Al Sud ci sono più pensioni che stipendi: un sistema in affanno entro il 2028

Nel Sud Italia, pensioni erogate superano gli stipendi. Lecce, Napoli e altre province vivono una dipendenza dal welfare che si espande anche al Nord

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Pubblicato: 24 Agosto 2024 16:38

Nel Mezzogiorno, la realtà è già sotto gli occhi di tutti: in città come Lecce, Napoli, Messina, Reggio Calabria e Palermo, le pensioni erogate superano ampiamente il numero di stipendi, creando una dipendenza insostenibile dal welfare. Ma non è solo il Sud a essere in difficoltà. Secondo le proiezioni della Cgia di Mestre, entro il 2028 quasi tre milioni di italiani lasceranno il mercato del lavoro.

Più di due milioni di questi pensionamenti avverranno al Centro-Nord, regioni che fino a poco tempo fa venivano considerate immuni da questo problema. La verità è che l’intero sistema economico italiano rischia di piegarsi sotto il peso di un trend che appare inarrestabile.

Un mercato del lavoro in affanno

Secondo l’analisi della Cgia, tra il 2024 e il 2028 circa 2,9 milioni di italiani raggiungeranno l’età pensionabile, e solo 2,1 milioni di questi sono attualmente impiegati nelle regioni centro-settentrionali. Nel 2022, il numero complessivo dei lavoratori attivi in Italia era pari a 23,1 milioni, mentre le pensioni erogate sfioravano i 22,8 milioni, con un saldo positivo di appena 327.000 unità. Un margine esiguo, che si è ulteriormente ridotto nel corso del 2023, complice la crescita costante del numero di pensioni.

Il Paese si trova così a fare i conti con un ricambio generazionale sempre più difficile da sostenere. Meno giovani entrano nel mercato del lavoro, mentre la popolazione continua a invecchiare, portando a una diminuzione costante della forza lavoro disponibile. Il rischio è che il numero di pensioni superi in maniera definitiva quello degli stipendi già nei prossimi anni, anche nelle aree più produttive d’Italia.

Sud Italia: l’emergenza diventa sistemica

L’emorragia occupazionale è più drammatica nel Sud Italia, dove intere province sono già in deficit. Lecce, ad esempio, conta un saldo negativo di 97.000 unità tra pensioni e lavoratori attivi. Napoli segue con un divario di 92.000, Messina con 87.000, Reggio Calabria con 85.000 e Palermo con 74.000. La crescita di pensioni sociali, di invalidità e assistenziali è il segnale di una crisi che non riguarda solo la terza età, ma un’intera economia locale che fatica a rimanere a galla.

Questa non è una questione di sole pensioni di vecchiaia. Nelle regioni del Sud, infatti, i numeri dimostrano che il peso maggiore è dato dalle pensioni assistenziali e di inabilità, una vera e propria trappola per la sostenibilità del sistema. Si tratta di aree in cui il tasso di occupazione è già molto al di sotto della media nazionale, dove la natalità è in picchiata e il lavoro irregolare contribuisce a restringere ulteriormente la base di contribuenti.

Anche il Nord comincia a cedere

Il mito dell’invulnerabilità del Nord è ormai crollato. Undici province settentrionali presentano oggi un numero di pensioni superiore agli stipendi erogati. A Genova, per esempio, il deficit è di 20.000 unità, a Ferrara di 15.000 e a Imperia di 4.000. La Liguria, con tutte le sue quattro province in deficit, è il primo segnale di una situazione che rischia di espandersi a macchia d’olio. Anche il Piemonte non è immune, con Vercelli in deficit di 8.000 unità e Alessandria e Biella entrambe a -13.000.

Il trend è chiaro: regioni che fino a pochi anni fa trainavano l’economia del Paese, come il Veneto e l’Emilia-Romagna, si trovano a fronteggiare un numero crescente di pensionamenti senza avere giovani sufficienti a sostituirli. Le proiezioni indicano che la crescita del numero di pensioni continuerà a superare quella degli stipendi, aprendo scenari preoccupanti per la tenuta delle finanze pubbliche.

Gli effetti sull’economia: un quadro cupo

Un Paese in cui la popolazione anziana è in crescita inarrestabile non può che affrontare sfide enormi. Nel 2022, in Lombardia c’erano 3,7 milioni di pensioni contro 4,4 milioni di occupati, con un saldo positivo di 733.000. Ma non tutte le regioni sono altrettanto fortunate. In Sicilia, per esempio, le pensioni erano 1,6 milioni contro 1,3 milioni  di occupati, con un saldo negativo di 303.000. Il Sud, con un saldo complessivo negativo di 1.094.000 unità, sta vivendo un’emorragia economica che sembra difficile da fermare.

Questo squilibrio non si ferma al solo settore previdenziale: l’intero sistema economico nazionale è sotto pressione. Il mercato immobiliare, per esempio, potrebbe vedere una contrazione della domanda, poiché una popolazione più anziana è meno propensa a comprare o a rinnovare le proprie abitazioni. Lo stesso vale per settori come moda e trasporti, che vedono il loro pubblico ridursi e cambiare drasticamente. Nel frattempo, settori come quello sanitario e farmaceutico vedranno inevitabilmente una crescita esponenziale della domanda, con costi difficili da sostenere per lo Stato.