Il “Decretone” su pensioni e reddito di cittadinanza ha fatto emergere un’altra importante novità che inciderà sulle liquidazioni di migliaia di dipendenti statali vicini alla pensione.
Si tratta di una delle tante “sfaccettature” messe in luce da quanto stabilito dalla nuova normativa sulle pensioni flessibili: la detassazione delle liquidazioni nella Pubblica Amministrazione, infatti, dovrebbe servire a compensare il cosiddetto “Prestito Ponte”. Un tema riguarda, in sostanza, quei dipendenti della PA che accederanno anticipatamente alla pensione tramite quota 100, le cui sorti si intrecciano “pericolosamente” con quanto previsto dalla Legge Fornero.
Quest’ultima, infatti, stabilisce che lo Stato è tenuto ad erogare la liquidazione solo una volta raggiunti i requisiti di legge ordinari per la pensione di anzianità o di vecchiaia. Dunque il rischio è che molti lavoratori, attraverso il nuovo meccanismo, potrebbero dover aspettare anche 8 anni prima di percepire la liquidazione. Da qui, la necessità per il Governo di attivare il cosiddetto “prestito ponte”.
Da questa operazione, il Governo prevede di dar seguito ad un piano di liquidazioni detassate per i pensionamenti di 896 mila statali, di cui 457 mila entro il 2021 e altre 439 mila negli anni a venire (anche successivamente al 2026). Nel primo caso, però, le detassazioni riguarderanno solo le liquidazioni relative ai rapporti di lavoro cessati nel 2018. Sono solo stime, ma è quanto emerge dal resoconto allegato al maxi-decreto di fresca approvazione e che riguarda anche la cosiddetta “pace contributiva“. Ma vediamo nel dettaglio cosa dovrebbe accadere.
Ragioni e meccanismo della detassazione
Tutto nasce dalla necessità di attingere ad un “Prestito Ponte” simile a quanto già fatto per l’anticipo pensionistico volontario (APE) che potesse garantire l’erogazione di almeno una parte del TFS (trattamento di fine servizio) nel caso di pensione anticipata tramite la quota 100.
Il costo dell’operazione, infatti, rischiava di ricadere sulle spalle degli stessi lavoratori: da qui l’idea del Governo di compensare gli oneri con uno sgravio fiscale applicato sull’imponibile dell’emolumento. In pratica, si compensano i costi attraverso un’imposta ridotta sul TFS, anziché un esborso a carico del dipendente.
La riduzione dell’imposta in questione, dovrebbe ammontare all’ 1,5% rispetto l’aliquota Irpef ordinaria per ogni anno che passa trascorso dalla cessazione del servizio all’erogazione effettiva della liquidazione.
Una volta trascorsi 60 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, l’agevolazione prevede un tetto massimo pari a 7,5%, per un tetto massimo complessivo di 50 mila euro. Oltre questa cifra si applicherà la tassazione ordinaria.