Stalking occupazionale, sentenza della Cassazione cambia le regole del mobbing sul lavoro

Se la vittima di mobbing finisce in un perdurante stato di ansia o di timore allora si ricade nella fattispecie di stalking occupazionale. La sentenza della Cassazione

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Dal mobbing allo stalking occupazionale: la Cassazione è intervenuta con la sentenza n. 32770 del 21 agosto 2024 per definire i contorni degli atteggiamenti vessatori reiterati sul posto di lavoro. La Corte ha sottolineato che “il mobbing, quando esercitato con modalità vessatorie reiterate e idonee a determinare un perdurante stato di ansia o di timore nella vittima, può essere ricondotto alla fattispecie dello stalking“. Tale interpretazione offre nuove armi ai lavoratori vittime di atteggiamenti non appropriati da parte del datore di lavoro, di un superiore o di un collega.

Il caso

La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di un docente universitario accusato di una serie di reati, tra i quali anche molestie sessuali sulle studentesse e abuso di autorità sugli specializzandi. Il docente ha messo in atto azioni sistematiche e prolungate travalicando, secondo le toghe, i confini del reato di mobbing: la Cassazione ha dunque ricondotto gli eventi allo stalking in ambito lavorativo, comunemente noto come stalking occupazionale.

Le azioni del docente sono state sistematiche e prolungate, creando un ambiente di lavoro ostile. Nello specifico, fra le condotte riscontrate in giudizio figurano la marginalizzazione professionale e l’adozione di atteggiamenti intimidatori e persecutori nei confronti degli specializzandi dissidenti.

La Corte ha riconosciuto che il mobbing può configurarsi come “stalking occupazionale” quando comportamenti vessatori superano la normale conflittualità presente in un ambiente di lavoro e diventano un “accanimento psicologico” verso le vittime.

I risvolti

Questa decisione apre la strada a una più efficace repressione dei comportamenti vessatori nell’ambiente lavorativo, riconoscendo che situazioni di mobbing possono essere trattate come stalking, ampliando così le tutele legali per le vittime.

Mobbing e stalking, le differenze

Si definisce mobbing l’insieme di comportamenti persecutori, vessatori e aggressivi posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire e emarginare la persona che ne è vittima. Il codice penale non parla espressamente di “mobbing“: il reato è però riconducibile a una serie di articoli, a seconda delle modalità in cui viene messo in atto:

  • l’articolo 572 punisce con la reclusione da 3 a 7 anni chiunque “maltratta una persona della famiglia” o persone equiparate. In tali casi si parla di mobbing coniugale e mobbing familiare;
  • l’articolo 582 punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni “chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente”;
  • l’articolo 610 punisce con la reclusione fino a 4 anni chiunque “con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa”.

Per stalking si intende una serie di comportamenti ripetuti, intrusivi e non desiderati da parte di una persona nei confronti di un’altra, che provocano in quest’ultima un senso di ansia, paura o angoscia. Questi comportamenti possono includere: pedinamenti, appostamenti, telefonate, messaggi e email, minacce verbali o scritte, atti di sorveglianza o di controllo, diffusione reiterata di informazioni false o diffamatorie, invio di regali non desiderati.

Lo stalking è stato definito con il Decreto Legge n. 11/2009, che ha introdotto nel codice penale l’articolo 612-bis, secondo il quale lo stalker è punito con la reclusione da 1 anno a 6 anni e mezzo, salvo che i comportamenti non rappresentino reato più grave.