I figli hanno diritto alla pensione di reversibilità?

Pensione di reversibilità ai figli, è possibile? Sì, ma solo in alcuni casi ed entro i limiti previsti. In assenza di requisiti, l’Inps respinge o revoca la prestazione.

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Giorgia Dumitrascu

Avvocato civilista

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Pubblicato: 11 Aprile 2025 10:00

L’Inps ha esteso il diritto alla pensione ai superstiti anche ai nipoti maggiorenni, orfani, inabili e a carico del nonno o della nonna (Circ. Inps n. 64/2024). Un indirizzo che recepisce quanto stabilito dalla Corte Costituzionale in materia di reversibilità (Corte Cost. Sent. n. 88/2022) e rafforza la rete di protezione familiare sul piano previdenziale.
In parallelo, l’Inps stringe le maglie sui controlli dei requisiti per accedere all’assegno. Quando a presentare domanda sono figli maggiorenni studenti o inabili, la reversibilità non è automatica: è necessario dimostrare una reale dipendenza economica dal genitore e, se previsto, un’inabilità totale e permanente al lavoro.

I figli hanno diritto alla pensione di reversibilità?

Sì, i figli possono rientrare tra i beneficiari della pensione ai superstiti, istituto che comprende anche la cosiddetta “reversibilità” in senso ampio. Tuttavia, il riconoscimento del diritto non è automatico e dipende da requisiti specifici stabiliti dalla normativa vigente, come lo stato di inoccupazione, l’età, l’inabilità al lavoro e la condizione di carico economico effettivo nei confronti del genitore deceduto. La disciplina si rinviene principalmente nell’art. 22 della l. n. 903/1965, nell’art. 13 del D.lgs. n. 503/1992 e nelle disposizioni attuative dell’Inps, in particolare la Circolare n. 185/2015.

A seguito della riforma introdotta dalla l. n. 219/2012 e dal D.lgs. n. 154/2013, l’ordinamento non distingue più tra figli legittimi, naturali, adottivi o riconosciuti: tutti i figli sono giuridicamente equiparati. Pertanto, possono accedere alla pensione ai superstiti i figli del dante causa, purché vi sia stato un riconoscimento formale (o accertamento giudiziale) della filiazione e sussistano i requisiti richiesti dalla legge alla data del decesso del genitore.

I figli possono avere diritto alla pensione di reversibilità a patto che alla data del decesso del genitore risultino a carico del defunto. L’essere a carico non significa necessariamente che il figlio conviva con il genitore al momento del decesso, ma che vi sia un sostegno economico abituale e continuativo. Su questo punto, la giurisprudenza ha chiarito che:

“la dipendenza economica può anche essere dimostrata con trasferimenti di denaro regolari, pagamento delle spese scolastiche, mediche, abitative, ecc.” (Cass. sent. n. 8584/2020)

In quali casi i figli minorenni possono ricevere la pensione di reversibilità?

I figli minorenni rientrano tra i beneficiari naturali della pensione di reversibilità, senza necessità di ulteriori requisiti oltre alla condizione anagrafica. Pertanto, se alla data del decesso del genitore il figlio non ha ancora compiuto 18 anni, ha diritto alla prestazione a prescindere dalla sua condizione lavorativa o scolastica.

Quali sono i requisiti per i figli maggiorenni?

Una volta compiuti i 18 anni, il diritto alla pensione di reversibilità non decade automaticamente, ma è subordinato alla presenza di determinati requisiti. I requisiti previsti dalla legge e dalle disposizioni dell’INPS, sono:

  • proseguimento degli studi: il figlio maggiorenne può ottenere la pensione se frequenta regolarmente una scuola media superiore o un corso di formazione professionale, fino al limite massimo di 21 anni. Se è iscritto all’università, il diritto si estende fino ai 26 anni, a condizione che la frequenza sia continuativa e documentata, e che lo studente non sia fuori corso;
  • inoccupazione e dipendenza economica: il figlio deve essere privo di reddito sufficiente per il proprio sostentamento e che, alla data del decesso, fosse effettivamente a carico del genitore. Non è sufficiente lo stato di disoccupazione formale, ma la dipendenza economica deve essere reale e dimostrabile.

