Pensioni, Meloni studia l'”Opzione uomo”: come funziona

La leader della maggioranza di destra valuta le soluzioni per superare la Legge Fornero e riformare il sistema pensionistico

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Redazione

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Andare in pensione a 58-59 anni e con 35 anni di contributi, ma perdendo fino a un terzo dell’assegno per effetto del ricalcolo dell’importo col metodo contributivo. Giorgia Meloni avrebbe preso in esame questa come soluzione per superare una volta per tutte della Legge Fornero e il ritorno a gennaio del conseguente scalone del ritiro a 67 anni. La cosiddetta “Opzione uomo” ricalca l'”Opzione donna” già in vigore ma in scadenza a fine anno e prosegue il discorso già avviato con i sindacati dal governo uscente.

Pensioni, Meloni studia l'”Opzione uomo”: l’idea

L’esecutivo di Mario Draghi aveva infatti indicato la via dell’estensione di “Opzione donna”, per quella che nei primi tavoli con le parti sociali era chiamata appunto “Opzione tutti”.

La sostanza non cambia: l’idea è di consentire ai lavoratori flessibilità in uscita rinunciando alla pensione completa così da mettersi in pari con le nuove generazioni, già tutte con il sistema contributivo.

Un principio che trova il favore del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, secondo il quale “su questo eravamo orientati anche durante il governo Draghi. Quindi se si va in questa direzione poi ovviamente la politica deciderà ma si sembra che si è abbastanza in linea rispetto a quello che si stava facendo”.

Il numero uno dell’Ente di previdenza ricorda però che a scegliere l'”Opzione donna” è stato solo il 25% della platea: “Dato basso? – dice Tridico – È una scelta. Tutti sanno che col modello contributivo se si va in pensione prima si va con un minore assegno pensionistico. È normale nel nostro modello contributivo, ce lo abbiamo dal ’95, l’abbiamo riconfermato con la riforma Fornero”.

Ma l’ipotesi di “Opzione uomo” viene per adesso scartata dai sindacati con i quali Giorgia Meloni ha garantito “concertazione” su come decidere di riformare l’attuale sistema (qui avevamo ipotizzato come avrebbe potuto essere la riforma delle pensioni con il governo Meloni).

“Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile“, ha detto il segretario della Cgil, Maurizio Landini.

“Credo – ha detto a margine dell’assemblea nazionale dei delegati della Fillea-Cgil a Milano – che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico”.

“Credo poi – ha sottolineato ancora Landini – che ci sia un altro tema di fondo per dare un futuro pensionistico a tutti i lavoratori: bisogna combattere la precarietà”.

Pensioni, Meloni studia l'”Opzione uomo”: l’inserimento di Quota 41

In parallelo all’applicazione del modello allo studio di Giorgia Meloni, la Lega continua a insistere sulla la proposta di “Quota 41”, cioè una pensione anticipata per chi ha 41 anni di contributi, anziché 42 anni e 10 mesi per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne, ma con una soglia di età per attutire l’impatto sui conti pubblici (qui abbiamo riportato i 15 punti del programma della destra).

La scelta da parte del nuovo governo del modello dipenderà infatti strettamente dalle risorse a disposizione in bilancio. Per il Carroccio “Quota 41” costerebbe 4 miliardi di euro e poi 5 miliardi all’anno, mentre l’Inps sostiene che potrebbe pesare sulle casse dello Stato per 18 miliardi di euro nel triennio.

La spesa per i trattamenti pensionistici in Italia è destinata comunque a crescere: si calcola che quest’anno è stata di 297,3 miliardi, salirà a 320,8 miliardi nel 2023, a 338,3 nel 2024 e a 349,8 nel 2025, quando dovrebbe arrivare a costare il 17,6% del Pil (qui avevamo riportato le proposte dei partiti sulle pensioni per superare la Legge Fornero).