Dal Milan al Monza, tutti i trionfi: Berlusconi e i successi nel calcio

Nei panni di presidente-tifoso ha fatto innamorare milioni di tifosi: il rapporto con allenatori e calciatori, il capitale investito, il ruolo di Galliani

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Federico Casanova

Giornalista politico-economico

Giornalista professionista specializzato in tematiche politiche, economiche e di cronaca giudiziaria. Organizza eventi, presentazioni e rassegne di incontri in tutta Italia.

“Per tutta la vita ho fatto sogni che sembravano irrealizzabili. Quando ho preso il Milan volevo che diventasse la squadra più forte del mondo e ci sono riuscito”. Se volessimo fare rientrare in una sola foto tutti i trofei vinti da Silvio Berlusconi nelle vesti di presidente del Milan, probabilmente avremmo bisogno di un’inquadratura a grandangolo, di quelle in cui l’oggetto si fa piccolo piccolo per permettere a tutti gli elementi di rientrare nello scatto.

Sono stati 31 anni di successi personali (oltre che sportivi) per il Cavaliere, iniziati in maniera epica – per molto tratti premonitrice – in un caldo pomeriggio di luglio del 1986, quando presentò la squadra sul prato di San Siro facendo arrivare i giocatori in elicottero, accompagnati in sottofondo dalla Cavalcata delle Valchirie del maestro Richard Wagner. Da allora, la storia del club rossonero (rilevato nel febbraio di quell’anno) e, con esso, di tutto il calcio italiano, non sarà mai più la stessa.

La prima cavalcata dalla Serie B alla Coppa dei Campioni (sempre insieme ad Adriano Galliani): i primi anni di Silvio Berlusconi da presidente del Milan

La scelta di rilevare una squadra che, fino a pochi anni prima, navigava nelle acque più torbide del calcio professionistico (con la retrocessione in Serie B del 1983 e i conti in banca assai disastrati), Silvio Berlusconi la ebbe dopo l’incontro con quello che sarà il suo più fidato collaboratore per tutti i decenni a venire, ossia Adriano Galliani. I due – come raccontato di recente proprio dall’ex amministratore delegato rossonero nel suo ultimo libro autobiografico – avevano iniziato a lavorare assieme con tutt’altri presupposti: l’imprenditore di Arcore lo aveva ingaggiato come esperto nel mondo delle comunicazioni, visti gli ottimi risultati che aveva avuto con la sua piccola impresa di stanza a Monza.

Poi l’ingresso nel Milan, l’uno nei panni di vulcanico presidente, l’altro come factotum operativo: per Berlusconi, Adriano Galliani divenne ben presto l’unico responsabile di quasi tutto quello che riguardava la squadra, dai contratti con i calciatori al rapporto con gli allenatori, passando per lo staff, la cura dell’immagine, l’organizzazione di ogni dettaglio. Se ricorderemo il Cavaliere come l’uomo più vincente (o quasi) nella storia del calcio contemporaneo, buona parte del merito va al suo fedele braccio destro.

L’amore per il bel gioco e le follie per i calciatori: l’idea di calcio di Silvio Berlusconi da presidente del Milan

Al primo anno sotto la sua presidenza, il Milan agguanta all’ultima giornata (e dopo uno spareggio con la Sampdoria) la partecipazione alla Coppa UEFA. È solo l’inizio di quello che sarà un cammino dai contorni gloriosi, con la conquista dello Scudetto già nel suo secondo anno a Milanello. E poi, in un climax ascendente che a tutti pareva inarrestabile, la vittoria della prima Coppa dei Campioni. Nacque in quel periodo l’appellativo di “Squadra degli Invincibili“, rappresentata dalla compagine olandese che vedeva al proprio interno talenti puri coma Ruud Gullit, Frank Rijkaard e soprattutto Marco Van Basten.

