Abolirlo no, ma modificarlo sì: così Giorgia Meloni ha promesso in campagna elettorale di intervenire sul reddito di cittadinanza, escludendo diversi beneficiari che, di fatto, oggi lo ricevono. Come potrebbe cambiare quindi il sussidio Inps destinato alle famiglie in difficoltà e ai disoccupati e inoccupati in cerca di lavoro?
Reddito di cittadinanza, come Giorgia Meloni vuole cambiarlo
Non è un mistero, anzi, l’abolizione del reddito di cittadinanza è stato uno dei cavalli di battaglia della destra. In campagna elettorale, infatti, Giorgia Meloni non aveva fatto sconti a chi, come il Movimento Cinque Stelle, difendeva a spada tratta il sussidio, e lo stesso avevano fatto molti suoi alleati (da Matteo Salvini, leader della Leda, a Francesco Lollobrigida, capogruppo parlamentare di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, giusto per citarne alcuni).
Questo zelo iniziale è stato però poi abbandonato, forse anche a fronte dei sondaggi elettorali che facevano perdere terreno alla destra, sposando i voti verso i pentastellati. Così la leader Fdi è di nuovo tornata – più cauta- sul reddito di cittadinanza, proponendone non la sospensione ma il miglioramento. Come? Per esempio destinando il sussidio solo a determinate categorie di soggetti. Quelli, secondo lei, che possono essere considerati più fragili, a rischio e, quindi, maggiormente bisognosi di tutele.
Chi saranno i nuovi esclusi dal reddito di cittadinanza? I piani del governo Meloni
Ripercorrendo quelli che sono stati i vari annunci prima del voto del 25 settembre (qui tutti i risultati e gli esclusi dal Parlamento), se Giorgia Meloni dovesse mantenere tutte le promesse fatte, la modifica del reddito di cittadinanza implicherebbe una esclusione di diversi soggetti fino ad ora invece appartenenti alle categorie di beneficiari.
Nello specifico, il nuovo governo Meloni potrebbe riconoscere il reddito di cittadinanza solo a:
- over 60 privi di reddito, e quindi disoccupati;
- invalidi;
- famiglie in difficoltà con minori a carico (anche se in questo caso non sono stati specificati i requisiti per cui un nucleo familiare può essere considerato più o meno “in difficoltà”).
Al contrario, il reddito di cittadinanza potrebbe essere tolto a chi ha tra i 18 e i 59 anni ed è in grado di lavorare. Una scrematura, questa, che si basa solo su condizioni anagrafiche e fisiche che escludono qualsiasi tipo di disabilità ma che, allo stesso tempo, non tiene conto di tutta una serie di condizioni ambientali, sociali e economiche che spesso differiscono da regione a regione (e a volte da città a città).
Insomma, se sei giovane e in salute puoi cercarti un lavoro, ingegnarti per avere dei mezzi di sussistenza, quindi non dovresti contare sul reddito di cittadinanza, anche se vivi in un territorio con un alto tasso di disoccupazione e percentuali di lavoro nero altrettanto preoccupanti.
Chi vuole salvare il reddito di cittadinanza
Ora, a prescindere che siate tra i critici o tra i sostenitori del reddito di cittadinanza, la domanda che viene da porgersi al riguardo è se questi paletti – in qualche modo – non rischiano di accentuare ancora di più le differenze di ceto, a discapito di chi ha meno, in una società in cui il divario tra ricchi e poveri è sempre più evidente. E queste perplessità, probabilmente, sono le stesse di Bruxelles.
Mercoledì 28 settembre, infatti, è stata presentata al Consiglio Ue una proposta di raccomandazione volta ad assicurare un reddito minimo adeguato nei Paesi Membri. Come sottolineato dalla Commissione europea, “i regimi di reddito minimo non sono uno strumento passivo, ma fungono da trampolino di lancio per migliorare l’inclusione e le prospettive occupazionali”, perché il loro scopo è quello di alleviare la povertà, incentivare il lavoro e mantenere costi di bilancio sostenibili.
Inoltre, è stato aggiunto: “Un reddito minimo adeguato è molto importante nell’attuale contesto di aumento dei prezzi dell’energia e dell’inflazione a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, poiché le misure di reddito possono essere mirate a beneficio specifico dei gruppi vulnerabili”.
Sussidi come il reddito di cittadinanza, quindi, non sono visti come mezzucci utilizzati da chi non vuole lavorare, al contrario, sono inseriti a pieno titolo nel “Piano d’azione del Pilastro europeo dei diritti sociali”, che – tra l’altro – mira a dare lavoro ad almeno il 78% della popolazione di età compresa tra i 20 e i 64 anni.
Per raggiungere questo obiettivo, però, il sostegno al reddito deve essere accompagnato da politiche inclusive di attivazione del mercato del lavoro e dall’accesso a servizi abilitanti di qualità, tra cui assistenza sanitaria, assistenza all’infanzia o alloggio, nonché la garanzia di quelli che sono i servizi essenziali per un cittadino. Non bisognerebbe togliere, quindi, ma aggiungere. Per questo motivo la raccomandazione del Consiglio ha come scopo quello di sostenere gli Stati membri nella modernizzazione dei loro regimi e renderli più efficaci, così da rafforzare l’inclusione sociale e il mercato del lavoro con particolari riguardi nei confronti delle persone a rischio e quelle più povere.
Lavoro e reddito di cittadinanza: perché la Meloni dovrebbe ascoltare l’Europa
Giorgia Meloni può prendere le distanze da quelle che sono le raccomandazioni Ue? Sì, può farlo. Le conviene? Probabilmente no.
Gli Stati Membri infatti possono ricevere finanziamenti dell’Ue e supporto tecnico per i loro investimenti e per le riforme che riguardano l’attuazione di un sistema che assicura il reddito minimo (come il reddito di cittadinanza appunto).
Per esempio, con un budget di quasi 99,3 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, c’è il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) destinato all’attivazione di piani di l’inclusione sociale. Poi c’è il programma per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI), che sarà integrato nel FSE+, per sostenere i progetti pilota innovativi sul reddito minimo (con quasi 10 milioni di euro). E ancora i piani nazionali nell’ambito del PNRR coprono un’ampia gamma di riforme e investimenti per rafforzare i sistemi di protezione sociale degli Stati membri in relazione alla loro efficacia, qualità e resilienza, soprattutto se questi investimenti si concentrano sulla lotta alla povertà e sul miglioramento dell’accesso ai servizi essenziali.
Di conseguenza, in un periodo in cui l’Italia deve fare i conti con una forte spinta inflazionistica (tanto che gli esperti, come vi abbiamo spiegato qui, parlano di una possibile e imminente recessione), poter contare su aiuti internazionali e avere supporto da parte di Bruxelles può veramente fare la differenza.
C’è da dire anche che, fino a quando le alleanze non sono state definite, la destra al governo potrebbe scendere a compromessi – anche sul reddito di cittadinanza – per assicurarsi la maggioranza in Parlamento. Ma questo è tutto da vedere.