Gender gap nel lavoro, donne 18 punti indietro: carriera frenata dalle cure familiari

Il Gender policy report 2024 dell'Inapp spiega che le cure familiari ricadono quasi esclusivamente sulle spalle delle donne. Oltre a un freno per la carriera si tratta di una media di 5.000 euro in meno all'anno

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 17 Dicembre 2024 11:52

Il tema dell’occupazione femminile è come il classico bicchiere, che appare mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda della prospettiva adottata: se da una parte è vero che aumenta il numero delle donne che lavorano, è altrettanto vero che il gender gap occupazionale in Italia rimane critico. Si aggiunga poi che quando la famiglia chiama, a sacrificarsi à quasi sempre la donna, perdendo importanti opportunità di crescita professionale.

È il quadro tracciato dal Gender policy report 2024 dell’Inapp (Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche), che analizza i dati relativi all’anno precedente.

Il divario nel tasso di occupazione

Secondo il report, il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è salito al 52,5%, con un incremento di 1,4 punti percentuali rispetto al 2022. Parallelamente, il tasso maschile si è attestato al 70,4%, segnando un divario pari al 17,9%.

La situazione italiana si distingue negativamente nel contesto europeo: il tasso di occupazione femminile è di oltre 13 punti inferiore alla media dell’Europa unita (65,7%).

Il peso delle cure parentali

L’indagine conferma che il 64% delle persone inattive in Italia è donna, principalmente per esigenze familiari. Tra le donne inattive, il 34% indica come motivazione la cura familiare, un dato nettamente superiore rispetto al 2,8% degli uomini. Questo squilibrio è ancora più evidente nella fascia d’età della piena fertilità (25-34 anni), in cui la percentuale di donne inattive per motivi di cura sale al 43,7%, contro il 4% degli uomini. L’inattività maschile, al contrario, al netto dei dati relativi alla disoccupazione, è spesso relativa a motivi di studio.

In sintesi, se un uomo non lavora il più delle volte è perché sta migliorando la propria istruzione, mentre se una donna non lavora spesso si sta prendendo cura di bambini o anziani non autosufficienti.

I carichi familiari non si fermano qui: l’80% dei congedi parentali è richiesto da lavoratrici, e per il 16% delle donne la maternità coincide con l’abbandono del lavoro. La disparità è netta rispetto al 2,8% degli uomini. Inoltre, la retribuzione ridotta dei congedi contribuisce a un gender pay gap stimato in 5.000 euro annui.

Lavoro femminile ancora precario

Nel primo semestre del 2024 sono state registrate 4,29 milioni di nuove assunzioni, di cui solo il 42% ha riguardato le donne. Nonostante il 24,4% delle assunzioni sia stato incentivato da politiche agevolative, emergono tre aspetti critici relativi alla qualità del lavoro:

  • contratti instabili – la modalità prevalente di assunzione per le donne resta il tempo determinato (40,4%), contro il 45,5% degli uomini. I contratti a tempo indeterminato sono ancora più rari per le donne (13,5% delle assunzioni, contro il 18,3% degli uomini), superati dai contratti stagionali (17,6%);
  • diffusione del part-time – quasi la metà dei contratti femminili (49,2%) è part-time, a fronte del 27,3% degli uomini;
  • doppia debolezza – la combinazione di contratto a termine e part-time colpisce il 64,5% delle lavoratrici contro il 33% degli uomini.

Lavoro povero e divari retributivi

Un ulteriore fattore critico è la prevalenza del lavoro povero tra le donne: l’incidenza di occupazioni a bassa paga è del 18,5%, circa il triplo rispetto agli uomini (6,4%). Questa disparità è strettamente legata alle caratteristiche della partecipazione femminile al mercato del lavoro, come basse retribuzioni orarie e limitata intensità lavorativa.

Doppia marginalizzazione per le migranti

Il rapporto dedica ampio spazio alla condizione delle donne migranti, che si trovano a fronteggiare ulteriori barriere. Nel 2023 il loro tasso di occupazione era del 48,7%, inferiore a quello delle donne italiane (53%), mentre la disoccupazione si attestava al 14,2%, contro l’8,3% delle native.

A parità di qualifiche e mansioni, le lavoratrici migranti percepiscono retribuzioni inferiori rispetto sia agli uomini sia alle donne italiane, con una concentrazione nei decili più bassi della distribuzione salariale. Per chi migra per ricongiungimento familiare o matrimonio, il rischio di inattività è maggiore rispetto alle donne native, mentre le donne che migrano per lavoro si trovano spesso a dover gestire la complessa realtà degli “orfani bianchi”, cioè i figli lasciati nel paese d’origine.

Le direttive europee

Sul fronte normativo, il Gender policy report ricorda le direttive europee in materia di parità di genere che l’Italia dovrà recepire entro la primavera 2026:

  • le direttive 1499 e 1500 del 2024 mirano alla razionalizzazione e al sostegno degli organismi per la parità;
  • la direttiva 970 del 2023 introduce misure di trasparenza retributiva per garantire pari retribuzione a parità di lavoro.