiesta dovrà determinare se i dirigenti di Rete Ferroviaria Italiana erano al corrente di questa pratica.

Il legale d’ufficio incaricato di assistere Massa si chiama Antonio Raucci, ma finora non è riuscito a mettersi in contatto con il suo assistito, in quanto Massa non ha risposto alle sue telefonate. Anche il capocantiere, Andrea Girardin Gibin, di 52 anni, è sotto inchiesta per gli stessi reati. Oggi verrà organizzata una manifestazione a Vercelli per ricordare Michael Zanera, di 34 anni, Giuseppe Sorvillo, di 43 anni, Saverio Giuseppe Lombardo, di 52 anni, Giuseppe Aversa, di 49 anni, e Kevin Laganà, di 22 anni.

La Stampa oggi ha raccolto anche le testimonianze degli operai delle ditte di manutenzione di Rete Ferroviaria Italiana (Rfi). Secondo il contratto, i lavoratori devono garantire all’azienda un massimo di due notti settimanali di lavoro notturno, e eventuali terze notti devono essere concordate tra le parti (rsu e azienda). Inoltre, non possono essere programmate più di dieci notti al mese. Tuttavia, la Filt Cgil sostiene che questa norma viene costantemente aggirata attraverso la chiamata volontaria.

Nel caso dei lavori notturni, si inizia alle 8 del mattino e si riprende alle 13, per poi continuare alle 22, violando la legge che richiede un minimo di 11 ore di riposo tra un turno e l’altro. Inoltre, i lavori in subappalto sono descritti come una “giungla” con frequenti errori. Un manutentore piemontese di Rfi, che ha preferito rimanere anonimo, ha raccontato un incidente avvenuto venti giorni prima, quando una capostazione, che lavorava da poco tempo, ha autorizzato la circolazione dei treni senza assicurarsi che la ditta avesse effettivamente completato i lavori sui binari e che non ci fosse più nessuno presente.

L’incidente: la telefonata per l’autorizzazione e l’errore

Secondo l’accusa, la responsabilità di Girardin Gibin risiede nel fatto che ha fatto scendere i suoi operai sui binari senza prima ottenere il foglio di nulla osta necessario. Nel caso di Antonio Massa, invece, la prova principale sono le telefonate effettuate quella sera. Le chiamate iniziano intorno alle 23:30, quando Massa chiede l’autorizzazione alla centrale del movimento di Chivasso: prima una chiamata, poi una seconda. Nel momento della richiesta, Massa dispone solo di supposizioni riguardo alle finestre di lavoro, basate sugli orari previsti dei treni.

Dalla centrale di Chivasso, riceve un rifiuto iniziale e una raccomandazione a rimandare l’intervento, dicendo che “deve ancora passare un treno“. La questione centrale è quale treno stesse effettivamente passando. Erano previsti tre treni: l’ultimo di linea, uno destinato a trasportare vagoni da Alessandria a Torino e un terzo programmato per circa l’1:30. Alle 23:30, il primo treno aveva già concluso il suo percorso. Il secondo era in ritardo, ma non è chiaro se Massa abbia confuso questo treno con quello precedente. Questa confusione porta all’incidente, poiché Massa e il capocantiere insieme a cinque operai scendono sui binari in un momento in cui il passaggio dei treni non era adeguatamente coordinato con la loro presenza.

Dalla centrale, Massa riceve ulteriori istruzioni che gli indicano due finestre temporali durante le quali può svolgere il lavoro: tra il secondo e il terzo treno, oppure dopo il terzo treno. Inoltre, gli viene ribadito di rimanere fermi. Una terza telefonata registra l’esplosione e il rumore della frenata, segnando il tragico momento in cui la strage ha avuto luogo. Ci sono state altre due chiamate successive, ma queste contengono solo le urla di disperazione di Massa mentre cerca di descrivere la situazione.

La ricostruzione degli eventi si basa sulle registrazioni delle telefonate, che vengono poi confrontate con gli orari in cui le telecamere della stazione registrano la presenza degli operai sui binari. In questo caso, non c’era un sistema di semafori rossi per fermare i treni, poiché non era previsto che dovessero fermarsi. Inoltre, i dispositivi di sicurezza sulla linea erano presenti, ma sembra che non abbiano attivato i segnali luminosi che avrebbero dovuto segnalare il lavoro in corso. Non è chiaro quando fosse obbligatorio utilizzarli. Tuttavia, il mancato funzionamento di questi dispositivi è un elemento critico nella catena di eventi che ha portato alla tragedia.