Era il 28 agosto 1963 quando Martin Luther King, in piedi dinanzi al Lincoln Memorial a Washington, pronunciò uno dei discorsi più celebri in assoluto, trasferito di diritto nei libri di storia del genere umano. Parole, le sue, mosse da un credo e non da una fredda preparazione, non fino in fondo almeno.
In quei frangenti, ascoltandosi parlare e percependo le emozioni del suo pubblico, della sua gente, il reverendo si lasciò trasportare dal proprio sentire e dal sofferto vissuto, condiviso con chi, lì e altrove, necessitava di ascoltare esattamente quelle parole. Non un’esaltazione alla violenza ma alla resistenza e alla speranza.
Il discorso “I have a dream”, ecco come tutti lo ricordano oggi, certi che ogni frangente di quel momento storico fosse stato ampiamente studiato, come avviene in politica e, ovviamente, come si è soliti fare durante i sermoni in chiesa. Ciò è vero, ma fino a un certo punto, fino a quando le parole presero possesso di King, che dimenticò d’aver mai scritto qualcosa da dire, lasciando libero il cuore e segnando un giorno cruciale anche per il mondo della comunicazione.
Il discorso improvvisato
Sono diverse le fonti che hanno svelato il gran segreto del celebre discorso di Martin Luther King, ovvero l’ispirazione e non la preparazione. Quella più autorevole è senza dubbio rappresentata dall’autore Clarence B. Jones.
Questi ha affidato la sua storia al libro Behind the Dream, spiegando cosa sia realmente accaduto durante quel giorno a Washington. Tutto ha avuto inizio il giorno precedente, il 27 agosto 1963. Presso il Willard Hotel si erano riuniti in sette, Jones compreso, per rifinire il discorso. Tutti volevano lasciare il proprio segno, riuscendo a far sentire almeno in parte il proprio pensiero attraverso la voce del reverendo.
Tutto venne completato in tempo e il giorno seguente vennero anche distribuite copie del discorso ufficiale, quello previsto e non pronunciato fino in fondo, alla stampa. Nel confronto con la gente, la sua gente, esistono chiaramente due momenti. Nel primo si vede King guardare ripetutamente in basso, così da leggere quanto scritto. Nel secondo, invece, ciò che accade è magia.
Raccontagli del sogno
Durante il settimo paragrafo, racconta Jones, ci fu una pausa molto sentita e la cantante gospel Mahalia Jackson, ottima amica di King, gli gridò, pervasa da quel fervore, di raccontare a tutti del suo sogno.
È come se il reverendo non stesse aspettando altro. Le catene di quei fogli di colpo spezzate, lo sguardo fiero e mai più abbassato a leggere. Le pagine spostate di lato e la scelta, maturata in un attimo, di abbandonare qualsiasi sorta di finale avesse pensato in precedenza. Tutto avvenne al momento e, di certo sorretto dal confronto avvenuto nei giorni precedenti e dai punti cardine impressi nella sua mente, improvvisò la seconda metà del discorso, consegnandolo alla storia.
Un oratore inimitabile, prima ancora che un leader, riuscito a cambiare marcia senza preparazione, privo di rete di sicurezza. Quanto detto era stato in parte pronunciato due mesi prima a Detroit, al Cobo Hall, ma a Washington ha trovato la giusta collocazione, la perfetta esposizione e il momento ideale per ispirare quanti aveva dinanzi a sé e, ancora oggi, chiunque si prenda il tempo di sentirlo, ascoltandolo davvero.