Sanità italiana, aumentano i “morti evitabili”: percentuali più critiche nel Mezzogiorno

Aumentano le "morti evitabili" dei pazienti presi in cura negli ospedali italiani, l'analisi Istat sulla situazione della sanità nel nostro Paese

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Aumentano le “morti evitabili” dei pazienti presi in cura negli ospedali italiani, a confermarlo è l’analisi dei dati forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) che ci offre un quadro chiaro sulla situazione della sanità nel nostro Paese.

Il report, pubblicato a maggio 2024, mette in evidenza la correlazione tra l’offerta sanitaria e la mortalità evitabile. E concentrandosi sul periodo tra il 2007-2009 e il 2017-2019, nonché gli anni 2020 e 2021, cerca di comprendere gli effetti della pandemia da Covid-19 sulla salute e sul contesto sanitario in generale.

Aumentano in Italia le “morti evitabili”

Da quello che è emerso dal Report Istat, nelle città metropolitane italiane, nel corso del 2021, si sono verificati circa 20 decessi evitabili ogni 10mila abitanti, con un tasso nazionale di 19,2. Questi decessi sono considerati evitabili poiché potrebbero essere prevenuti o ridotti. Rispetto alla media registrata nel periodo 2017-2019, si è riscontrato un significativo aumento del 16,6%.

Tuttavia, a preoccupare non è solo il trend in aumento della mortalità evitabile nelle città metropolitane, ma le cause che hanno fatto si che si registrasse questo aumento, nella maggior parte riconducibili alla cosiddetta “componente prevenibile”.  In altre parole, come la parola stessa suggerisce, la componente prevenibile della mortalità evitabile rappresenta i decessi che potrebbero essere prevenuti con interventi sanitari appropriati oltre che a stili di vita più sani.

E proprio questa componente ha registrato un aumento significativo, anche se in gran parte attribuibile agli effetti della pandemia. Infatti, l’Istat riporta una media di circa 13 decessi ogni 10mila abitanti nel 2021 e nel 2020, leggermente superiore alla media nazionale di 12,8 e influenzata in larga parte dai decessi causati dalla pandemia da Covid-19, con una media di 3,5 decessi ogni 10mila abitanti nel 2021 e 3,3 nel 2020.

Situazione critica nel Mezzogiorno

Le città metropolitane del Mezzogiorno hanno evidenziato i valori più critici di mortalità evitabile, ad eccezione di Cagliari che si posiziona sotto la media nazionale.

Napoli ha registrato il tasso più alto, con 27,1 decessi evitabili ogni 10mila abitanti nel 2021, seguita da Messina e Palermo con circa 23 decessi ogni 10mila. Nel dettaglio, la città metropolitana campana detiene i valori più alti anche nel comune capoluogo (29,3 decessi ogni 10mila abitanti) e nelle sue cinture urbane, con una differenza dalle relative medie che varia da un massimo di nove decessi del capoluogo a cinque decessi per 10mila della prima cintura.

Al contrario la città metropolitana di Firenze, con 16 decessi evitabili ogni 10mila abitanti, presenta la mortalità più contenuta, insieme a Bologna e Milano (circa 17 decessi evitabili).

Decresce il tasso di decessi dopo la pandemia, ma arranca ancora il Sud

C’è da dire, a tal proposito, che nel corso degli anni 2020 e 2021, in Italia, il livello e la dinamica della mortalità sono stati fortemente influenzati dalla diffusione della pandemia da Covid-19. Infatti, nel 2021, il numero totale dei decessi ha raggiunto quota 704mila, 66mila in più rispetto alla media del triennio 2017-2019. Nello stesso anno il tasso standardizzato di mortalità sfiora quota 90 decessi ogni 10mila abitanti.

L’indicatore cresce rispetto al triennio 2017-2019 del 6,3% e diminuisce del 5,7% rispetto al primo anno della pandemia. Analizzando la mortalità entro i 74 anni, soglia utilizzata come riferimento per la misurazione della mortalità evitabile, nel 2021 i decessi in Italia sono circa 173mila (2mila in meno rispetto al 2020), corrispondenti a circa un quarto dei decessi totali.

