Berlusconi e Putin, amici e soci: tutti gli affari d’oro

Dal gas alla televisione, passando per intermediari e oligarchi: la rete economica costruita da Berlusconi e Putin nel corso di anni di sodalizio fa ancora sentire i suoi effetti

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’amicizia tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin è celeberrima in tutto il mondo, quasi leggendaria. Un po’ meno noti sono, invece, gli affari che i due leader hanno portato avanti congiuntamente dai primi Anni Duemila in poi. Affari d’oro, che vanno dalle forniture di gas all’impero televisivo (ecco quanto vale il patrimonio miliardario di Berlusconi).

I primi a sottolineare in maniera pubblica ed esplicita il sospetto che il rapporto tra i due presidenti non fosse soltanto politico furono gli americani, nel 2010. Ma quasi non ce n’era bisogno, visti gli indizi lasciati nel campo energetico da quel decennio di forte sodalizio geopolitico: la profonda dipendenza italiana dal gas russo e l’assenza di un piano di sicurezza in caso di blocco delle forniture. Come abbiamo drammaticamente (ri)scoperto nel 2022.

Qui abbiamo parlato dell’eredità di Berlusconi e di come verrà divisa tra i figli.

Il sodalizio economico “oscuro” tra Berlusconi e Putin

La luce sugli “investimenti personali” comuni di Putin e Berlusconi fu accesa nel novembre 2010 da Hillary Clinton, all’epoca Segretaria di Stato Usa, parlando all’ambasciata statunitense a Roma. La preoccupazione era l’influenza che questi affari avevano esercitato e avrebbero continuato a esercitare nella politica estera di un grande Paese Nato ed europeo e il vecchio nemico di Washington. Dodici anni dopo, con l’invasione russa dell’Ucraina, quegli interrogativi erano riemersi, soprattutto con le esternazioni “amichevoli” di Berlusconi nei confronti del presidente della Federazione nonostante l’aggressione a un altro Stato sovrano.

La risposta? La stessa del decennio precedente: “Non si sa”. Nel mezzo però c’è stata la rivelazione di Julian Assange tramite i file secretati di Wikileaks, nei quali risultò chiara l’origine della dipendenza italiana dal gas russo. Tra questi figurano numerosi cablo in cui i diplomatici americani in Italia e Georgia informavano il loro governo che le relazioni tra Berlusconi e Putin erano “straordinariamente strette, così strette da includere generosi regali e lucrosi contratti in campo energetico”. Poco dopo finì su tutti i giornali l’intenzione dell’ultimo Governo Berlusconi di raddoppiare le importazioni di “oro azzurro” dalla Russia, nonostante i prezzi non proprio vantaggiosi rispetto a quelli praticati da altri Stati.

I rapporti tra Eni e Gazprom ne uscirono profondamente modificati. Il colosso italiano, allora guidato da Paolo Scaroni, temeva fortemente di poter diventare il tramite per accordi energetici siglati sottobanco che avrebbero arricchito eventuali mediatori “fantasma”. Le provvigioni per questi intermediari sarebbero state faraoniche, sia dal lato russo sia italiano. Nel 2008, inoltre, l’ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, riferì alla Cia parole attribuite all’ambasciatore georgiano a Roma: “Secondo il governo della Georgia, Putin ha promesso a Berlusconi una percentuale sui profitti da eventuali condotte sviluppate da Gazprom in coordinamento con Eni”.

Il gas russo in Italia

Tutto cominciò negli Anni Novanta, quando Berlusconi guardò al mercato russo e orientale in generale come a un straordinaria fucina di opportunità. In particolar modo per quanto riguarda i combustibili fossili. Per questo, come ha sottolineato La Repubblica, l’ex Cavaliere inviò in avanscoperta il fido Marcello dell’Utri a parlare col compaesano Antonio Fallico, decano dei banchieri italiani a Mosca. L’acquisto di gas e petrolio prometteva grandi profitti tramite un’azienda statale importatrice o un’azienda statale esportatrice. C’era però un secondo modo per concludere l’operazione: utilizzare intermediari privati, con inevitabile aumento dei prezzi.

Il passo successivo avvenne nel 2003. L’amministratore delegato di Eni, Vittorio Mincato, scoprì durante una cena di lavoro che Yuri Komarov, allora vicepresidente di Gazprom, aveva mandato ufficiale di vendere in Italia 3 miliardi di metri cubi di gas. Metri cubi, sulla carta, di spettanza Eni. Nel 2005 il subentrato Scaroni firmò l’accordo, nonostante le polemiche generali. Nel 2006 fu anche accantonato un progetto clamoroso: quello del gasdotto South Stream, che tramite condutture sotto il Mar Nero avrebbe portato il metano nell’Europa meridionale. costo: 15,5 miliardi di dollari. I lavori furono anche inaugurati nel 2014, principalmente per effetto delle pressioni americane in seguito all’annessione unilaterale della Crimea alla Federazione Russa.

Gli altri affari tra Italia e Russia

La durata dei contratti tra Gazprom e Italia si trasformarono in forniture trentennali. Non solo: sempre La Repubblica ricorda che nel novembre 2008 Berlusconi volò a Mosca per incontrare l’allora presidente russo Dmitry Medvedev, che si alternò col suo interregno a Putin, e firmare un accordo per la costruzione di reattori nucleari di terza e quarta generazione in Italia. Anche questo progetto poi non fu portato a termine, ma il giro d’affari era mostruoso (si parla di oltre 20 miliardi di euro).

Nel mezzo Berlusconi si era fregiato del grande successo degli accordi di Pratica di Mare, da lui mediato, con cui nel 2002 riuscì a far stringere la mano a Bush e Putin, fisicamente e idealmente (con tanto di insostenibile avvicinamento di Mosca alla Nato). Da lì le visite del leader russo in Italia si fecero più frequenti ed esplicite, con tanto di vacanze passate assieme al suo amico italiano. Contemporaneamente, la Costa Smeralda si popolò di oligarchi e uomini forti russi, da Alisher Usmanov a Roman Abramovich, con il loro arsenale di super ville e yacht clamorosi.

In terra russa, invece, l’uomo chiave della strategia putiniano-berlusconiana è stato il sopra citato banchiere Antonio Fallico, assieme ad Angelo Codignoni, fedelissimo del Cavaliere nell’ambito dei media a Mosca. Attraverso queste figure l’Italia di Berlusconi esporta un know-how consolidato, che ne aumenta prestigio e stima: Codignoni insegna a Yuri Kovalchuk, oligarca putiniano e azionista principale di Bank Rossiya, come creare l’impero televisivo del Cremlino. Impero che ancora oggi spara la sua propaganda con megafoni planetari.

Non solo. Nel libro d’inchiesta “Putin’s People”, Catherine Belton sottolinea come Berlusconi fosse coinvolto già negli Anni Ottanta nella rete economica sovietica. Accadde dunque che film e contenuti prodotti da Fininvest vennero acquistati a prezzi ottimi, finendo in prima serata sulla tv di Stato russa. Fallico ha inoltre riferito che “tra il 1986 e il 1988 Berlusconi, che aveva una sua casa editrice, la Silvio Berlusconi Editore, era interessato ad allargare le sue attività economiche anche nel mondo sovietico”. Nel 2004 Fininvest sbarcò a Mosca con la sussidiaria Zao Banca Intesa.