Come evitare il prelievo forzoso dai conti correnti

Periodicamente si torna a parlare di prelievo forzoso sul conto corrente. Ma come funziona questa misura e come si possono tutelare i propri risparmi

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

In situazioni di estrema crisi o di emergenza nazionale si torna a parlare di prelievo forzoso da parte dello Stato. In parte perché, nel corso della storia italiana e non solo, è già successo (con il governo Amato nel luglio del 1992, per essere precisi), e in parte perché l’emergenza sanitaria dovuta al coronavirus ha effettivamente portato il nostro paese in un grave clima di incertezza e di recessione, alla quale seguirà quasi sicuramente una profonda crisi economica, e i cui effetti probabilmente si fanno già sentire. Diventa quasi inevitabile in situazioni del genere che si prospetti l’ipotesi da parte del Governo di tassare indistintamente i risparmi degli italiani. Scopri di cosa si tratta e come difendersi.

Prelievo forzoso: cos’è

Il prelievo forzoso è sostanzialmente una tassa che lo Stato può prelevare, a tappeto e senza alcuna autorizzazione, dai conti correnti di tutti i cittadini in caso di crisi economico-finanziaria, grave o imminente, come fonte di liquidità aggiuntiva. In questi casi, il Governo annuncia e definisce una somma su base percentuale, calcolata rispetto al totale dei patrimoni disponibili, dell’importo da prelevare forzatamente. In genere stabilisce una soglia al di sotto della quale non applicare il prelievo forzoso, anche se potrebbe benissimo decidere di applicarlo senza eccezioni su qualsiasi deposito che risulti in attivo.

Nel 1992, con il decreto Legge n. 133, il governo Amato prelevò forzatamente dai depositi bancari e dai conti correnti degli italiani una tassa pari al 6 per mille. Dallo scoppio dell’emergenza Covid a oggi il debito pubblico dell’Italia è passato dal 134 al 160% di Pil, con un rapporto deficit/Pil pari dunque al 6%, anche se alcuni prospetti ulteriormente negativi prevedono possa salire addirittura al 10%. Resta il fatto che il prelievo forzoso è sicuramente una delle “risorse” alle quali il Governo potrebbe optare per diminuire lo shock di debito.

Se il Governo decidesse di applicare un prelievo forzoso, ad esempio, del 10 per mille, per ogni 1000 euro depositati lo Stato si prenderebbe 10 euro, su 10.000; 100 euro, su 100.000 e così via. Ovviamente non esiste alcuna certezza sul fatto che il governo giunga nei prossimi mesi a prendere una simile decisione, che probabilmente, vista la situazione, si rivelerebbe altamente inefficace e pericolosa, nonché controproducente, in quanto provocherebbe all’istante un default finanziario. Nel frattempo però, sollevare la questione è importante al fine di ricordare consigli, strategie e cose assolutamente da non fare al fine di preservare i vostri risparmi da un eventuale prelievo forzoso da parte dello Stato.

Cosa fare e non fare per difendersi

In generale, potrebbe essere utile tenere a mente queste cinque regole base per proteggere i propri risparmi da un eventuale prelievo forzoso:

  • evitare di tenere il denaro su un conto corrente a rendimento zero o negativo e che comporta spese fisse;
  • trasferire il denaro su conti deposito vincolati;
  • investire in oro o altri beni rifugio;
  • investire in titoli di Stato o bond;
  • investire in azioni diversificando il più possibile gli investimenti.

Questa strategia, che permette dunque di diminuire il valore dei propri risparmi nel tempo, è senza dubbio efficace e soprattutto è totalmente legale. In questo modo, quando il Governo annuncerà il prossimo prelievo forzoso e quasi contemporaneamente lo autorizzerà, azzererete o quantomeno ridurrete l’incidenza di esso sul vostro denaro presente nel vostro conto corrente. Una volta compreso questo diventa abbastanza semplice comprendere come sia invece sconsigliabile evadere in ogni caso le tasse e, infine, in caso di attività finanziarie all’estero preferire società che non hanno sede in UE e dunque non sono soggette al controllo da parte dello Stato italiano.