Dove costa di più aprire un’impresa: la classifica (con amara sorpresa)

Secondo i dati raccolti dal World Bank Group, l’Italia manca di investimenti per agevolare l’apertura di attività imprenditoriali. E la burocrazia non aiuta

Imposte di registro, tasse di concessione, pagamento del bollo e dei diritti camerali. Queste sono solo alcune delle spese da sostenere per aprire un’attività imprenditoriale nel nostro Paese.

Una mole gigantesca di pratiche, adempimenti e richieste di permessi che qualsiasi italiano è costretto ad affrontare per vedere realizzato un progetto personale di business.

Il tutto chiaramente con costi non indifferenti, che molto spesso finiscono per spaventare e scoraggiare chiunque voglia intraprendere la strada dell’imprenditoria privata.

Ma non c’è solo questo: l’Italia infatti si porta appresso un retaggio del passato fatto di sfiducia e diffidenza nei confronti dei nuovi progetti d’impresa, con la tendenza a puntare su ciò che già lavora bene piuttosto che incentivare qualcosa di cui non si riesce a comprendere con precisione il tasso di rischio.

Uno scenario in cui il nostro Paese rappresenta un caso unico all’interno dell’Unione Europea e che proietta la penisola in vetta alla speciale classifica degli stati dove avviare un’impresa risulta più oneroso.

Lanciare una startup, quali sono le spese e a quanto ammontano

A mostrarlo è uno studio – che prende il nome di Doing Business Report – realizzato dal World Bank Group, l’istituzione comunemente conosciuta come Banca Mondiale che ingloba la Banca internazionale per la ricostruzione e l’Agenzia internazionale per lo sviluppo.

Questi due enti hanno come principale obiettivo quello di indagare le cause di povertà e instabilità economica tra i diversi paesi nel mondo.

L’ultima analisi prodotta mostra un forte squilibrio all’interno del quadro europeo, dove sussistono differenze sostanziali tra uno stato e l’altro per chiunque voglia concretizzare nuovi progetti di business.

Uno dei fattori principali rimane – come visto –  il prezzo della burocrazia in fase di lancio e presentazione. Questi particolari obblighi iniziali (registrazione, ottenimento delle concessioni, saldo delle prime imposte) vengono a costare, in media, circa 1.058 euro per una società a responsabilità limitata attiva sul nostro territorio.

Al contrario, prendendo l’esempio della Francia, le startup che si occupano di servizi di natura intellettuale hanno una registrazione gratuita, quelle ad attività commerciale pagano solo 100 euro, mentre per le attività artigianali il costo si aggira attorno ai 280 euro.

Inoltre, sempre in Francia, i progetti che investono in ricerca e sviluppo – e che vengono riconosciuti come innovativi – sono idonei a esenzioni dalle tasse e dai contributi previdenziali.

La spesa principale italiana, però, è quella per il notaio: la sola parcella media infatti si aggira intorno a 1500 euro, senza includere le spese aggiuntive relative al pagamento dell’Iva.

Investimenti e finanziatori, manca la fiducia, ma in Europa è diverso

Inoltre, sempre secondo il report, questi non sembrano essere gli unici fattori a gravare sugli investimenti o sul numero di startup di successo italiane (qui tutti i dettagli sul contributo startup).

La colpa infatti è da ricercare anche nel poco appetito per il rischio presente nella penisola, dove il venture capital per finanziare l’avvio e la crescita di un’attività viene ancora visto come un azzardo, con poche certezze e grandi margini di perdita.

L’Italia infatti si trova molto più indietro rispetto agli altri partner del continente in termini di nuovi investimenti. I numeri raccolti dal World Bank Group mostrano come, nell’anno 2020, i finanziamenti di venture capital in start-up italiane siano ammontati a 430 milioni di euro.

Un dato che impallidisce a confronto con quelli ricevuti, per esempio, dalle aziende tedesche, dove vengono investiti circa 6,4 miliardi di euro ogni anno.

Un divario difficile da colmare nel breve periodo, in quanto si dovrebbero coniugare nuove politiche di incentivo varate dallo Stato con una ridefinizione generale delle priorità da parte dei finanziatori (qui un esempio di come fare business tramite Instagram).

Italia (purtroppo) prima a livello europeo

E così, tra le infinite spese di partenza e la mancanza di fondi di supporto, il Belpaese si ritrova al vertice dell’infelice graduatoria apparsa nel report.

A conti fatti, il costo per l’avvio di un’attività imprenditoriale in Italia è il più elevato in Europa, con una cifra pari a 4155 euro complessivi e con una differenza di quasi 2000 euro rispetto alla seconda nazione in lista, i Paesi Bassi.

Di seguito la classifica completa (con il caso unico della Slovenia, dove lo Stato garantisce la massima copertura economica agli startupper):

  • Italia 4155 euro
  • Paesi Bassi 2207 euro
  • Austria 2109 euro
  • Belgio 2046 euro
  • Cipro 1886 euro
  • Finlandia 679 euro
  • Spagna 627 euro
  • Malta 528 euro
  • Germania 446 euro
  • Polonia 328 euro
  • Ungheria 312 euro
  • Francia 270 euro
  • Lettonia 244 euro
  • Portogallo 227 euro
  • Svezia 219 euro
  • Slovacchia 177 euro
  • Grecia 174 euro
  • Estonia 149 euro
  • Ceca 134 euro
  • Danimarca 93 euro
  • Lituania 76 euro
  • Irlanda 72 euro
  • Bulgaria 63 euro
  • Romania 32 euro
  • Croazia 22 euro
  • Slovenia 0 euro