Gli insegnanti violenti o indifferenti sono responsabili penalmente, la sentenza

La sentenza 30123/2025 della Cassazione chiarisce la responsabilità penale degli insegnanti, i rischi degli abusi a scuola e i diritti dei minori

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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La scuola è il luogo dove ogni ragazzo amplia le sue conoscenze, il terreno dove costruire il proprio futuro lavorativo e formare abilità tra cui concentrazione, memoria e pensiero critico. Tuttavia, come dimostrano frequenti casi di cronaca, in aula possono verificarsi episodi di bullismo e maltrattamenti, sia tra studenti che da parte di insegnanti, mettendo in discussione il ruolo educativo dell’istituzione scolastica e la tutela psicologica dei minori. Una recente sentenza della Cassazione, la n. 30123/2025, è di grande aiuto perché chiarisce i confini esistenti tra violenza educativa e abuso dei mezzi di correzione.

In particolare, i giudici hanno affrontato il delicato tema della responsabilità penale degli insegnanti per comportamenti violenti o umilianti verso i bambini. E hanno risposto a un’importante domanda: un professore o un maestro che assiste a casi di violenza in classe, ma non interviene per fermarli, può essere condannato per maltrattamenti?

La vicenda e le violenze documentate da video e chat dei genitori

Il caso riguardava due maestri di una scuola dell’infanzia, condannati in primo grado per maltrattamenti aggravati ai sensi del Codice Penale. Stesso esito in appello, pur con la riduzione della durata dell’interdizione dall’insegnamento a 2 anni.

Tutto era partito dalle denunce di alcune madri, che avevano segnalato comportamenti anomali degli insegnanti in una chat di gruppo su WhatsApp. Le autorità avevano disposto riprese video nell’aula: i filmati, registrati in circa due mesi, mostravano episodi ripetuti di violenza fisica e verbale nei confronti dei piccoli alunni, inermi e indifesi.

In base alle immagini raccolte, i bambini venivano tirati per le braccia, spinti, strattonati per il grembiule, colpiti sulla testa, presi a calci o schiaffi, o costretti a picchiarsi tra loro. Condotte definite dai giudici come gratuitamente violente, avvenute più volte anche nello stesso giorno.

Le difese dei maestri: “episodi isolati” e “intento educativo”

I maestri si difesero in tribunale facendo riferimento a una mancanza di abitualità, tipica invece per applicare il reato di maltrattamenti (art. 572 Codice Penale).

Al contempo, indicavano la mancanza di danno fisico o psicologico rilevante sui bambini, come pure la scarsa attendibilità delle dichiarazioni dei minori, che sarebbero stati sentiti in un contesto ormai “avvelenato” dalla diffusione mediatica del caso e dalle reazioni dei genitori.

Inoltre secondo i legali degli imputati i fatti erano stati inquadrati in modo sbagliato dal punto di vista giuridico. Andava applicata invece la sanzione del reato di abuso dei mezzi di correzione, più lieve dei maltrattamenti e compatibile con forme di rimprovero o punizione moderata.

Dopo l’esito negativo dei primi gradi di giudizio, gli insegnanti si rivolsero alla Cassazione, che bocciò le loro argomentazioni, ritenendole infondate e dando importanti chiarimenti a tutti.

I giudici d’appello avevano ragionato correttamente sul piano tecnico-giuridico, avevano ascoltato correttamente i bambini e disposto valide perizie tecniche. Inoltre, avevano valutato saggiamente l’insieme delle prove raccolte in più settimane.

Di certo non erano stati episodi sporadici, ma atti sistematici, in grado di creare un clima di paura e sopraffazione in aula e di nuocere alla sana crescita dei bambini.