Il tasso standardizzato di mortalità italiano per questa sottopopolazione, nel 2021, è di 28,9 decessi ogni 10mila abitanti e il confronto temporale rivela un andamento decrescente del fenomeno. Infatti la mortalità si riduce del 15,6% fra il periodo 2017 2019 e il 2007-2009, trend interrotto nel 2020 e nel 2021 da una significativa ripresa della mortalità (+9,1% nel 2021 e +10,9% nel 2020 rispetto al triennio 2017-2019), verosimilmente causata dalla pandemia da Covid-19.

Nel 2021 nei territori metropolitani la mortalità entro i 74 anni supera quella nazionale di 1,3 decessi per 10mila abitanti e presenta una crescita dell’11% rispetto al triennio 2017-2019. Nelle città metropolitane del Mezzogiorno si osserva una situazione di svantaggio caratterizzata da livelli di mortalità superiori alla media (30,2 ogni 10mila), a parte Cagliari e Bari.

Sotto il profilo temporale, la crescita del fenomeno del 2021 rispetto al triennio 2017-2019 è osservabile da Nord a Sud, con l’eccezione della città metropolitana di Genova (-2,5%). L’intensità dell’incremento, tuttavia, non è uniformemente distribuita, essendo più contenuta nelle città metropolitane del Nord, che si mantengono sotto il valore medio, e più elevata in quelle del Sud, esclusa Cagliari (+6,8%).

Aumenta anche la mobilità ospedaliera, sempre più persone di spostano per curarsi altrove

La mobilità ospedaliera, ossia la scelta di usufruire delle cure sanitarie in una regione diversa da quella di residenza, rappresenta un fenomeno sempre più diffuso in Italia.

Secondo i dati Istat, negli ultimi anni, la mobilità ospedaliera interregionale è diventata un fenomeno strutturale nel panorama sanitario italiano. Nel triennio 2007-2009, riguardava il 7,4% delle dimissioni ospedaliere, mentre dopo 10 anni, nel triennio 2017-2019, si è registrato un aumento significativo, con quasi una dimissione ogni 1.000. Nel 2020, solo a causa delle misure restrittive adottate per contenere la pandemia da Covid-19 si è verificata una riduzione del fenomeno. Infatti, nel 2021, con il progressivo allentamento delle restrizioni, si è osservata una ripresa degli spostamenti, con una percentuale che post pandemia sfiora l’8% delle dimissioni ospedaliere.

Anche se mobilità ospedaliera tra regioni rappresenta un elemento chiave nel panorama sanitario italiano, consentendo ai cittadini di accedere a cure mediche al di fuori del proprio territorio di residenza, c’è da dire che questo fenomeno complesso è influenzato da una serie di fattori sociali che meritano un’analisi approfondita.

Per esempio, i dati dell’ISTAT mostrano che la mobilità ospedaliera dei residenti nelle città metropolitane è costantemente inferiore alla media nazionale, con notevoli variazioni territoriali. Ovvero, ci sono dei territori dove sono meno le persone che sentono la necessità di spostarsi altrove per le cure, e altri posti invece in cui è quasi sistematico farlo, perché sono in pochi quelli che si affidano alle cure delle strutture locali.

Tuttavia,  in questo caso emerge una disparità tra Nord e Sud. Basti pensare che nella città metropolitana di Reggio Calabria, nel 2021, quasi un paziente su quattro ha ricevuto cure mediche al di fuori della regione, registrando un aumento rispetto agli anni precedenti. Anche altre città metropolitane, come Genova, presentano un significativo flusso di pazienti che si spostano verso altre regioni per ricevere cure mediche.

La scelta di ricevere cure mediche fuori dalla propria regione può comportare rischi e sfide non indifferenti. In primis, pazienti potrebbero essere esposti a diversi standard di cura e procedure, con costi aggiuntivi sia per loro che per il sistema sanitario. Inoltre, l’accesso potrebbe essere limitato da barriere economiche e logistiche (non tutti hanno le possibilità di spostarsi altrove per curarsi). Infine, un altro aspetto critico è l’effetto della separazione dalla propria famiglia e dalla rete di supporto abituale. Questo distacco può avere un impatto negativo sul benessere fisico e mentale del paziente, influenzando il processo di guarigione e recupero.