La quinta notte di trattative ad oltranza ha portato finalmente ad un accordo sul Recovery Fund. Al di là delle cifre e della distribuzione dei finanziamenti, si è trovata una soluzione che consentirebbe la sola attivazione del freno di emergenza solo in casi eccezionali, che comporta un passaggio in Consiglio Europeo, senza conferirgli facoltà decisionali. L’intera procedura ricade sotto la competenza della Commissione Europea, le cui prerogative sono state esplicitamente richiamate nel testo dietro richiesta di Conte.
Perché uno dei punti dolenti fra paesi del Sud (e Italia in particolare) e ‘frugali” del Nord era proprio questo: soldi solo in cambio di riforme. A partire da quelle previdenziali ed assistenziali, che nel Nord Europa vengono percepite come sprechi. Una posizione rigorosa e intransigente, ma non così campata per aria, a guardare i numeri.
Il problema pensioni
Su Quota 100, che consente dal 2019 di andare in pensione a 62 anni con 38 anni di contributi, aveva del resto puntato il dito anche l’Ocse. “L’Italia – commenta l’Ocse già in un documento della fine dello scorso anno – ha fatto retromarcia rispetto alle misure approvate in precedenza”. L’indicatore più comunemente utilizzato per scovare i meccanismi che molti paesi introducono per favorire i pensionamenti anticipati è piuttosto semplice: la differenza tra l’età di pensionamento legale e quella alla quale si va effettivamente in pensione. Ebbene, siccome l’età di pensionamento legale in Italia è di 67 anni e dopo l’introduzione di quota 100 è scesa a 62 anni, la differenza è salita dai tre anni ante-riforma a cinque anni.
Si tratta dell’indicatore più alto tra i paesi dell’Ocse: e i “frugali”, se si guardasse solo questo aspetto, non hanno tutti i torti a lamentarsi: in Olanda si può uscire dal lavoro solo 2 anni prima dell’età legale, in Austria 3 anni, in Danimarca 1,3 anni e in Svezia addirittura si va in pensione più tardi dell’età legale. La sfida fra noi e i ‘frugali’ è persa anche in termini di spesa sul Pil: secondo il rapporto della Commissione europea del 2018, le pensioni in Italia pesano il 15,6 per cento, nell’area euro il 12,3 e, tanto per fare un esempio, in Olanda il 7,3 per cento.
Quota 100 nel mirino
Alberto Brambilla – grande esperto di previdenza, già leghista, ma assai critico su quota 100 – Nel recente “Quo vadis quota 100?” ha detto che l’effetto Covid peserà come un macigno: fino ad oggi le richieste sono state minori del previsto ma nei prossimi due anni la crisi e i possibili licenziamenti, potrebbero aumentare la propensione degli italiani a prepensionarsi. Nonostante il taglio permanente del 10 per cento dell’assegno ci potrebbero essere 100 mila uscite in più. Con un aumento dei costi, già previsti a 48,5 miliardi. Per ora il governo, con il viceministro del Tesoro Misiani (Pd), ha detto che Quota 100 rimarrà in vigore fino al 2021 perché agirà da ammortizzatore sociale. Ma per avere i soldi del Recovery Fund, bisognerà poi cambiare strada.
Perché in Europa saranno anche esageratamente rigoristi e rigidi, ma l’idea che l’Italia spenda più del dovuto in misure assistenziali atte a prendere voti più che a ricostruire un’architettura socio-economica sostenibile non è campata per aria. Dagli 80 euro di Renzi al Reddito di Cittadinanza del M5s a Quota 100 di Salvini, si è passati attraverso misure acchiappa-voti che continuano ad impoverire le casse dello Stato. E chi ci dà i soldi pretende giustamente garanzie.
Ovvio che molti lavoratori rivendichino giustamente il diritto ad andare in pensione dopo 40 anni di duro lavoro, ma il problema è nostro: siamo fra i più longevi del mondo, abbiamo praticamente più anziani che giovani, con tanto di casi clamorosi come il maggior numero di pensionati rispetto alla forza lavoro nella P.a. Noi, la pensione anticipata, non possiamo permettercela come sistema Paese.