Nelle ultime ore il governo presieduto da Giorgia Meloni ha tracciato una road map per affrontare in maniera compiuta e approfondita uno degli argomenti che toccano più da vicino la quotidianità dei cittadini italiani, ossia quello relativo alle pensioni. Tutti i membri dell’esecutivo – a partire dalla titolare del Lavoro, la ministra Marina Elvira Calderone – sanno bene quanto la partita sugli indennizzi provvidenziali incida sull’immagine della maggioranza agli occhi degli elettori, in particolare quelli più avanti con l’età.
Per questo motivo, in vista della prossima legge di Bilancio di fine anno (che si prevede, se possibile, ancora più ostica rispetto a quella del 2022), nessuno vuole trascurare nemmeno un dettaglio su una questione così delicata. Il percorso delineato da Palazzo Chigi prevede infatti una fitta serie di incontri che coinvolgeranno tutti gli attori interessati, a partire dai sindacati, convocati per discutere di questo tema nel pomeriggio di mercoledì scorso (12 luglio).
Pensioni, tutte le opzioni in vigore e le modifiche ipotizzate dal governo
Un incontro che ha rappresentato una sorta di secondo round, visto che le quattro principali sigle del Paese (Cgil, Cisl, Uil e Ugl) si erano già presentate al ministero del Lavoro il 26 giugno, proprio per discutere delle riforme da approntare al nostro sistema pensionistico nazionale. Il confronto tra il centrodestra e le parti sociali proseguirà inoltre il 18 luglio (per parlare di flessibilità), il 5 settembre (sulle possibili soluzioni per quanto riguarda Opzione Donna) e il 18 settembre (con un focus sulla provvidenza complementare).
In molti si domanderanno come mai il governo riponga tanta attenzione sull’argomento. Il motivo è presto detto: a fine 2023 andranno in scadenza sia Quota 103 che la stessa Opzione Donna, a cui si aggiunge l’Ape sociale. Stiamo parlando di quegli strumenti che ad oggi consentono a milioni di lavoratori di andare in pensione pur non avendo i normali requisiti previsti per legge: in particolare, occorre aver raggiunto i 67 anni di età per la normale fuoriuscita di vecchiaia, oppure bisogna aver accumulato 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).
Pensione di garanzia? Che cos’è e a chi verrebbe destinata
In tutto questo, c’è grande preoccupazione tra chi oggi si aggira attorno ai 40 anni di età. Molte di queste persone infatti si ritrovano al momento in uno stato di precarietà lavorativa che porterebbe il loro assegno provvidenziale ad un livello economico davvero molto basso, con cifre da fame. Un rischio certificato anche dalla Corte dei conti nell’ultimo rapporto pubblicato sullo stato di salute delle finanze pubbliche, in cui un intero capitolo è stato dedicato proprio alla condizione di chi è nato a cavallo degli anni Ottanta.
Aldilà delle singole situazioni, il rischio per coloro che guadagnano meno (ossia tutti quelli con un reddito lordo annuo inferiore ai 20mila euro, e sono molti) è quello di ritrovarsi con una pensione di poche centinaia di euro, con l’aggravante di non essere riusciti ad accumulare quasi nulla nel corso della carriera professionale. Un meccanismo frutto del sistema contributivo, che in Italia è in vigore dal 1996 (riforma del governo Dini).
L’obbiettivo odierno è dunque quello di tornare al sistema retributivo, che fino ad allora prevedeva l’intervento dello Stato a supporto degli assegni più modesti, cui veniva aggiunta una piccola integrazione per arrivare ad una soglia minima ritenuta accettabile. Questo supplemento prendeva il nome di “pensione di garanzia” ed è proprio questo lo strumento che il ministero del Lavoro ha intenzione di portare sul tavolo di discussione con i sindacati nei prossimi mesi.