Israele contro Hezbollah, in caso di attacco lo scudo Iron Dome non reggerebbe

Mentre è impegnato ancora a combattere Hamas nella Striscia di Gaza, Israele minaccia di aprire un fronte di guerra diretta anche con Hezbollah. Ma la potenza del gruppo libanese potrebbe sopraffare la difesa ebraica

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Israele sta scivolando verso l’escalation anche con il Libano del gruppo Hezbollah. Un esercito 10 volte più potente di quello di Hamas, contro il quale lo Stato ebraico accusa ancora grandi difficoltà, confermando la sconfitta tattica subita il 7 ottobre 2023.

Il Gabinetto di Guerra del governo Netanyahu annuncia che presto saranno prese “le decisioni necessarie” nei confronti del “Partito di Dio”, punta di diamante di quell’Asse della Resistenza (nella dizione iraniana) o di quella Mezzaluna sciita (nella dizione occidentale) che Teheran ha sguinzagliato contro l’acerrimo nemico mediorientale. Che, come paventato dagli Stati Uniti, rischia davvero grosso se Hezbollah dovesse scatenare la sua potenza missilistica, saturando la capacità di risposta e difesa dello scudo Iron Dome.

Israele verso la guerra aperta col Libano degli Hezbollah

Nelle ultime settimane ha raggiunto livelli altissimi il rischio di escalation del conflitto anche a nord di Gaza. Dopo otto mesi di combattimenti a bassa intensità, per timori reverenziali reciproci, Israele e Hezbollah sembrano arrivati ai ferri cortissimi. Secondo il ministro degli esteri Israel Katz, Tel Aviv “non può permettere che l’organizzazione terroristica continui ad attaccare il suo territorio e presto prenderà le sue decisioni necessarie”. Scadendo nelle consuete vette propagandistiche: “Il mondo libero deve appoggiare senza condizioni Israele nella sua guerra con il diavolo, contro l’Iran e l’Islam estremistico. La nostra guerra è la vostra guerra e le minacce di Nasrallah a Cipro sono solo l’inizio”. Un chiaro monito, considerando anche che di recente le Idf hanno approvato i piani di attacco in Libano.

Il Partito di Dio guidato da Hassan Nasrallah, da parte sua, lascia parlare le armi e il proprio sponsor persiano. La missione iraniana presso le Nazioni Unite ha messo in guardia Israele dalle conseguenze di una guerra totale contro il gruppo armato libanese, sottolineando che lo Stato ebraico sarebbe “l’unico perdente finale”. Hezbollah è in grado di difendere se stesso e il Libano, si legge nella dichiarazione, che prosegue così: “Ma forse è giunto il momento per il regime illegittimo di Tel Aviv di auto-annullarsi. Qualsiasi decisione imprudente da parte del regime di occupazione per salvare se stesso potrebbe far precipitare la regione in una nuova guerra, la cui conseguenza sarebbe la distruzione delle infrastrutture libanesi e dei territori occupati nel 1948”.

Cosa succederebbe in caso di conflitto totale: la saturazione dell’Iron Dome

Un eventuale conflitto totale tra Israele e Libano sarebbe disastroso e presenta diverse incognite militari. L’esercito israeliano sa bene che l’armamento degli Hezbollah non è quello di Hamas. Non a caso, funzionari statunitensi hanno fatto sapere alla Cnn di temere seriamente che, nel caso di una vera e propria guerra, i miliziani sciiti potrebbero sopraffare con missili e droni le difese aeree israeliane nel nord, compreso il sistema antiaereo Iron Dome. “Riteniamo – ha spiegato un alto funzionario – che diverse batterie dello scudo missilistico “saranno sopraffatte”. C’è da sottolineare però che Israele può contare non solo sull’Iron Dome, ma anche sul più sofisticato ed efficace sistema di difesa “David’s Sling” (“La Fonda di David”, letteralmente). Una sicurezza vitale, visto che un’importante città come Haifa è a poca distanza dalla frontiera con il Libano. Si ritiene che la milizia sciita abbia a disposizione circa 150mila razzi, pronti per colpire le infrastrutture israeliane. Dall’8 ottobre 2023, gli attacchi da nord le comunità e le postazioni militari israeliane lungo il confine sono stati compiuti a cadenza quotidiana. “Nessun luogo di Israele sarà al sicuro”, ha tuonato il leader Nasrallah.

Già durante il maxi attacco di Hamas del 7 ottobre, il tanto osannato sistema di difesa antiaerea Iron Dome si è mostrato vulnerabile. Nonostante sia il fiore all’occhiello dell’avamposto occidentale in Medio Oriente. Un sistema dai costi elevatissimi per la gestione e il funzionamento, ma anche un sistema tarato per fronteggiare attacchi e minacce ben inferiori a quella scatenata dai fondamentalisti della Striscia. L’area difendibile dall’Iron Dome copre efficacemente “appena” 12 chilometri quadrati di territorio e spazio aereo. E lo fa nel seguente modo: il radar rileva il lancio di razzi, proiettili e mortai, determina la loro traiettoria di volo e quindi calcola anche la probabile posizione dell’impatto. Il posto di comando può osservare contemporaneamente fino a 200 oggetti aerei. Se viene effettuato un massiccio bombardamento, dunque, il sistema va in estrema difficoltà, “soffoca” si dice in gergo d’intelligence, facendo piombare la propria efficienza al 10-15%. Lo scudo israeliano era stato un bersaglio anche dell’Iran, durante il grande raid sferrato ad aprile con centinaia di droni e missili. In quel frangente, Teheran aveva tentato di mettere fuori gioco l’Iron Dome con attacchi informatici, parte della cosiddetta “cyberwarfare” (o “guerra cibernetica”).

