Mutui e affitti pagati dal datore di lavoro: spunta l’ipotesi

Il Governo avrebbe intenzione di allargare in Manovra il ventaglio dei fringe benefit, inserendo anche il mutuo e l'affitto tra i servizi pagati dall'azienda

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Anche il mutuo e l’affito di casa potrebbe essere compreso tra i fringe benefit. È una delle maggiori novità della Legge di Bilancio, all’esame della Commissione bilancio del Senato, in cui il Governo sta allargando sempre di più i beni e i servizi che il datore di lavoro può integrare al reddito dei dipendenti. Tra questi, oltre alla conferma dei bonus per le bollette di luce, acqua e gas introdotta lo scorso anno, si starebbe studiando anche l’inserimento di del canone di locazione o la rata del mutuo.

I criteri

L’allargamento dei fringe benefit dovrebbe dunque andare a modificare l’articolo 6 della Legge di Bilancio (qui abbiamo riportato l’allarme di Bankitalia sulla Manovra). Stando alle prime informazioni sulla misura, il fringe benefit concesso dal datore di lavoro dovrebbe coprire l’intero importo del canone d’affitto, mentre per il mutuo dovrebbe essere previsto un rimborso relativo soltanto alla quota di interessi.

Dato che l’inserimento del canone di affitto nel welfare aziendale sarebbe una novità assoluta, saranno necessarie direttive mirate da da studi e confronti tra esperti e ministeri. A regolare le coperture dei mutui, saranno invece, come indica ‘Il Sole 24 Ore’, due norme già esistenti: la risoluzione 46/E del 2010 dell’Agenzia delle Entrate e l’articolo 51, comma 4, lettera b, secondo il quale in caso di concessione di prestiti da parte del datore di lavoro, “si applica un criterio di determinazione forfettaria del valore imponibile del 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al termine dell’anno e quello applicato al lavoratore, al netto del contributo aziendale.”

Cosa comprendono i fringe benefit

Lo scorso anno la soglia dei cosiddetti fringe benefit era stata alzata a 3mila euro nel Dl Aiuti quater, come avevamo spiegato qui, dopo essere già elevata a 600 euro, per poi tornare agli ordinari 258,23 euro.

Nel 2024 la quota massima dei fringe benefit sarà alzata fino a 2 mila euro per chi ha figli fiscalmente a carico, con reddito fino a 2.840,51 euro nel caso degli under 24, e a 4 mila euro per chi ha compiuto 24 anni, mentre per tutti gli altri dipendenti il limite arriverà a mille euro (qui abbiamo delle novità in Manovra sui limiti del fringe benefit).

Come abbiamo spiegato in questo approfondimento di QuiFinanza, i cosiddetti fringe benefit rappresentano un’integrazione al reddito dei lavoratori, in forma di bonus erogati attraverso un determinato bene o un particolare servizio, e non sono necessariamente dei corrispettivi in denaro (qui avevamo spiegato cosa sono i fringe benefit e perché piacciono).

A stabilire direttamente come debbano essere trattati fiscalmente questi premi concessi dalle imprese è l’articolo 52 del DPR n. 917/86. Gli strumenti di welfare aziendale che i datori di lavoro possono prevedere nella contrattazione, vanno dai buoni spesa ai buoni benzina, e possono includere:

  • auto aziendale;
  • telefono cellulare, computer e tablet aziendali;
  • corsi di aggiornamento professionale;
  • prestiti agevolati;
  • servizio di mensa aziendale;
  • buoni pasto e buoni regalo;
  • rimborsi per spese sostenute dal dipendente;
  • polizze di previdenza complementare;
  • case in locazione;
  • sconti e convenzioni con negozi, palestre, centri benessere, ecc.;
  • borse di studio per incentivare l’accesso all’istruzione dei figli dei dipendenti;
  • stock options.