Gli ultimi 57 giorni di Borsellino: da “condannato a morte” a via D’Amelio

Durante i 57 giorni che separarono le stragi di Capaci e via d'Amelio, Paolo Borsellino affrontò la fase più difficile della sua vita

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Durante i 57 giorni che separarono le stragi di Capaci e via d’Amelio, Paolo Borsellino affrontò la fase più difficile della sua vita. Profondamente colpito dalla perdita del suo amico e collega, Borsellino era consapevole di essere il prossimo obiettivo di Cosa Nostra, ma nonostante ciò continuò a lavorare intensamente.

Tuttavia, la sua dedizione venne ostacolata dal capo della Procura di Palermo, Pietro Giammanco, che arrivò persino a nascondere a Paolo Borsellino il contenuto di un rapporto del ROS dei Carabinieri che avvertiva di un imminente attentato. Paolo Borsellino venne a conoscenza di questa informazione casualmente, durante una conversazione con l’ex Ministro della Difesa Salvo Andò. Le testimonianze del colonnello Umberto Sinico dei Carabinieri dimostrarono che Borsellino era consapevole della minaccia di Cosa Nostra nei suoi confronti, ma paradossalmente sembrava preferire una protezione meno stretta per evitare che la sua famiglia fosse messa in pericolo.

Alla fine di giugno, Gaspare Mutolo, affiliato a Cosa Nostra legato a Totò Riina, manifestò la volontà di collaborare con la giustizia. Tuttavia, voleva parlare solo con Borsellino, il giudice in cui aveva fiducia. Tuttavia, in quel momento, Paolo Borsellino era in Germania per interrogare un altro collaboratore di giustizia. Nonostante inizialmente Giammanco avesse assegnato il caso ad altri magistrati, alla fine permise a Borsellino di partecipare agli interrogatori insieme agli altri giudici.

Durante gli interrogatori, Paolo Borsellino mostrò la sua insoddisfazione per non essere stato coinvolto fin dall’inizio nell’inchiesta su Mutolo. Tuttavia, partecipò attivamente agli interrogatori e durante le pause ebbe colloqui privati con Mutolo, da cui emerse una possibile connessione tra la mafia e Domenico Signorino, un procuratore al maxiprocesso, e Bruno Contrada, ex commissario di polizia e vice capo del SISDE.

L’interrogatorio a Messina

Sempre il 1º luglio, Paolo Borsellino ebbe un incontro con l’onorevole Nicola Mancino, che stava diventando Ministro dell’Interno. Le versioni degli eventi differiscono: secondo Mutolo, Paolo Borsellino gli disse di aver ricevuto una telefonata dal ministro, mentre secondo Vittorio Aliquò, che accompagnò Paolo Borsellino all’incontro, non c’era menzione di Contrada.

Il giorno precedente, Paolo Borsellino e Aliquò interrogarono Leonardo Messina, un nuovo collaboratore di giustizia legato a Cosa Nostra. Continuarono gli interrogatori il 1º luglio e successivamente il 17 luglio. Durante questi interrogatori, Messina svelò dettagli sulla spartizione degli appalti tra Cosa Nostra e i politici, e rivelò che la Calcestruzzi S.p.A. era sotto il controllo di Totò Riina.

Il 25 giugno, Paolo Borsellino ebbe un incontro riservato con il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. L’obiettivo di quell’incontro è stato soggetto a diverse interpretazioni. Secondo alcuni, Borsellino discusse di un dossier sulle connessioni tra mafia e appalti, mentre altri suggeriscono che discusse della negoziazione per catturare latitanti. Tuttavia, Borsellino cercò inutilmente di partecipare alle indagini sulla strage di Capaci e di fornire il suo contributo, senza mai ottenere l’opportunità di farlo. Anche pochi giorni prima della strage di via d’Amelio, il suo desiderio di contribuire rimase insoddisfatto.

La morte in Via D’Amelio

Il 19 luglio 1992, Paolo Borsellino insieme alla sua scorta, si recò in Via D’Amelio, dove risiedevano sua madre e sua sorella Rita. Alle 16:58, una Fiat 126 carica di tritolo, parcheggiata sotto l’abitazione della madre, esplose mentre il giudice stava passando, causando la morte del giudice stesso e dei cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’agente Antonino Vullo fu l’unico sopravvissuto, poiché era al momento della detonazione a parcheggiare uno dei veicoli della scorta.

Il 24 luglio, circa 10 000 persone parteciparono ai funerali privati di Paolo Borsellino, svoltisi nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac. La salma di Paolo Borsellino fu sepolta nel Cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.