Quando la legge blocca il mercato: il caso Liguria e il vincolo sugli alberghi

Con una pronuncia di valenza generale, la Corte Costituzionale dichiara illegittimo il vincolo alberghiero eterno in Liguria. Ecco come sono tutelati libertà d’impresa e principio di proporzionalità

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Ci sono casi in cui le leggi regionali contengono divieti o limiti che contrastano con principi e valori della Costituzione e sui quali, quindi, può utilmente esprimersi la Consulta. È successo, recentemente, in merito alle regole disposte dalla legge regionale sugli alberghi, varata più di dieci anni fa in Liguria.

Quando una contrapposizione è netta e il regime risulta eccessivamente rigido, tanto da poter danneggiare i cittadini, il rimedio è rappresentato dall’iniziativa di un Tar. In questo specifico caso, riguardante il mondo del turismo e le attività imprenditoriali degli albergatori, il giudice amministrativo ha espresso dubbi di costituzionalità e chiesto l’intervento della Corte Costituzionale, che si è pronunciata in modo favorevole agli imprenditori. Vediamo perché nella sua sentenza 143/2025.

La vicenda concreta e il “nodo” normativo

La decisione trae origine da un giudizio promosso dal Tar Liguria, chiamato a decidere sul ricorso di una società del settore turistico alberghiero contro un Comune ligure. L’impresa contestava il no opposto dallo Sportello unico per le attività produttive (Suap), alla richiesta di svincolo dell’immobile dalla destinazione ad uso alberghiero.

E il nodo della questione, evidenziata alla Consulta dal giudice amministrativo, era proprio il vincolo alberghiero a tempo indeterminato. In particolare, la norma regionale prevedeva che gli hotel potessero essere svincolati, esclusivamente per due precise condizioni alternative:

  • oggettiva impossibilità di adeguamento della struttura per vincoli paesaggistici, monumentali o urbanistici invalicabili, o per l’impossibilità di attenersi agli standard di sicurezza e accessibilità;
  • inserimento in aree inidonee all’attività alberghiera, fatti salvi i centri storici, le zone urbane a prevalente destinazione residenziale e gli immobili entro trecento metri dalla costa.

In breve, l’imprenditore non poteva chiedere lo svincolo “solo” perché l’attività non era più economicamente sostenibile e non generava profitto.

Perché il Tar si è rivolto alla Consulta

Il giudice amministrativo ha ritenuto che la norma si opponesse agli articoli 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, tanto da chiedere l’intervento della Consulta. Secondo il Tar, infatti, la legge ligure – oltre a limitare la competenza statale su questi temi – comprimeva:

  • la libertà di iniziativa economica privata in modo sproporzionato, imponendo di mantenere un’attività non più redditizia;
  • il diritto di proprietà in modo eccessivo, trasformando il vincolo in una sorta di esproprio di fatto senza indennizzo.

E, ancora, la legge regionale violava il principio di proporzionalità ed equo bilanciamento tra interesse pubblico e diritti individuali, come stabilito all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU di tutela della proprietà privata.

Il Comune si difese sostenendo che il vincolo per hotel e alberghi rispondeva a un interesse pubblico generale e costituzionale, come la protezione del patrimonio turistico e la tutela dei locali livelli occupazionali e dei contratti.

Perché la legge regionale è incostituzionale

Con la sentenza n. 143, depositata pochi giorni fa, la Corte costituzionale ha accolto le questioni del Tar e ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, comma secondo, della legge della regione Liguria 1/2008, nel testo sostituito dall’art. 2, comma quarto, della legge regionale 4/2013, nella parte in cui non permette ai proprietari degli immobili vincolati ad albergo di richiedere lo svincolo, menzionando la nuova destinazione d’uso, se non c’è più convenienza economico-produttiva nell’attività turistica.

Se è vero, infatti, che la disciplina del vincolo alberghiero risponde a finalità di utilità sociale e di regolazione dell’attività economica per fini collettivi, è altrettanto vero che questo limite non può, però, tradursi nella prosecuzione forzata di un’attività economica che non copre neanche le spese.

