Le nazioni in Europa dove si spende di più in ricerca e sviluppo

Gli ultimi dati aggiornati di Eurostat indicano numeri contrastanti per l'Italia, in materia di investimenti R&S. Numeri e percentuali

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Quanto spende oggi l’Unione europea in ricerca e sviluppo? E quali sono le nazioni che investono di più nel vecchio continente?

Di seguito ne parleremo focalizzandoci sugli ultimi aggiornamenti in materia forniti da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione responsabile della pubblicazione di statistiche e indicatori di alta qualità e che permettono confronti tra paesi e regioni.

In riferimento al 2020 – come indicato nel video sopra, insieme ad altre informazioni sullo scenario di alcuni anni fa – in Italia la spesa pubblica in ricerca e sviluppo per abitante, era stata pari a 56,7 euro. Questo dato poneva il nostro paese in 12esima posizione tra le nazioni dell’Unione Europea, ben distante dalla vetta della classifica, occupata all’epoca dal Lussemburgo con una spesa di 279,20 euro per abitante.

Ma qual è attualmente la posizione dell’Italia nella classifica delle spese in materia di ricerca e sviluppo? Ecco cosa sapere a riguardo, non prima però di aver inquadrato in sintesi il contesto di riferimento, spiegando che cos’è il settore ricerca e sviluppo, perché è così determinante per l’economia e il futuro di un paese e con quali strumenti si può investire in esso. I dettagli sull’ultima analisi offerta da Eurostat.

Che cos’è il settore ricerca e sviluppo

Partiamo dalle definizioni. Il settore ricerca e sviluppo, spesso abbreviato in R&S, consiste in una vasta area che include tutte le attività sistematiche e creative utili ad accrescere il bagaglio di conoscenze umane, ed usare queste ultime per nuove applicazioni.

L’area ricerca e sviluppo infatti comprende una varietà di materie, campi ed iniziative che attengono a più discipline scientifiche, tecnologiche e sociali. Nell’area ricerca e sviluppo troviamo così scienze come la chimica, la fisica o la biologia, l’ingegneria (nelle sue varie ramificazioni), ma anche la medicina, la biotecnologia o l’ecologia.

Pertanto la multidisciplinarietà connota l’area ricerca e sviluppo, che si rivela essenziale per innovare e rendere un paese sempre al passo con i tempi.

Perché investire in ricerca e sviluppo

Dalla sintetica definizione di cui sopra, è intuibile il rilievo degli investimenti in ricerca e sviluppo. Questi ultimi altro non sono che iniziative e risorse economiche erogate da uno Stato per:

  • promuovere innovazione e progresso scientifico e tecnologico
  • sostenere la crescita economica e il Pil
  • migliorare la competitività della rete di imprese all’interno del paese
  • mantenere la competitività internazionale
  • migliorare la qualità della vita della popolazione
  • attrarre investimenti e capitali dall’estero
  • attirare talenti internazionali, in grado di contribuire alla crescita economica e all’innovazione continua

Ecco perché le innovazioni ad es. nel campo della medicina o delle tecnologie ambientali, oppure gli investimenti in ricerca e sviluppo atti ad affrontare le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, sono elementi chiave dell’economia di uno Stato. Essi permettono di accrescere la produttività riducendo i costi di produzione.

Quali sono gli investimenti in ricerca e sviluppo

Gli investimenti in ricerca e sviluppo possono essere attuati in una pluralità di forme diverse, tra cui finanziamenti diretti, borse di studio per ricercatori, incentivi fiscali, investimenti in strutture e laboratori o acquisti di attrezzature. Ne beneficeranno centri di ricerca, università, hub di innovazione e poli tecnologici.

Come abbiamo ricordato sopra, gli investimenti in ricerca e sviluppo consentono agli Stati di restare competitivi in un’economia globale sempre più fondata sulla conoscenza e sul progresso. Ecco perché non deve sorprendere che gli Stati che maggiormente investono in ricerca e sviluppo siano ai vertici mondiali per ciò che riguarda campi tecnologici avanzati, come ad es. l’energia rinnovabile o la biotecnologia.

R&S, la spesa UE nel 2022: gli ultimi dati di Eurostat

Dopo queste premesse sul contesto di riferimento, sul ruolo e sull’importanza degli investimenti in ricerca e sviluppo, vediamo insieme i numeri più aggiornati in materia. Gli ultimi dati forniti da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, sono illuminanti. Nel 2022 sono stati stanziati circa 352 miliardi di euro in ricerca e sviluppo (R&S), a conferma di una linea che vede in aumento gli investimenti complessivi, anno dopo anno.

Il valore relativo di investimenti in ricerca e sviluppo per l’anno 2022, spiega Eurostat, indica il primato del settore delle imprese. Dunque le società private mostrano grande interesse per l’R&S, con ben il 66% della spesa totale e 233 miliardi di euro stanziati.

Al secondo posto troviamo le università con una quota pari al 22% e 76 miliardi di investimenti nel settore, mentre al terzo c’è il settore pubblico – con una quota pari all’11% e 37 miliardi di euro di stanziamenti.

A ben vedere, si tratta di un incremento di 6,3 punti percentuali rispetto al 2021, anno in cui gli investimenti si erano ‘fermati’ a quota 331 miliardi circa. Nel 2019, anno anteriore alla pandemia, gli investimenti erano stati pari a circa 312 miliardi di euro. Mentre se facciamo un confronto con una dozzina di anni fa, e dunque al 2012, l’incremento si attesta sul +48,52% (237 miliardi di euro).