Intanto continuano i lanci di razzi e droni dalle posizioni di Hezbollah verso obiettivi del nord di Israele, dove da mesi gran parte della popolazione è stata evacuata. Le Idf hanno risposto colpendo oltre confine le infrastrutture del “Partito di Dio” in varie zone e abbattendo droni sulle Alture del Golan. Come riporta The Times of Israel, lo Stato ebraico non è preparato ai danni che subirebbe la sua infrastruttura elettrica se dovesse scoppiare una guerra su vasta scala con Hezbollah. “Non siamo preparati per una vera guerra, è tutto un volo di fantasia”, ha sentenziato senza appello Shaul Goldstein, direttrice dell’Independent System Operator Ltd israeliana, conosciuta come Noga. Allarme che ha scatenato la reazione del governo, che vuole proseguire la guerra a ogni costo. “Israele ha la capacità di generare elettricità da un’ampia varietà di fonti. Abbiamo impianti di produzione del gas, riserve di gasolio, enormi riserve di carbone e generiamo anche elettricità da energie rinnovabili”, ha dichiarato il ministro dell’Energia Eli Cohen.

La potenza di Hezbollah frena l’escalation

Sostenuto dall’Iran, Hezbollah rappresenta di fatto la più grande minaccia militare per Israele. Come ha dimostrato nel 2006, quando resistette all’assalto a tutto campo dello Stato ebraico. Da allora il gruppo libanese non ha fatto altro che rafforzarsi, accumulando armi sempre più sofisticate ed esperienza e combattendo al fianco del governo siriano. E incrementando anche il suo risentimento verso Tel Aviv e la sua “dottrina Dahiya” di guerra asimmetrica – dal nome di un quartiere di Beirut controllato da Hezbollah – che prevede di prendere di mira le infrastrutture civili.

Nonostante i proclami e le minacce odierne, Israele non avrebbe l’intenzione di invadere la parte di Libano controllata da Hezbollah. E, dall’altro lato della barricata, anche i fondamentalisti sciiti hanno tutto l’interesse a non accelerare l’escalation col nemico confinante. In altre parole a Iran e Hezbollah conviene che il conflitto resti a bassa intensità e tenga impegnato Israele a lungo, mentre dall’altra parte c’è più urgenza di inasprire il conflitto ma manche l’opportunità e la forza necessarie.

Le minacce di Hezbollah a Cipro

Come gli Houthi nel Mar Rosso, anche gli islamisti libanesi hanno inoltre capito come colpire l’economicistica Europa controllata dagli Usa, destabilizzando il Mediterraneo attraverso minacce dirette a Cipro. E cioè a un Paese membro dell’Unione europea. L’accusa nei confronti dello Stato insulare è di parteggiare per Israele, anche se Nicosia che ha negato. “La regione e il mondo – ha ammonito il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres – non possono permettersi che il Libano diventi un’altra Gaza. Il rischio che il conflitto in Medio Oriente si allarghi è reale, e va evitato”. E ha invocato la soluzione diplomatica secondo le linee della Risoluzione 1701 dell’Onu.

Le minacce rivolte ai ciprioti restano però solo sulla carta. A Hezbollah non conviene un conflitto regionale, figurarsi un’escalation che coinvolgerebbe l’Unione europea e, di conseguenza, gli Stati Uniti. “Cipro è uno Stato Ue, il che significa che l’Ue è Cipro e Cipro è Ue. Ciò significa che qualsiasi minaccia contro uno dei nostri Stati membri è una minaccia contro l’intera Unione europea”, ha affermato il Servizio per l’Azione esterna dell’Ue.

Intanto la guerra di Gaza prosegue

Mentre i negoziati, come previsto, non registrano alcun progresso, nella Striscia di Gaza l’orrore della guerra e degli attacchi sui civili prosegue nell’indifferenza concreta del mondo. A poco più di 100 giorni dal primo anniversario del 7 ottobre, l’esercito israeliano sta aumentando sempre più la pressione a Rafah nel sud della Striscia con tank, raid e “combattimenti intensi”. Secondo una denuncia di Medici Senza Frontiere, le quantità di medicinali e attrezzature essenziali a disposizione della Ong hanno raggiunto livelli critici. Al punto che nessuna fornitura è entrata a Gaza dalla fine di aprile. Se le trattative per sbloccare la situazione tra le parti restano al palo, Netanyahu ha confermato il suo piano per il futuro dell’enclave palestinese: “Una Striscia demilitarizzata, retta da un’amministrazione civile con sponsorizzazione interaraba”.

Nel tentativo di uccidere un altro comandante di punta di Hamas, Israele ha poi condotto l’ennesimo raid che si è trasformato in un attacco deliberato su un campo profughi. Stavolta è toccato al sito di Shati, nei pressi di Gaza City, bersaglio ritenuto necessario per uccidere Raad Saad, capo del Dipartimento operativo del gruppo fondamentalista e una delle figure chiave dello schieramento militare nella Striscia. Nell’azione bellica, che ha coinvolto anche il quartiere vicino di Tuffah, sarebbero state uccise – secondo Ismail Al-Thawabta, direttore dell’ufficio stampa governativo gestito da Hamas – almeno 42 persone. A destare preoccupazione è anche un altro episodio. La Croce Rossa ha affermato che il suo ufficio nella zona umanitaria di Mawasi, nel sud della Striscia, “è stato danneggiato da proiettili di grosso calibro caduti nelle vicinanze. Ufficio attorno al quale sono accampati con tende da settimane centinaia di palestinesi sfollati”. Un altro tragico bilancio: almeno 22 morti e decine di feriti.