Risarcimento agli eredi, Inail condannata per morte da Covid

Il tribunale di Parma ha accolto il ricorso condannando l'Inail, che aveva rigettato la domanda, a corrispondere agli eredi il relativo trattamento economico

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 26 Ottobre 2024 16:00

Il Covid torna a far parlare di sé, e non per le ultime varianti in circolazione. Recentemente gli eredi di un dipendente hanno ottenuto un risarcimento da Inail, per le conseguenze mortali patite da un lavoratore. La vicenda che ha condotto alla disputa giudiziaria e alla recente sentenza di primo grado, risale agli anni in cui la pandemia era una concreta minaccia alla salute, specialmente per quei lavoratori con mansioni a contatto con il pubblico.

Vediamo allora più da vicino il caso in oggetto e il perché della pronuncia del tribunale, facendo luce su un risarcimento per morte da Covid che sicuramente merita qualche precisazione. Ma cogliamo anche l’occasione per ricordare alcuni aspetti chiave della normativa sugli infortuni sul lavoro.

Il caso

A dare notizia dell’esito del procedimento è stata la Cgil, che ha seguito la controversia con il patronato Inca. Un macellaio morì nel 2020 per le conseguenze alla propria salute dovute al contagio da Covid-19. Il tribunale di Parma, incaricato di valutare il ricorso espressamente formulato dalla vedova dell’uomo tramite il suddetto patronato, ha tratto conclusioni differenti da quelle dell’Inail – dato che l’ente aveva rigettato la domanda finalizzata ad ottenere il trattamento economico a favore degli eredi. Infatti l’istituto non aveva riconosciuto la morte del lavoratore come strettamente collegata all’infortunio sul lavoro (contagio da coronavirus).

In tribunale gli accertamenti dei fatti si sono però conclusi favorevolmente, rispetto alle richieste dei familiari della vittima. In particolare, sono serviti i consulenti tecnici e i medici legali per ricostruire la vicenda con attenzione al dettaglio, consentendo al magistrato competente di riconoscere il nesso causale tra infezione da coronavirus e svolgimento dell’attività di lavoro.

In corso di causa era emerso, peraltro, che la distanza interpersonale – di un solo metro tra l’area di lavoro e i clienti – non poteva costituire una garanzia di sicurezza in base alle norme vigenti all’epoca, e che le barriere di plexiglass erano state installate soltanto successivamente all’infezione rivelatasi letale. L’ambiente di lavoro era inoltre chiuso e con scarsa ventilazione, mentre le goccioline respiratorie – assai pericolose all’epoca per la diffusione dei contagi – possono arrivare anche a otto metri di distanza. Non solo. Alla cassa il macellaio si trovava ancora più vicino ai clienti, con un conseguente aumento del rischio di infezione.

La decisione

Il tribunale ha stabilito che il decesso del macellaio è stato causato da Covid contratto durante l’impiego. Per questo ricorre un caso di infortunio mortale sul lavoro. La sentenza ha in particolare condannato l’Inail a risarcire gli eredi della vittima, dopo aver rigettato inizialmente la loro domanda.

Al fine di ottenere il riconoscimento dell’infortunio mortale sul lavoro, e della conseguente tutela economica a favore degli eredi, si sono rivelate determinanti le relazioni medico legali. Dopo queste ultime, infatti, l’istituto di previdenza ha scelto di accogliere postuma la domanda di inabilità e assegnarne i benefici agli eredi senza aspettare la sentenza del tribunale.

Se il provvedimento del giudice è andato incontro alle richieste dei familiari, non di rado però sindacati e patronati criticano l’operato di Inail e Inps, per quanto attiene ai riconoscimenti medico legali, in quanto l’istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro frequentemente indica un’asserita assenza di nesso causale tra patologie o infortuni e attività lavorativa, mentre Inps non di rado preferisce la strada della disputa legale con il cittadino, allungando ulteriormente i tempi dei riconoscimenti dei trattamenti e accrescendo i costi della macchina giudiziaria. Salvo poi poi riconoscere quanto negato in precedenza, proprio a ridosso delle sentenze – come successo in questa vicenda.

Che cosa cambia

Tale vicenda costituisce un precedente degno di nota, per quanto attiene al riconoscimento delle morti da coronavirus intese come infortuni sul lavoro. Di fatto la sentenza di tribunale potrà indicare la strada per ulteriori richieste di risarcimento da parte di familiari di altre vittime di Covid, a patto ovviamente di provare il nesso di causalità tra contagio e attività di lavoro.

Infortunio sul lavoro, elementi costitutivi e nesso di causalità

Cogliamo l’occasione per ricordare che – in linea generale – per infortunio sul lavoro (che in alcuni casi può diventare malattia) si deve intendere ogni lesione provocata nell’ambito dell’esercizio dell’attività di lavoro, da causa violenta che comporti la morte della persona o ne menomi parzialmente o totalmente la capacità lavorativa. Come spiega il sito web del Ministero del Lavoro, a comporre gli elementi di tale infortunio abbiamo quindi:

  • la lesione
  • la causa violenta
  • l’occasione di lavoro

Inoltre, il concetto di “occasione di lavoro” impone che ci sia un nesso causale tra l’attività di lavoro e il verificarsi dei rischio cui può scaturire l’infortunio (mortale). Tecnicamente si usa dire che il rischio considerato è quello specifico, ossia quello determinato dalla ragione stessa dell’attività lavorativa. Gli infortuni sul lavoro sono eventi ricorrenti, come si può leggere spesso nelle notizie di cronaca, e potrà sorprendere che – in proporzione – sono meno frequenti di notte.

Adempimenti in caso di infortunio sul lavoro

Il lavoratore lesionato ha il dovere di informare immediatamente l’azienda o il proprio datore di lavoro di qualsiasi infortunio gli sia capitato, anche se di lieve entità, altrimenti perde il diritto all’indennità per i giorni anteriori a quello in cui il datore di lavoro ha avuto notizia dell’infortunio.

Inoltre egli deve comunicare immediatamente al datore i riferimenti del primo certificato medico (numero identificativo, data di rilascio ed eventuale periodo di prognosi) e dei certificati posteriori. Di seguito, l’azienda – entro due giorni da quando ottiene dal lavoratore i dati di riferimento del certificato – ha il dovere di inviare digitalmente all’Inail, ai meri fini statistico/informativi, la comunicazione dei dati dell’infortunio se la certificazione medica include una prognosi di almeno un giorno (escluso quello dell’infortunio).

Mentre, in ipotesi di infortunio mortale o con pericolo di morte, il datore deve segnalare all’Inail l’evento entro ventiquattro ore e con qualunque mezzo che consenta di comprovarne l’invio, fermo restando comunque l’obbligo di inoltro della denuncia nei termini e con le modalità di legge (art. 53, comma 1 e 2, Testo unico 1124/1965).