La Corte di Cassazione, con una pronuncia di poche settimane fa, ha affrontato il delicato tema dell’indennità di accompagnamento e dei requisiti per averla. Come è noto, quest’ultima è una prestazione economica versata da Inps alle persone con invalidità che da sole non sono in grado di compiere azioni come camminare, vestirsi o nutrirsi. Nella sentenza n. 28212, i giudici di piazza Cavour hanno accolto il ricorso presentato dagli eredi di un cittadino nei confronti dell’ente previdenziale, stabilendo un principio molto importante.
L’accertata necessità di supervisione continua nella deambulazione equivale, a tutti gli effetti, alla condizione di impossibilità di muoversi senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, prevista dalla legge per ottenere l’indennità in oggetto. Vediamo da vicino il caso concreto e i punti chiave di una pronuncia della Suprema Corte destinata a essere di riferimento per una pluralità di situazioni analoghe.
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La lunga vicenda giudiziaria e le rivendicazioni degli eredi
La disputa giudiziaria nasceva dal ricorso, presentato in tribunale da un cittadino che aveva richiesto all’istituto di previdenza il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento.
Ma il giudice di merito, con una prima sentenza di quasi 10 anni fa, aveva respinto la domanda, ritenendo non provata la condizione di impossibilità a deambulare senza l’aiuto continuo di una persona.
Gli eredi dell’uomo, nel frattempo deceduto, avevano proseguito la contesa fino alla Cassazione, la quale, con la pronuncia n. 16611/2018 aveva accolto il loro ricorso, annullando la sentenza impugnata per quello che gli Ermellini definivano un palese
contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili
nella motivazione del precedente giudice. Disposero così il rinvio della causa allo stesso palazzo di giustizia, per un nuovo esame.
Nella nuova tappa di questa delicata causa, con la sentenza n. 176/2021 il tribunale aveva modificato il suo orientamento, riconoscendo il diritto dell’originario beneficiario all’indennità di accompagnamento dal primo novembre 2014 fino alla data del decesso. Al contempo, il giudice condannò l’Inps al versamento della prestazione agli eredi.
Tuttavia la disputa non finì qui. Gli eredi, infatti, fecero un nuovo ricorso presso la Suprema Corte, sostenendo che il tribunale avesse nuovamente sbagliato nel valutare la situazione e i presupposti del diritto all’indennità di accompagnamento.
L’errore, secondo gli eredi, era nato da un’interpretazione troppo restrittiva della nozione di aiuto permanente. In sostanza, l’indennità era stata sì riconosciuta e retrodatata, ma non nella misura ritenuta congrua dagli eredi.
L’indennità di accompagnamento per l’aiuto permanente
Per giungere a una soluzione definitiva, la Cassazione ha ricordato quali sono le regole fondamentali in tema di indennità di accompagnamento.
Da un lato c’è il cosiddetto articolo unico della legge 18/1980 mentre, dall’altro, troviamo l’art. 1 della legge 508/1988. In sintesi, queste disposizioni riconoscono il diritto alla prestazione a due categorie di persone, ossia coloro che non sono in grado di:
- camminare senza l’aiuto permanente di una persona;
- compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza continua.
La questione centrale della lite ruotava attorno al significato di aiuto permanente di un accompagnatore.
Il tribunale aveva valutato che il movimento con appoggio e supervisione continua di un’altra persona non rientrasse in questa definizione, invece sostenendo. in aderenza alla tesi restrittiva dell’Inps, che fosse necessario un bisogno di assistenza più concreto e costante, come un sostegno fisico in ogni movimento.
Di tutt’altro avviso gli eredi, secondo cui il giudice di merito aveva sottovalutato la reale condizione del loro familiare, documentata da certificazioni mediche che indicavano un’andatura a piccoli passi e un alto rischio di cadute.
La supervisione continua equivale all’aiuto permanente?
La Suprema Corte infine accolse le richieste e le argomentazioni dei ricorrenti, facendo riferimento anche a quanto emerso dalla consulenza tecnica d’ufficio, compiuta durante il procedimento.
In effetti il consulente aveva accertato che, già anni prima del decesso, l’invalido necessitasse di aiuto e supervisione per camminare e che la deambulazione finì in seguito per aversi soltanto, come riporta la sentenza n. 28212:
con base allargata, con l’aiuto di appoggi e supervisione continua.
Il punto è proprio questo. Per la Cassazione questa condizione integra pienamente il requisito previsto dall’art. 1 della legge n. 18/1980: la supervisione implica cioè che la deambulazione non possa essere compiuta in autonomia e che l’aiuto sia continuo e non episodico.
In altre parole, ai fini dell’indennità in oggetto non è indispensabile la totale incapacità motoria. Per la Corte, il bisogno costante di una persona che vigili e assista nei movimenti, anche se non fornisce un sostegno fisico diretto, è comunque aiuto permanente ai fini del diritto alla somma.
Perciò, riconosciuto l’errore tecnico-giuridico del tribunale, la Cassazione ha accolto il ricorso degli eredi, bocciato la sentenza impugnata e rinviato nuovamente la causa al giudice di merito.
Quest’ultimo dovrà pronunciarsi ancora ma attenendosi all’interpretazione corretta dei giudici di legittimità, stabilendo anche le spese del giudizio. Gli eredi della persona deceduta durante il procedimento potranno così proseguire la causa e ottenere la maggior prestazione per il periodo spettante.
Che cosa cambia per l’indennità di accompagnamento
Quello dell’invalidità è un tema molto ampio e delicato, come confermano alcune nuove tecnologie e le sentenze della Consulta sull’assegno di invalidità minimo e sulla pensione di invalidità.
Ora, oltre ad avere un impatto diretto sulle modalità di accertamento sanitario da parte della commissione medica Inps, la recente sentenza 28212/2025 è un punto di svolta fondamentale nel contenzioso previdenziale relativo al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento.
Infatti, la Suprema Corte ha indicato un principio di civiltà giuridica: quando una persona non può muoversi in sicurezza senza la presenza costante di un accompagnatore anche solo per essere controllata e assistita, ha comunque diritto all’indennità di accompagnamento.
La vigilanza previene il danno e non è necessaria la totale incapacità fisica a muovere gli arti o la presenza di un accompagnatore fisicamente sempre presente.
In particolare, la pronuncia in oggetto è di monito per Inps e va incontro a tutti coloro che si trovano in situazioni di grave limitazione motoria, perché amplia e chiarisce il significato di aiuto permanente, ai fini del diritto alla prestazione assistenziale.
In pratica, il riconoscimento che la supervisione continua al fine di evitare possibili cadute o incidenti, equivale all’assistenza costante nel camminare, e le persone con bassa autonomia motoria – ancora in grado di compiere alcune azioni – potranno ora ottenere l’indennità di accompagnamento.
Ciò che conta per la Corte è la doverosità dell’assistenza costante e non la modalità pratica con cui si concretizza.
Inoltre, la sentenza citata ci indica che, in tutti i casi come questo, gli eredi di persone invalide potranno ottenere il pagamento delle somme dovute anche per periodi in cui Inps aveva negato la prestazione, se la condizione del loro familiare rientrava nella citata nuova interpretazione di aiuto permanente.