Regole di questo tipo, oltre a violare la Costituzione e la precedente legge quadro statale 217/1983, finiscono per mettere a rischio gli obiettivi di potenziamento dell’offerta turistica, allontanando gli operatori dal mercato e limitando le potenzialità organizzative dell’imprenditore, gravato da costi non compensati dai guadagni.

In sostanza, il vincolo di destinazione d’uso contrasta con la libertà di iniziativa economica privata stabilita dalla Costituzione e si inserisce in un sistema di norme liguri, che già offre i necessari rimedi per contrastare un eventuale abuso della facoltà di svincolo (come ad es. l’obbligo di motivare la richiesta e indicare la nuova destinazione d’uso e la restituzione delle eventuali agevolazioni pubbliche percepite).

La violazione del principio di proporzionalità

Non solo. Sul punto, la legge regionale si opponeva palesemente alla Costituzione, violando il principio di proporzionalità, che prescrive di privilegiare, tra tutte le misure, quelle idonee a determinare il minor sacrificio degli interessi contrapposti.

Nel caso concreto la norma ligure, ammettendo lo svincolo solo in due casi estremamente restrittivi, escludeva ogni valutazione sull’insostenibilità economica dell’attività. Ciò finiva per obbligare gli albergatori a mantenere aperte strutture in perdita, senza beneficio per la collettività e con effetti potenzialmente contrari agli stessi obiettivi di tutela del turismo.

Ecco perché i giudici costituzionali hanno rimarcato che queste regole incostituzionali impediscono ogni valutazione caso per caso. Di fatto viene negata ogni possibilità di riconvertire un immobile a un utilizzo differente da quello alberghiero-turistico, pur con un progetto motivato e supportato da dati utili alla sua proficua realizzazione.

Che cosa cambia e il monito per le normative regionali

Con la sentenza 143/2025, la Consulta ha ritenuto irrazionale, sproporzionato e controproducente l’effetto di una legge regionale che, nell’intento dei suoi autori, pur nasceva per potenziare l’offerta turistica. Vero è che la pronuncia della Corte Costituzionale riguarda direttamente il territorio della Liguria e le sue leggi, ma sottolinea anche che la regola ritenuta incostituzionale ostacola ingiustificatamente la possibilità di qualsiasi imprenditore di uscire dal mercato dell’ospitalità turistica (peraltro recentemente in gran spolvero quasi a voler ribaltare i dati non lusinghieri emersi nel confronto europeo). Perciò è di orientamento generale per tutto il mondo dell’impresa.

In sostanza, la Corte ha colto l’occasione per spiegare che una qualunque norma regionale di questo tipo, danneggia la libertà economica dei singoli, negando loro margini di flessibilità imprenditoriale e possibilità di adattamento alle novità del mercato.

Mentre il fattore della convenienza economico-produttiva dell’impresa alberghiera va sempre tutelato insieme all’integrità del patrimonio turistico-ricettivo e dei livelli occupazionali nel turismo, così come sancito dal Consiglio di Stato (parere 475/2021).

Per la Corte, un vincolo “immutabile” alla destinazione alberghiera non solo sacrifica il nucleo essenziale della libertà economica garantita costituzionale, ma può produrre effetti opposti a quelli voluti dal legislatore. Infatti, se gli imprenditori sono costretti a mantenere attività non più sostenibili, si disincentiva l’investimento nel settore turistico, con il rischio di abbandono e degrado delle strutture ricettive.

Concludendo, ben si comprende perché la portata della decisione vada, in realtà, oltre la dimensione geografica. La Corte richiama tutte le Regioni italiane al rispetto dei principi costituzionali, anche per quanto riguarda l’indicazione di regole d’uso del territorio e la relativa pianificazione turistica, sollecitando a bilanciare sempre gli interessi pubblici con quelli legittimi dei privati. Non a caso, la Consulta sottolinea che la sentenza è destinata ad avere effetti anche su altri territori regionali in cui norme simili sono ancora in vigore.