Il lavoro a chiamata (o anche lavoro intermittente) è una forma di lavoro flessibile in cui un lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione lavorativa secondo le esigenze del datore di lavoro, che può impiegarlo con modalità discontinue nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. È particolarmente diffuso in alcuni settori specifici come ad esempio quello turistico, della ristorazione o dello spettacolo.
Indice
Chi può essere assunto a chiamata
E’ possibile stipulare un contratto di lavoro a chiamata con:
- soggetti di età inferiore ai 24 anni (purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno) e di età superiore a 55 anni per lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività (ipotesi soggettiva);
- soggetti con età compresa tra i 24 ed i 55 anni, ma con restrizioni legate al tipo di attività svolta (ipotesi oggettiva).
In quest’ultimo caso, le attività possibili devono essere individuate da ciascun contratto collettivo di settore.
In mancanza di previsioni specifiche della contrattazione collettiva, occorre fare riferimento a quanto elencato nella tabella allegata al Regio Decreto n. 2657/1923, purché il lavoro non sia svolto in modo continuo.
Alcuni esempi di attività previste dal Regio Decreto includono: camerieri, custodi, commessi, barbieri, personale addetto al trasporto, addetti al centralino ecc.
Il contratto di lavoro
Il contratto di lavoro a chiamata può essere concluso a tempo determinato oppure indeterminato.
Dà inoltre diritto a ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo non inferiore a quello degli altri lavoratori di pari livello.
Il contratto deve essere predisposto in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi:
- durata e ipotesi ( oggettive o soggettive) che ne consentono la stipulazione,
- luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore,
- preavviso di chiamata del lavoratore, che non può essere inferiore a 1 giorno lavorativo,
- trattamento economico e normativo spettante,
- indennità di disponibilità, se prevista,
- forme e modalità, con cui il datore di lavoro richiede l’esecuzione dell’attività lavorativa e modalità di rilevazione della prestazione,
- tempi e modalità di pagamento della retribuzione,
- misure di sicurezza necessarie.
Limiti e divieti
Occorre prestare attenzione alle limitazioni imposte dalla legge all’uso del lavoro a chiamata.
Esiste, innanzitutto, un limite temporale secondo cui ciascun lavoratore intermittente può prestare attività con il medesimo datore di lavoro per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari.
Se il limite temporale viene superato il rapporto di lavoro viene convertito in indeterminato a tempo pieno.
Per la loro peculiarità, restano comunque esclusi da questa restrizione i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
Infine, in alcuni casi, l’uso del lavoro a chiamata è vietato per legge, in particolare:
- per sostituire lavoratori in sciopero,
- nelle unità produttive dove, nei 6 mesi precedenti, si sono effettuati licenziamenti collettivi di lavoratori con le stesse mansioni di quelli assunti con contratto a chiamata,
- nelle unità produttive in cui sia in corso un procedimento di cassa integrazione (parziale o a zero ore) che coinvolga lavoratori con le stesse mansioni di quelli assunti con contratto a chiamata,
- quando il datore di lavoro non ha effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla normativa sulla sicurezza dei lavoratori.
Adempimenti
Oltre ad effettuare la comunicazione di assunzione al competente centro per l’impiego prima dell’inizio della relazione lavorativa, il datore di lavoro è tenuto anche a comunicare in via telematica ogni chiamata del lavoratore (o un ciclo integrato di chiamate non superiori a 30 giorni) all’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
La comunicazione deve essere preventiva rispetto l’inizio della prestazione lavorativa (ma si può inviare anche il giorno stesso).
In caso di omissione della comunicazione è possibile incorrere in una sanzione amministrativa che va da 400 a 2400 euro per ciascun lavoratore.
Le informazioni hanno carattere generale e sono in riferimento al settore privato. Si consiglia sempre di verificare in base alla situazione specifica, al settore di appartenenza e al CCNL applicato.