La pandemia frena la crescita dell’età pensionabile

I dati, diffusi dall'Istat a maggio, non permettono solo di inquadrare meglio l'impatto del Covid-19 sulla popolazione italiana, ma hanno conseguenze rilevanti anche sulle pensioni.

Foto di QuiFinanza

QuiFinanza

Redazione

QuiFinanza, il canale verticale di Italiaonline dedicato al mondo dell’economia e della finanza: il sito di riferimento e di approfondimento per risparmiatori, professionisti e PMI.

La speranza di vita alla nascita, senza distinzione di genere, è scesa nel 2020 a 82 anni, ben 1,2 anni sotto il livello del 2019. A pesare è stata ovviamente la pandemia: l’anno scorso ci sono stati 746 mila decessi, il 18% in più di quelli rilevati nel 2019. Gli uomini sono stati i più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita è scesa a 79,7 anni, ovvero 1,4 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si è attestata a 84,4 anni, un anno di sopravvivenza in meno. A 65 anni la speranza di vita è scesa a 19,9 anni (18,2 per gli uomini, 21,6 per le donne). Questi dati, diffusi dall’Istat a maggio, non permettono solamente di inquadrare meglio l’impatto del Covid-19 sulla popolazione italiana, ma hanno conseguenze rilevanti anche sulle pensioni.

Gli interventi

Negli ultimi anni le politiche in materia previdenziale sono state infatti improntate all’esigenza di garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema e ad attenuare la portata di alcune misure introdotte dalla legge di riforma previdenziale del 2011. All’interno degli interventi per perseguire un progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici per accedere alla pensione, assumono grande rilievo i provvedimenti che adeguano i requisiti anagrafici per l’accesso al sistema pensionistico all’incremento della speranza di vita. In sostanza, se l’attesa di vita sale, i requisiti salgono, con un limite massimo di 3 mesi ogni 2 anni: l’eventuale parte a debito, eccedente i 3 mesi, sarebbe poi recuperata negli incrementi successivi. Al contrario, se l’attesa di vita scende, i requisiti restano gli stessi, ma la parte negativa rimarrebbe a credito e sarebbe scontata dagli incrementi successivi.

Il primo adeguamento (in precedenza previsto per il 2015) è stato stato attuato il 1° gennaio 2013, mentre i successivi sono stati nel 2016 e nel 2019, secondo i dati dell’ufficio studi della Camera dei Deputati. A partire dal 2019 gli adeguamenti avvengono con cadenza biennale. Se si applica il meccanismo esposto in precedenza alla differenza tra la media dell’incremento di vita nel biennio 2019-2020 e in quello 2017-2018, l’incremento sarebbe negativo, pari a un decremento di tre mesi.

L’aspettativa

Il calo dell’aspettativa di vita causato dalla pandemia potrebbe quindi portare a mantenere i 67 anni come data della pensione di vecchiaia e di pensione anticipata contributiva fino al 2024; per la pensione anticipata il discorso è diverso: gli adeguamenti sono già stati bloccati per legge dalla riforma 2019 fino al 2026. Non sono ancora però arrivate conferme ufficiali in questo senso, e bisogna inoltre aspettare di avere i dati sull’aspettativa di vita per il 2021 e per i prossimi anni per fare ipotesi sulla seconda metà della decade. Nuove ondate di coronavirus da un lato, l’efficacia dei vaccini e il rimbalzo della natalità dall’altro, potrebbero incidere sugli scatti futuri. Se tutto però fosse confermato, nei successivi incrementi del 2025 il sistema pensionistico italiano avrà un credito di 3 mesi: il Covid, in sostanza, contribuirebbe a fermare l’innalzamento dell’età pensionabile per alcuni anni.

Per effettuare il calcolo dell’età pensionabile, è possibile ricorrere al tool gratuito di QuiFinanza.