La pandemia da Covid-19 è stata domata grazie alle campagne vaccinali e alle varie misure di contenimento, ma non ancora sconfitta. Mentre l’arrivo della bella stagione permette di allentare la presa e di guardare ad un calendario con la fine delle restrizioni, in vsta del prossimo autunno si tiene d’occhio l’ultima variante di Sars-Cov-2, la cosiddetta Omicron 2, destinata a divenire quella dominante nei prossimi mesi.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, l’80% dei positivi nel nostro Paese è infettato da Omicron 2. I restanti casi si dividono tra Omicron 1 e due ricombinazioni virali denominate Xe e Xj (abbiamo già parlato delle due ricombinazioni e dei relativi sintomi ai quali prestare attenzione).
Il parere dell’immunologo
Intanto si stanno rendendo disponibili i primi dati su come si comporta Omicron 2 rispetto ai precedenti. “Ho letto un paio di studi al riguardo che dicono tutti che sembra agire come Omicron 1, quindi come un’infezione delle vie aeree alte. Con una contagiosità più elevata, perché si replica non nei polmoni ma nella trachea, nella gola. Quindi più vicino alla ‘via d’uscita’. La sintomatologia non sembra essere differente all’interno della ‘famiglia Omicron'”. A tracciare il quadro all’Adnkronos Salute è Mario Clerici, docente di immunologia dell’università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi, che avverte: diverso è il discorso per quanto riguarda il Long Covid”.
Il Long Covid
Sugli eventuali strascichi della malattia, puntualizza l’immunologo, “ancora non sappiamo molto. Anche per quanto riguarda la cosiddetta ‘nebbia mentale’ di cui si è parlato molto in relazione a Covid, è troppo presto per dire se ci sia una differenza in era Omicron in questo senso. Sembra che le sequele siano sovrapponibili”. Il rischio di long Covid resta praticamente lo stesso, dai danni polmonari in caso di polmonite alla profonda sensazione di fatica e stanchezza.
Sintomatologia
Un lavoro che fa il punto anche sull’evoluzione dei sintomi Covid è in pubblicazione su ‘The Lancet’ ed è stato reso noto nei giorni scorsi come anticipazione dal Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive (Eccmid). Nello studio condotto in Gb dal King’s College London, si è calcolato che i contagiati da Omicron potrebbero avere l’83% in meno di probabilità di sviluppare perdita dell’olfatto rispetto a chi ha preso Covid in era Delta. Il mal di gola risulta più comune in fase Omicron, con un rischio aumentato di svilupparlo del 55%. I pazienti Omicron sembrano avere anche il 24% in più di probabilità di sviluppare una voce rauca rispetto a quelli con Delta e la metà delle probabilità di mostrare almeno uno dei tre sintomi classici di Covid (febbre, perdita dell’olfatto e tosse persistente).
“La sintomatologia di Omicron 1 e 2 sembra essere simile fra le due sottovarianti e inquadrarsi come una sintomatologia delle alte vie respiratorie: naso che cola, raffreddore, gola che fa male, tosse secca. Non è la sintomatologia più polmonare di Delta”, illustra Clerici. “La perdita dell’olfatto si rileva molto meno con Omicron. E con Omicron 2 sembra sia ancora più rara”, puntualizza. “In generale è impossibile dire a priori se si ha un raffreddore comune, un Omicron 2 o un Omicron 1 perché c’è una sovrapposizione quasi totale dei sintomi”. Confrontandola con la precedente variante dominante, Omicron sembra in percentuale avere “un rischio più basso di forme gravi” rispetto a Delta.