A differenza di quanto previsto per il coniuge superstite, la normativa non prevede riduzioni della pensione ai superstiti spettante ai figli in funzione del reddito personale. Tuttavia, ai fini dell’accertamento della condizione di “carico economico”, la presenza di redditi continuativi e sufficienti al proprio mantenimento può escludere il diritto alla prestazione. È dunque rilevante non tanto il possesso di redditi in sé, ma il fatto che alla data del decesso il figlio non fosse economicamente autosufficiente e dipendesse stabilmente dal genitore.

I figli maggiorenni inabili ne hanno diritto?

Per i figli maggiorenni inabili al lavoro, il diritto alla pensione di reversibilità, è dovuto a condizione che alla data del decesso del genitore risultino permanentemente inabili allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa e siano a suo carico.

L’inabilità riconosciuta, è una eccezione al limite anagrafico che consente al figlio maggiorenne di ricevere la pensione a tempo indeterminato. Occorre sottolineare che non basta una semplice invalidità o una ridotta capacità lavorativa. Per accedere alla pensione, l’inabilità deve essere totale e permanente, e riguardare qualsiasi attività lavorativa, anche diversa da quella abituale.

Inoltre, deve essere certificata da apposita documentazione sanitaria (modello SS3) e accertata dalla commissione medico – legale dell’Inps. E’ esclusa la rilevanza di inabilità parziali o di invalidità non totali, e non è sufficiente la titolarità di un riconoscimento di invalidità civile se non accompagnato dalla condizione assoluta di inidoneità a qualunque forma di lavoro, anche protetto.

Cosa si intende per inabilità al lavoro ai fini della pensione di reversibilità?

Si tratta di una condizione clinica grave e stabile, che esclude in modo definitivo la possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, anche in attività protette, leggere o non qualificate. In sintesi, non è sufficiente “essere malati” occorre dimostrare di non poter lavorare mai, in nessuna forma. L’Inps, infatti, non si basa solo sul grado di invalidità civile (espressa in percentuale), ma valuta se la persona sia effettivamente impossibilitata a svolgere qualsiasi tipo di lavoro. Pertanto, se e il figlio è in grado, anche potenzialmente, di svolgere un’attività lavorativa, non sarà considerato inabile nel senso richiesto dalla legge.

Come viene calcolata la quota di pensione di reversibilità?

Il calcolo della pensione di reversibilità per i figli si basa su una percentuale della pensione percepita (o maturata) dal genitore deceduto. Tali percentuali sono fissate per legge e si applicano sulla pensione spettante al dante causa, che sia già in pagamento o che sarebbe spettata in caso di pensionamento.

Le aliquote indicano la percentuale della pensione che può essere trasferita ai superstiti, tuttavia, non si tratta della quota che riceve ogni singolo familiare, ma della percentuale complessiva che l’Inps riconosce al nucleo familiare superstite nel suo insieme.

Ecco le principali quote previste:

  • 60% se il beneficiario è un solo figlio (senza il coniuge);
  • 80% se i beneficiari sono il coniuge più un figlio o due figli (senza il coniuge);
  • 100% se i beneficiari tre o più figli (con o senza il coniuge).

Quali sono le procedure per richiedere la pensione di reversibilità per i figli?

La procedura per richiedere la pensione di reversibilità per i figli va effettuata online sul sito Inps con SPID o CIE, oppure tramite un patronato abilitato. Se il beneficiario è un figlio minorenne, la richiesta deve essere effettuata da chi esercita la responsabilità genitoriale, ovvero il genitore superstite o il tutore legale.

Se invece, si tratta di un figlio maggiorenne ma inabile, bisogna precisare che, prima di procedere con la domanda, è necessario ottenere un certificato medico redatto da un medico abilitato (modello SS3) che attesti l’inabilità al lavoro.

Una volta inviata la richiesta, l’Inps esamina la documentazione per verificare la sussistenza del diritto alla reversibilità, lo stato anagrafico e gli altri requisiti richiesti dalla legge. In caso di esito positivo, il primo pagamento viene erogato entro 60 giorni dalla data di accoglimento, con accredito sul conto corrente, libretto postale o altro mezzo indicato in fase di domanda.

Durante tutto il periodo di erogazione della pensione, il beneficiario è tenuto a comunicare ogni variazione che possa incidere sul diritto, ad esempio, la fine degli studi, inizio di un lavoro, cambi di residenza, perdita dello status di inabilità, ecc. In caso di mancata comunicazione, l’Inps può sospendere la pensione, richiedere la restituzione delle somme indebitamente percepite e, nei casi più gravi, applicare sanzioni.