Prenotare una visita specialistica o un esame diagnostico nel Servizio Sanitario Nazionale non è più solo una questione di salute. È diventata una questione di tempo e, sempre più spesso, di denaro. Se puoi aspettare mesi, e in alcuni casi un anno intero, resti nel pubblico. Se non puoi, in Italia devi pagare di tasca tua. È il quadro che emerge con chiarezza dal Rapporto civico sulla salute 2025 di Cittadinanzattiva, basato su 16.854 segnalazioni raccolte nel 2024.
Quasi una segnalazione su due (47,8%) riguarda le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie. E dentro questo dato ce n’è uno ancora più sconfortante: oltre il 70% delle segnalazioni sull’accesso riguarda le liste d’attesa.
Non si tratta più di disservizi isolati, ma di un problema strutturale che sta cambiando il modo in cui i cittadini si curano. Eppure a giugno 2024 è entrato in vigore il tanto annunciato decreto Liste d’attesa. Possibile che proprio nell’anno della sua attuazione non sia cambiato nulla per i pazienti italiani?
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Liste d’attesa fuori controllo: il pubblico è impraticabile
Le segnalazioni raccontano una situazione ormai diffusa su tutto il territorio nazionale e non più limitata alla provincia e al Meridione – a quella che una certa giornalista, di recente, ha definito “estrema periferia del mondo”. Lapsus forse dovuto alla presa di coscienza dello stato in cui versano gli ospedali italiani.
Agende chiuse, slot inesistenti, tempi incompatibili con diagnosi e cure, con la prevenzione che dovrebbe essere il cardine di un buon sistema sanitario. E poi visite fissate dopo mesi, esami diagnostici rimandati di un anno o più, screening oncologici che arrivano troppo tardi per essere davvero utili.
Affermare che esista ancora una scelta tra sanità pubblica e privata significa mentire spudoratamente. Per molti cittadini ricorrere a cliniche e liberi professionisti può significare avere più probabilità di sopravvivere.
Quando una risonanza magnetica o una tac vengono proposte a distanza di 8, 10 o 12 mesi, l’unica alternativa concreta è il privato – a volte, per assurdo, attraverso l’intramoenia, con gli stessi camici bianchi introvabili con una prenotazione al Cup.
Tempi reali contro tempi garantiti: i Lea restano sulla carta
Il documento rende visibile uno dei nodi più critici del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero la distanza tra i tempi massimi garantiti dai Livelli essenziali di assistenza e quelli che i cittadini dichiarano di aver effettivamente atteso per ottenere una prestazione.
I Lea prevedono soglie temporali precise associate a una classe di priorità:
- 72 ore per le urgenze (U);
- 10 giorni per le prestazioni brevi (B);
- 60 giorni per quelle differibili (D);
- 120 per le programmabili (P).
Le segnalazioni raccolte da Cittadinanzattiva mostrano che questi limiti vengono frequentemente superati, in alcuni casi di mesi o addirittura di quasi un anno.
Non si tratta di dati statistici ufficiali, sia chiaro, ma di tempi massimi segnalati dai cittadini. Deve però far riflettere il fatto che quasi 17mila pazienti italiani abbiano contattato l’organizzazione, spesso segnalando violazioni dei tempi di attesa massimi garantiti. Violazioni riscontrate in ogni ambito.
Di seguito alcune prestazioni ed esami diagnostici per cui i pazienti hanno dichiarato di aver dovuto attendere di più.
| Prestazione | Priorità | Tempo garantito | Tempo segnalato | Scostamento |
|---|---|---|---|---|
| Colonscopia | P | 120 giorni | 720 giorni | 600 giorni |
| Risonanza magnetica encefalo e tronco encefalico | D | 60 giorni | 452 giorni | 392 giorni |
| Risonanza magnetica colonna vertebrale | D | 60 giorni | 450 giorni | 390 giorni |
| Risonanza magnetica addome inferiore e pelvico | B | 10 giorni | 225 giorni | 215 giorni |
| Tac del torace | B | 10 giorni | 150 giorni | 140 giorni |
| Tac dell’addome | B | 10 giorni | 120 giorni | 110 giorni |
| Ecocolordoppler tronchi sovraortici | D | 60 giorni | 300 giorni | 240 giorni |
| Gastroscopia | D | 60 giorni | 270 giorni | 210 giorni |
Il decreto sulle liste d’attesa c’è, ma i cittadini non lo vedono
A giugno 2024 è entrato in vigore il decreto nazionale sulle liste d’attesa (convertito nella legge 107/2024). Aveva tre obiettivi:
- ridurre i tempi;
- rendere più trasparente la gestione delle agende;
- garantire l’accesso alle prestazioni nei limiti previsti dai Livelli essenziali di assistenza.
Sulla carta rappresentava una svolta. Nella realtà ha avuto decisamente meno impatto.
I dati del 2024 mostrano che non c’è stata un’inversione di tendenza percepibile. Le segnalazioni su prenotazioni impossibili, ritardi insostenibili e mancato rispetto delle priorità cliniche sono aumentate.
Il decreto, leggendo il documento di Cittadinanzattiva, non ha ancora prodotto effetti concreti sull’esperienza di chi prova, ogni giorno, ad accedere al servizio sanitario pubblico.
Dati in netto contrasto con quelli diffusi solo a settembre dal ministro Orazio Schillaci, che aveva annunciato in pompa magna la riduzione delle liste d’attesa.
Mancano il personale e i controlli sulle prenotazioni
Il problema non è solo normativo, ma soprattutto pratico. Il Rapporto civico sulla salute 2025 individua criticità ricorrenti che continuano a bloccare il sistema.
Mancano i professionisti. La carenza di personale sanitario è aggravata dal mancato turnover e dalle difficoltà di reclutamento.
A questo si sommano problemi organizzativi nella gestione delle agende e dei sistemi di prenotazione, che portano alla chiusura degli slot e rendono di fatto inaccessibili i percorsi di tutela previsti quando i tempi massimi non vengono rispettati.
Un ulteriore elemento centrale è la forte disomogeneità territoriale.
Le riforme, dalla gestione delle liste d’attesa alla riorganizzazione dell’assistenza territoriale prevista dal decreto ministeriale 77/2022 (quello che ha introdotto le Case e gli Ospedali di Comunità), procedono a velocità diverse tra Regioni e spesso anche tra strutture della stessa area.
Ne deriva un sistema frammentato, in cui l’accesso alle cure dipende dal luogo di residenza e il ricorso al privato diventa, per molti cittadini, l’unica soluzione praticabile, soprattutto per chi non può spostarsi per praticare turismo sanitario.
Il decreto Liste d’attesa rischia per tutti questi motivi di rimanere solo uno strumento formale. Intanto sulle spalle di cittadini e famiglie ricadono i costi della crisi dell’accesso alle cure.
Proprio Cittadinanzattiva evidenzia che ha ricadute dirette sul portafoglio degli italiani, che pagano di tasca propria visite specialistiche, esami diagnostici, visite di controllo.
Il quadro che emerge è chiaro: il Servizio Sanitario Nazionale continua a proclamare l’universalità del diritto alla cura, ma nella pratica lo rende sempre più difficile da esercitare.
Finché l’accesso alle prestazioni resterà ostacolato da tempi incompatibili con la vita reale e il decorso delle patologie, la sanità italiana rischia di funzionare solo per chi può permettersi di aspettare.