Tra i fringe benefit rientrano anche il mutuo ed il canone di locazione

Anche l'affitto di casa e gli interessi sul mutuo della prima abitazione rientrano tra i fringe benefit erogabili ai dipendenti

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Sono diverse le novità che riguardano i fringe benefit, che sono state introdotte attraverso la Legge di Bilancio 2024. Oltre l’elevazione a 1.000 euro per tutti i dipendenti e a 2.000 euro per quelli con figli a carico la soglia di esenzione fiscale, il legislatore ha introdotto la possibilità per i datori di lavoro di rimborsare ai dipendenti l’affitto e gli interessi del mutuo sulla prima casa. Questa misura, è bene ricordarlo, è stata introdotta unicamente in via sperimentale.

Ma entriamo nel dettaglio e soffermiamoci proprio su questa nuova possibilità introdotta dalla Manovra 2024. E scopriamo in quale modo i dipendenti possono fruire di questi particolari fringe benefit.

Fringe benefit: dal 2024 sono più generosi

Dal 1° gennaio 2024 sono state introdotte alcune importanti novità sui fringe benefit. I datori di lavoro hanno la possibilità di erogare servizi e beni in totale e completa esenzione fiscale per i dipendenti fino a 1.000 euro, importo che sale a 2.000 euro per quanti hanno dei figli a carico. Ricordiamo che fino al 31 dicembre 2023 il tetto massimo generalizzato era di 258,23 euro, mentre quello dei dipendenti con figli a carico era pari a 3.000 euro.

Le novità che sono state introdotte attraverso la legge n. 213 del 30 dicembre 2023 non finiscono. Il Legislatore non si è limitato a ridefinire le soglie dei fringe benefit, ma ha anche ampliato l’elenco dei beni e dei servizi che rientrano tra quelli che sono esentasse. Tra questi vi rientrano le spese per la casa, tra le quali ci sono gli interessi del mutuo sulla prima abitazione e gli affitti.

In cosa consistono i fringe benefit

Prima di procedere è bene ricordare in cosa consistono i fringe benefit. Sono dei benefici che i datori di lavoro elargiscono ai propri dipendenti, ma che non sono corrisposti in denaro. Possono essere, ad esempio, welfare aziendale. Alcuni esempi sono costituiti dai rimborsi per le spese di viaggio, per la benzina o per i buoni pasto. Non vi rientrano, invece, i libri di testo o le rette scolastiche.

Fino allo scorso anno risultavano essere esentasse per degli importi modesti – come abbiamo visto in precedenza fino ad un massimo di 258,23 euro per i dipendenti senza figli a carico -. La Manovra 2024, però, ha elevato questa soglia a 1.000 euro per tutti i dipendenti ed ha provveduto ad abbassare da 3.000 a 2.000 quella dei lavoratori con figli a carico, andando ad aggiornare quanto previsto dal Decreto Lavoro datato 1° maggio 2023.

Le aziende, inoltre, possono erogare – considerandolo come un fringe benefit esentasse – anche dei rimborsi per le utenze del servizio idrico, del gas naturale e dell’energia elettrica.

Affitto ed interessi del mutuo sulla prima casa

Il debutto più importante del 2024, però, è costituito dai rimborsi erogati per coprire le spese relative alla proprietà immobiliare, tra le quali rientrano il contratto di locazione o gli interessi sui mutui per la prima casa. Anche se, ad essere completamente sinceri, alcuni nodi e determinate problematiche corrono il rischio di allungare i tempi del debutto di questa novità, che costituisce una misura sperimentale.

Per quanto riguarda gli affitti, almeno per il momento, ci sono alcuni dubbi in relazione alle voci di spesa che realmente possono essere considerati come fringe benefit. La domanda a cui non si è data ancora una risposta, almeno per il momento, è quali voci vi possono rientrare tra le seguenti:

  • imposta di registro;
  • imposta di bollo;
  • Tari;
  • spese condominiali.

In questo caso spetterà all’Agenzia delle Entrate e ai ministeri competenti fornire indicazioni complete e precise sui costi che potranno essere effettivamente coperte dai fringe benefit esentasse.

Discorso diverso, invece, è quello che riguarda i mutui. Attualmente è in vigore una norma del Tuir, ossia il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che sostanzialmente ha stabilito che a concorrere alla somma da considerare come fringe benefit è la metà della differenza tra gli interessi calcolati con il tasso ufficiale di riferimento della Bce e quelli che vengono calcolati attraverso i tassi agevolati dipendenti.

La risoluzione dell’Agenzia delle entrate

Soffermandosi sempre in materia di interessi sui mutui per la prima casa, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 44/E del 25 luglio 2023, ha prescritto che il contributo erogato dal datore di lavoro debba essere accreditato direttamente sul conto corrente del prestito. L’operazione deve avvenire lo stesso giorno in cui la rata viene addebitata, in modo da evitare che l’importo rientri nelle disponibilità economiche del dipendente.

È bene sottolineare, che anche per fringe benefit relativi ai mutui e agli affitti, resta sempre l’obbligo del dipendente con dei figli a carico di allegare il loro codice fiscale. Spetta sempre al dipendente l’onere di comunicare al datore di lavoro eventuali cambiamenti del proprio nucleo familiare o la modifica del contratto di mutuo – o di affitto – provvedendo, quindi, alla restituzione di quanto percepito in sovrappiù.

Il calcolo degli interessi dei prestiti aziendali

Tra i fringe benefit rientra anche l’erogazione di finanziamenti a tassi agevolati rispetto a quelli mercati. Prima dell’approvazione del Decreto Anticipi 2023, la disciplina da rispettare era quella prevista dall’articolo 51, comma 4, lettera b) del Tuir, con la quale era stato stabilito che a formare il reddito di lavoro dipendente concorreva il 50% della differenza tra:

  • l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto in vigore al termine di ogni anno;
  • l’importo degli interessi calcolato effettivamente sugli interessi che vengono effettivamente applicati.

Nel corso del 2023 con i tassi della Bce in continua salita, molti dipendenti – soprattutto quelli del settore bancario – sono riusciti a beneficiare del tasso agevolato, ma hanno lamentato di trovarsi nella situazione di dover corrispondere – almeno di fatto – ad un tasso variabile anno per anno. Avevano chiesto al Governo una correzione del criterio di determinazione forfetaria del reddito per la determinazione delle ritenute applicate direttamente dai datori di lavoro.

Il Decreto Anticipi ha ovviato a questa criticità. Si è andati, infatti, a modificare – con efficacia dal periodo d’imposta 2023 – il criterio di determinazione del valore da assoggettare a tassazione dei prestiti, che vengono concessi ai dipendenti.

Il valore, ora come ora, deve essere calcolato come il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al Tur e l’importo degli interessi con il tasso effettivo. Il tasso ufficiale di riferimento da prendere in considerazione non è quello che risulta essere in vigore al termine di ogni anno, ma:

  • per i prestiti a tasso variabile, il Tur che risulta essere in vigore alla data di scadenza di ogni rata;
  • per i tassi a tasso fisso, il Tur da prendere in considerazione è quello in vigore nel giorno in cui è stato erogato il prestito.