In Italia si lavora male e in orari “antisociali”: l’allarme

Molti lavoratori italiani lamentano di non riuscire a conciliare vita sociale e orari di lavoro, con turni notturni e festivi non necessari

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

La recente indagine Plus dell’Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, ha evidenziato che la metà degli occupati in Italia lavora in orari considerati “antisociali“, ovvero sfasati rispetto alla maggioranza della popolazione.

Sebastiano Fadda, presidente dell’istituto, ha sottolineato come spesso la domanda di lavoro richieda disponibilità che vanno in conflitto con le esigenze della vita. E se per alcune professioni il lavoro di notte o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, come nel caso della sanità o della sicurezza, questa modalità di organizzazione sembra estendersi anche a campi dove non è strettamente necessaria.

Orari proibitivi, straordinari non retribuiti e permessi non concessi: il lavoro in Italia

Lo studio ha coinvolto 45 mila persone dai 18 ai 74 anni. Il 18,6% del campione dichiara di lavorare sia di notte che nei festivi, il 9,1% lavora solo il sabato e i festivi, e il 19,3% lavora solo di notte ma non di sabato o nei festivi. Gli uomini sono maggiormente impegnati sia di notte che nei giorni festivi, mentre le donne lavorano principalmente il sabato o nei festivi.

Dal sondaggio emerge anche che il 15,9% dei dipendenti svolge straordinari non retribuiti. Un dato che diventa particolarmente grave considerando che gli straordinari sono svolti dal 60% degli occupati, soprattutto dagli uomini. L’8,1% degli intervistati dichiara di non poter rifiutare il lavoro extra, sottolineando un problema più generale nella regolazione dei tempi di vita e lavoro.

Il rapporto Plus ha anche messo in luce le rigidità nella richiesta dei permessi. Il 21,3% degli occupati non può o non vuole prenderli per motivi personali, il 54,8% può prenderli, e il 23,9% può modulare l’impegno lavorativo. Gli uomini hanno maggiore autonomia, mentre le donne sono soggette a un contesto che scoraggia l’uso dei permessi.

Infine, gli autonomi che svolgono attività in condizione di para-subordinazione sono quelli che dichiarano più spesso di non poter prendere permessi o di non essere ben visti nel farlo.

Vecchi modelli da superare per eliminare in Italia gli orari antisociali del lavoro

Il professor Sebastiano Fadda ha sottolineato come sia urgente al giorno d’oggi avviare una seria riflessione pubblica, coinvolgendo tutti gli attori competenti, non solo per la riorganizzazione e la riarticolazione del tempo di lavoro, ma anche per la sua quantità e la sua distribuzione.

Da un lato gli italiani ricevono stipendi bassi e sono sempre più precari, come evidenziato qua da Inapp, e dall’altro non riescono a conciliare vita privata e lavoro in maniera armonica. Tutto mentre nel resto del mondo si discute sulla materia e si avviano sperimentazioni, che prevedono una riduzione di orario o la settimana lavorativa corta, come quello di cui abbiamo parlato qui.

Nel nostro Paese, ha sottolineato il presidente dell’istituto a margine della presentazione del rapporto Plus, è necessario ancora superare i vecchi modelli di organizzazione del lavoro (magari adottando un approccio agile), che incidono pesantemente e hanno effetti negativi o addirittura devastanti sui tempi di vita. Che spesso portano i nostri connazionali al burnout, come spiegato qui.

“Il mondo del lavoro è sempre più digitale, veloce, in costante evoluzione“, ha sottolineato l’esperto, “ma per gran parte dei lavoratori tradizionali si presentano problemi ancora irrisolti sul piano della distribuzione degli orari di lavoro”. E per questo è urgente intervenire anche con misure strutturali.