Pensioni, Quota 100: 42% di richieste al Sud. “Problema per i conti pubblici”

Un dato sbilanciato rispetto alla naturale distribuzione delle prestazioni pensionistiche in Italia, che mette a rischio i conti

Se n’era già parlato nelle scorse settimane, quando già emergeva un autentico boom di richieste di Quota 100 al Sud Italia, dove in realtà è erogato un numero minore di pensioni di anzianità rispetto al resto d’Italia. Ora i dati confermano la tendenza, con possibili ripercussioni sulla misura.

Ben il 42% delle quasi 53.000 domande presentate nelle prime tre settimane, per l’accesso alla pensione con Quota 100, è stato presentato al Sud. A evidenziare quella che viene definita “la prima sorpresa” degli effetti della misura prevista dalla legge di Bilancio 2019 e perfezionata dal ‘decretone’ del 29 gennaio scorso, è uno studio elaborato per il blog ‘Pensioni e Lavoro‘ dal presidente di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, e da Giovanni Gazzoli.

Le richieste di pensione con Quota 100 analizzate su base territoriale, infatti, non sono allineate con la distribuzione reale del numero di pensioni: i dati ci dicono, spiegano Brambilla e Gazzoli, “che il 48,4% delle pensioni di anzianità è erogato al Nord, il 29% al Centro e solo il 21,2% al Sud”. Dunque, sottolineano gli studiosi, “ci si aspetterebbe per quota 100 percentuali in linea con questi dati, facendo entrambe riferimento all’anzianità”. “Invece, la realtà è ben diversa. Sul totale nazionale di 52.918 richieste (dato aggiornato al 18/02/2019), ben il 42% proviene da regioni del Sud, mentre Nord e Centro si dividono equamente il restante 58%”, dicono aggiungendo: “In sostanza, se il Centro Italia corrisponde, il Nord è dimezzato mentre il Sud è raddoppiato”.

Molte delle domande presentate in Sud Italia sono di “categorie professionali per le quali – dati i modesti importi delle pensioni a calcolo, per via dei modesti contributi versati – si corre anche il rischio di dover integrare al minimo le pensioni, con un ulteriore aggravio per la finanza pubblica“. Il boom delle domande presentate al Sud trova radici nel fatto che “si tratta di lavoratori stagionali nei settori agricoltura e turismo, che vantano un’anzianità contributiva elevata (molti anni), ma caratterizzata da periodi di discontinuità lavorativa” sia “di lavoratori dei servizi legati al turismo”, dicono gli studiosi che avvertono: “Ma si potrebbe citare anche il caso dei lavoratori autonomi, che spesso hanno molti anni di iscrizione all’Inps, ma pochi contributi versati”.

“Senza poi considerare che, in virtù del ‘divieto di cumulo’, è lecito attendersi un aumento del lavoro irregolare (già elevato) soprattutto al Sud, dove mancano grandi complessi industriali e le possibilità di lavoro ‘in nero’ sono maggiori, ma anche nelle micro e piccole imprese del Centro e del Nord. Ed ecco perché, venendo infine all’assunto secondo il quale a un pensionato che esce dal mondo del lavoro corrisponde un giovane che vi entra, le possibilità che quest’eventualità si concretizzi sembrano prossime allo zero”, spiegano Brambilla e Gazzoli aggiungendo che “di tutte le richieste pervenute per la Quota 100, ben 18.271 sono riferite alla gestione pubblica, ossia il 34,53%. Un dato incredibilmente alto, se si pensa che dei circa 23 milioni di occupati italiani solo poco più di 3 milioni sono dipendenti dello Stato (dato tratto dall’Annuario statistico 2018 della Ragioneria di Stato), vale a dire il 14%: meno della metà della percentuale di richiedenti Quota 100!”.

Altra anomalia evidenziata dall’analisi di Brambilla e Gazzoli è “l’alto numero di lavoratori autonomi richiedenti Quota 100“. “In generale, in base alla gestione, quasi due terzi dei richiedenti – spiegano – si distribuiscono tra lavoratori dipendenti (37%) e gestione pubblica (35%), seguono commercianti e artigiani (entrambi all’8%) e, via via, cumulo (5%), fondi speciali (5%), coltivatori (2%) e, quasi nulli, gestione separata e spettacolo/sport”. “Se si considera che i lavoratori dipendenti privati sono 13,5 milioni e gli autonomi circa 4 milioni (29%), è sorprendente trovare più di 9 mila domande di artigiani, commercianti e agricoli a fronte delle 19mila dei dipendenti (47%). Anche in questo caso sarà peraltro difficile una staffetta generazionale e, invece, molto più probabile una prosecuzione del lavoro in maniera non ufficiale, ad esempio intestando l’attività a familiari. Con il rischio, per l’appunto, che a un aumento del lavoro irregolare si sommi il danno potenziale alle finanze pubbliche derivante dalla necessità di integrare al minimo parecchie di queste pensioni”, concludono gli studiosi.

Smentita la tesi che il reddito di cittadinanza va al Sud e la Quota 100 al Nord perché i dati dimostrano che gran parte delle domande per la pensione anticipata vengono proprio dal Sud”, dice ad Adnkronos/Labitalia Alberto Brambilla. “L’analisi – spiega – ci dice due cose. La prima è che c’è una vasta platea di quelli che hanno fatto domanda, che ha i requisiti di anzianità contributiva, ma con cifre basse. Dunque, la pensione che percepirà sarà probabilmente al di sotto del minimo di legge e andrà integrata. Poi, per via del divieto di cumulo di redditi imposto a chi usufruisce di Quota 100, molti della classe dei commercianti, artigiani, piccolissimi imprenditori, accederà alla prestazione anticipata ma è probabile che continui a lavorare intestando l’azienda alla moglie o al figlio. Dunque, un aumento del lavoro irregolare o sommerso”.

“La seconda cosa – aggiunge l’esperto – è che la famosa sostituzione 1 pensionato/1 lavoratore, che è un obiettivo di questa misura, è difficile che si realizzi. Quota 100 si inserisce in un ciclo economico molto negativo: al Sud il lavoro manca, fatta eccezione per il datore di lavoro pubblico, e al Nord le aziende ‘incentiveranno’ questa scelta, la incoraggeranno, senza però assumere altre persone. Insomma, fatta così, Quota 100 diventa una bella riduzione dei costi alle imprese pagata dallo Stato”.

In collaborazione con Adnkronos