La distinzione tra maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione

I giudici hanno, distinto severità educativa dal vero e proprio reato di violenza. Ma soprattutto hanno spiegato che, sul piano penale:

  • l’art. 571 Codice Penale punisce chi abusa dei mezzi di correzione leciti, vale a dire strumenti educativi usati in modo eccessivo (ad es. rimprovero verbale sproporzionato);
  • l’art. 572 Codice Penale riguarda i maltrattamenti in famiglia o verso soggetti sottoposti all’autorità del reo – come gli insegnanti e gli educatori – e richiede una condotta abituale di violenza o sopraffazione, anche psicologica.

Ebbene, la Corte di Cassazione rimarca che ogni forma di violenza fisica o morale, anche se fondata su intenti educativi, è illegale. Non a caso, nella sentenza si legge che:

Il ricorso alla violenza non è mai consentito per fini correttivi o educativi.

Con prove schiaccianti come le videoriprese fornite in aula, gli episodi ripetuti – schiaffi, spinte e minacce – rappresentavano palesi maltrattamenti nei confronti dei giovanissimi alunni.

E non è necessario che le violenze avvengano ogni giorno. Infatti, per l’abitualità che caratterizza il reato di maltrattamenti, bastano anche alcuni episodi offensivi e ravvicinati nel tempo, in grado di creare un clima di vessazione e disagio.

Punibili gli insegnanti che non intervengono

Non solo. Anche la condotta omissiva di un insegnante può integrare maltrattamenti.

In altre parole, non serve necessariamente picchiare o minacciare i bambini per essere penalmente responsabili: basta trovarsi in una posizione di garanzia e restare inerti, non rispettando l’obbligo di vigilanza e protezione dei giovanissimi.

Nel caso in oggetto una docente era presente durante gli episodi di violenza, ma senza intervenire. Questo bastò a condannarla per il reato in questione. Non a caso il Codice Penale sancisce che non impedire o tollerare un evento, che si ha l’obbligo legale di impedire, equivale a produrlo o a parteciparvi.

Gli alunni “spettatori” dei maltrattamenti vanno tutelati

Inoltre, spiega la Corte, sono persone offese anche i bambini “solo spettatori” e non vittime dirette dei maltrattamenti e percosse. Anche loro patiscono un danno – il disagio psicologico – che andrà risarcito ai genitori, al pari del danno patito dai bambini bersaglio delle aggressioni.

È un’interpretazione che si fonda sulla legge 69/2019 (Codice Rosso), che ha formalmente riconosciuto come persona offesa anche il minore che assiste a episodi di maltrattamento e violenza domestica.

Che cosa cambia per gli insegnanti

La scuola è un luogo talvolta complesso da vivere, se pensiamo che mancano gli insegnanti e 3 giovani su 10 vorrebbero lasciarla. Con la sentenza 30123/2025, la Cassazione spiega che non solo la violenza in sé, ma anche la passività comporta responsabilità penale.

Infatti, l’insegnante è per contratto in una posizione di garanzia. E risarcibili sono anche i danni psicologici subiti dai bambini presenti alle violenze, pur senza essere stati vittime specifiche.

La giurisprudenza è ormai consolidata: la violenza fisica o morale non può mai essere giustificata da finalità educative e il concetto di correzione va inteso in senso moderno, come educazione positiva e non coercitiva, in linea con la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia del 1989.

In breve, lo schiaffo educativo non esiste più nel diritto penale contemporaneo. L’uso della forza, anche minimo, è incompatibile con l’idea di rispetto e tutela del minore, e porta a conseguenze penali.

Concludendo, la sentenza 30123/2025 della Cassazione non soltanto conferma la severità dell’ordinamento verso ogni forma di sopruso sui minori, ma richiama tutta la comunità educativa a un modello fondato sul rispetto, sull’ascolto e sulla consapevolezza del ruolo formativo dell’adulto.

Al contempo la decisione è di orientamento per i genitori e per le scuole che, per prevenire casi come questi, dovrebbero formare il personale sui doveri di controllo e emanare appositi protocolli di segnalazione.