I paesi più e meno virtuosi: il rilievo della spesa percentuale della ricerca rispetto rispetto al Pil

Andando a vedere la situazione dei singoli Stati membri UE, possiamo scoprire quali sono i paesi più ‘virtuosi’ in fatto di investimenti su ricerca e sviluppo. In particolare, se consideriamo la cd. intensità della ricerca e sviluppo, ossia la spesa in R&S come percentuale del Pil, i dati Eurostat (scopri quelli relativi alle troppe ore di lavoro in Italia) evidenziano vari aspetti interessanti.

Infatti l’ufficio statistico dell’Unione indica che sono quattro i paesi dell’Unione che nel 2022, anno cruciale per la ripresa economica dalla pandemia, hanno evidenziato il maggior impegno in materia, in termini di intensità di R&S superiore al 3%. Quella più elevata è stata registrata in Belgio (3,43%), con il podio completato da Svezia (3,40%) e Austria (3,20%). Medaglia di legno per la Germania (3,13%).

Vediamo anche i paesi dell’area UE meno propensi ad investimenti di questo tipo, secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat. Ebbene, cinque paesi facenti parte dell’Unione europea hanno mostrato un’intensità di R&S al di sotto dell’1%. Ci riferiamo in particolare alla Romania (0,46%), a Malta (0,69%), alla Lettonia (0,75%), a Cipro e alla Bulgaria (entrambi 0,77%).

Si tratta delle percentuali minori, ma è anche vero che non pochi paesi non fanno molto meglio e si aggirano comunque sull’1%. Basti pensare all’Irlanda, alla Slovacchia e al Lussemburgo. Dai dati Eurostat appare un divario molto evidente tra i paesi che spendono di più in ricerca e sviluppo e quelli che invece spendono meno.

La situazione dell’Italia: qual è la percentuale degli investimenti sul Pil?

Se ci si chiede delle iniziative ed investimenti adottati dall’Italia in materia, Eurostat indica che il nostro paese non fa molto meglio degli ultimi Stati che abbiamo menzionato. La percentuale dell’intensità di R&S si colloca infatti sull’1,33% punti percentuali circa. Una lieve flessione rispetto all’anno precedente, in cui l’Italia aveva investito l’1,43 % del proprio prodotto interno lordo e una posizione in classifica che, in base agli ultimi dati pubblicati, la colloca nelle retrovie tra i paesi UE, almeno sul piano della citata intensità di R&S.

Una diminuzione della percentuale dovuta alla coperta troppo corta, con le istituzioni interne che hanno preferito volgere altrove gli investimenti, ma altresì una situazione che accomuna vari paesi UE. L’Italia infatti non è la sola ad aver investito meno in termini di fondi per la ricerca.

Andando a dare un’occhiata ai dati Eurostat si può scoprire, ad esempio, che l’Irlanda ha evidenziato un calo di -0,6 punti percentuali, seguita da Finlandia (-0,45%) e Estonia (-0,35%). Anche la Francia nel 2022 ha speso un po’ meno con un -0,13%, passando dal 2,22 al 2,18 di percentuale spesa del Pil per ricerca e sviluppo.

Tuttavia, tra il 2012 e il 2022, l’intensità di R&S del vecchio continente è aumentata (in generale) di 0,14 punti percentuali. Gli incrementi maggiori sono stati individuati in Belgio (1,16%), in Grecia (0,77%) e in Croazia (0,69%).

Un differente confronto piazza l’Italia al terzo posto degli investimenti nell’Unione

Ma quindi l‘Italia investe poco in R&S? Se paragonati a quelli della Germania i nostri investimenti in ricerca e sviluppo appaiono decisamente bassi, ma i dati ci dicono anche che il nostro paese è il terzo in Europa a investire maggiormente nel settore R&D. Infatti se prendiamo in considerazione i miliardi di euro spesi, al di là del numero dei cittadini e dall’intensità del prelievo sul Pil, l’Italia si trova al terzo posto della classifica, dietro soltanto a Germania e Francia, rispettivamente con circa 121,4 miliardi di euro e 57,4 miliardi di euro investiti per ricerca e sviluppo. Il nostro paese nel 2022 ha infatti investito poco meno di 26 miliardi di euro e, dunque, meno della metà dei transalpini.

Siamo sì sul podio per quanto attiene ai miliardi investiti in ricerca e sviluppo ma, a guardare bene i dati, salta subito all’occhio quanto in realtà il nostro paese investa con poca ambizione. Se volgiamo l’attenzione alla percentuale di Pil investito, infatti, l’Italia tra i paesi europei si colloca molto più in basso in classifica.

Pochi investimenti in ricerca e sviluppo in Europa? La denuncia degli economisti

Recentemente ha avuto risalto il rapporto “La politica dell’innovazione dell’UE – Come sfuggire alla trappola tecnologica media?”, realizzato con il contributo di Clemens Fuest, Daniel Gros dell’Istituto per le politiche europee dell’Università Bocconi di Milano e il premio Nobel, Jean Tirole.

In questo report si analizza la situazione dell’Europa in materia di investimenti su ricerca e sviluppo, evidenziando che l’UE starebbe perdendo la corsa all’innovazione, rinunciando a parte del benessere economico e cedendo quell’influenza normativa e geopolitica che storicamente ha sempre avuto. Gli autori del citato rapporto evidenziano ad esempio che gli investimenti nella ricerca dell’UE si focalizzano nell’industria automobilistica e in settori collegati o simili, mentre il continente non sta cogliendo l’importanza di investire nelle aree ad alta tecnologia, come l’economia digitale.

Secondo questa interessante analisi il nostro continente sarebbe intrappolato in una sorta di stagnazione nella mid-tech, senza dare il dovuto rilievo ai progetti ad alta tecnologia ed ampio respiro, all’innovazione rivoluzionaria e al ruolo potenziale di scienziati e ricercatori di spicco e di chiara fama.