Fin dai primi tempi, l’idea di calcio di Silvio Berlusconi è chiara e ben definita: i risultati devono arrivare, ma tutto passa attraverso il bel gioco, il divertimento allo stato puro, lo spettacolo inteso nella sua forma più sublime, quello che conquista i cuori dei tifosi in maniera viscerale. È lui stesso, ciclicamente, a perdere la testa per alcuni giocatori: partendo da Van Basten (per l’appunto) arrivando a Zlatan Ibrahimovic, passando per Dejan Savicevic e Andrij Sevcenko, poi per i brasiliani Ronaldinho e Kakà. Non badava a spese, il presidente, per accontentare le proprie voglie e per rinfocolare l’entusiasmo dei supporters.

Da Arrigo Sacchi a Carlo Ancelotti, senza mai farsi da parte: il Berlusconi “allenatore” che voleva un Milan sempre bello (e vincente)

Come ogni proprietario d’azienda, anche Silvio Berlusconi ha fatto (molta) fatica a restare al proprio posto nei confronti dei dipendenti. In particolare, i suoi innumerevoli e ficcanti consigli hanno accompagnato l’operato di tutti gli allenatori transitati sulla panchina del Milan. I profili più iconici – nonché quelli più vincenti – sono stati sostanzialmente due: prima quello di Arrigo Sacchi, emblema del calcio champagne tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, che lo ha definito (in lacrime) “un amico geniale a cui devo tutto”; poi quello di Carlo Ancelotti, volto del ritorno alla gloria negli anni Duemila, uomo pacato ma determinato, che ha sempre saputo farlo sorridere grazie ad un’intesa caratteriale prima ancora che lavorativa. Entrambi i tecnici si sono resi protagonisti di vittorie indimenticabili, portando a Milanello ben 16 dei 29 trofei complessivi dell’era Berlusconi.

“L’allenatore giusto per vincere? Direi senza dubbio che sono io” amava ripetere, scherzando, ogni qualvolta gli si imponeva un cambio di tecnico per tagliare nuovi traguardi. Ed è proprio a suon di trionfi che il Cavaliere ha saputo ritagliarsi un pezzo importante di palcoscenico nella hall of fame del calcio mondiale. Meglio di lui, nei tempi moderni, solamente Florentino Perez, che con il suo Real Madrid lo ha staccato a quota 31 vittorie tra competizioni nazionali ed internazionali. Anche il patron dei Blancos ha voluto esprimere tutto il suo cordoglio, ricordando il collega e amico come un “uomo di sport leggendario“.

L’ultima (clamorosa) esperienza con il Monza, portato dalla Serie C alla Serie A: gli anni più recenti di Berlusconi presidente nel mondo del calcio

“Tutte le cose di cui mi occupo sono profane, ma il Milan è sacro”. Un amore che è andato aldilà di ogni confine, quello di Silvio Berlusconi per la propria squadra. Tantoché, nel momento dell’addio dopo 31 anni di successi (era l’estate del 2016, con la cessione ai cinesi per 740 milioni di euro), nessuno avrebbe mai immaginato che nella vita dell’ex premier ci fosse posto anche per un’altra esperienza nel mondo del pallone. E invece – come ci ha abituati a fare in ogni ambito del suo agire, dall’imprenditoria alla politica, fino ai rapporti sentimentali – quasi tutti si sbagliavano.

Inutile dire come lo stupore sia stato grande quando, nel settembre del 2018, il Cavaliere rileva il Monza per 2,9 milioni di euro. Lo zampino ce lo mette ancora una volta (manco a dirlo) Adriano Galliani, che di quella squadra è tifoso fin da bambino. In soli 4 anni, l’accoppiata vincente realizza quello che nessuno era mai riuscito a fare nei 106 anni precedenti, ossia portare il Monza in Serie A.

“Non ho mai smesso di tifare per il Milan, anche dopo la cessione alla nuova proprietà cinese” aveva dichiarato poco tempo dopo aver abbandonato il Diavolo per mancanza di tempo e di forze, devoto com’era a Forza Italia e assediato dalle decine di indagini nei tanti processi giudiziari che lo hanno visto protagonista. In una vita fatta di incognite e imprevisti, cadute, rinascite e mille colpi di scena, di una cosa possiamo essere certi: il cuore di Silvio Berlusconi continuerà a battere per i colori rossoneri anche da lassù.