Si possono registrare le conversazioni dei colleghi sul posto di lavoro, per utilizzarle eventualmente a fini difensivi e far valere le proprie ragioni presso il giudice del lavoro? Secondo la Cassazione la risposta è un sì e – anzi – l’uso di queste registrazioni è libero e non richiede l’ok delle persone presenti. Tuttavia ci sono alcuni distinguo da fare.
In materia, la linea giurisprudenziale è consolidata e la Suprema Corte ne ha recentemente dato conferma con la decisione 20487 di quest’anno. Vediamola in sintesi insieme alla vicenda che ha portato alla disputa giudiziaria, ma cogliamo anche l’occasione per ricordare quando le registrazioni possono essere effettivamente utili alla tutela dei propri diritti.
Indice
La vicenda, le conseguenze disciplinari e l’esito dei primi due gradi di giudizio
La controversia era nata da un procedimento disciplinare avviato dalla società datrice di lavoro, contro un suo dipendente. A quest’ultimo era contestata la registrazione “clandestina” di una conversazione avutasi in azienda, tra il direttore del personale ed una dipendente. Al termine dell’iter previsto dalla legge, seguì una delle sanzioni disciplinari previste dalla legge, la sospensione dal lavoro.
Il dipendente punito si oppose e scelse di impugnare giudizialmente la sanzione per vederla dichiarare illegittima dalla magistratura, ma sia in primo che in secondo grado la sua richiesta fu bocciata. Il punto interessante è che la registrazione era stata prodotta in giudizio soltanto due anni dopo, nell’ambito di un ricorso per condotte vessatorie e anteriori contestazioni disciplinari.
Proprio perché fatta in mancanza di un procedimento giudiziario pendente o imminente, i giudici di merito – accertando i fatti – hanno confermato la sanzione e non hanno giustificato la registrazione occulta con l’esercizio del diritto di difesa. Infatti, quest’ultimo – come chiarito da costante giurisprudenza (tra cui ad es. la sentenza Cassazione 28398/2022) – costituisce eccezione alle regole di tutela di cui all’art. 24 Codice Privacy e all’art. 51 del Codice Penale. Nel caso concreto, inoltre, la registrazione – della durata di un paio d’ore – non presentava alcun collegamento con il successivo giudizio.
La registrazione occulta e il rischio “boomerang” disciplinare, la Cassazione chiarisce
La disputa proseguì in Cassazione e qui, con la citata ordinanza n. 20487, la Corte ha sostanzialmente condiviso il ragionamento logico-giuridico dei precedenti giudici. Se è vero che, alle regole generali sulla riservatezza, ci sono:
deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito
è però altrettanto vero che, alla luce dei fatti concreti di volta in volta accertati in tribunale, la registrazione di conversazioni – senza il consenso dei presenti – può portare a serie conseguenze disciplinari. Lo indica un filone giurisprudenziale consolidato (ad es. Cass. 11999/2018 e 16629/2016).
Nel caso che qui interessa, la Suprema Corte ha bocciato la richiesta del dipendente sanzionato perché ha stabilito che non c’era alcuna base legale per la registrazione, come accertato nei primi due gradi di giudizio.
Quando la registrazione è prova in tribunale
Per giurisprudenza, la registrazione all’insaputa dei presenti è una riproduzione meccanica ai sensi dell’art. 2712 Codice Civile. Quindi attenzione perché la prova ha piena efficacia soltanto se la controparte, non ne contesta la genuinità. In sostanza la registrazione è piena prova dei fatti e delle dichiarazioni in essa incluse, salvo che la parte contro cui è prodotta non ne contesti la conformità ai fatti stessi.
In termini pratici, questo vuol dire che:
- se l’azienda o il collega riconosce come autentica la registrazione, quest’ultima potrà essere usata come prova (decisiva) in un processo;
- se invece la registrazione è contestata, il magistrato potrà valutare di considerarla un mero “argomento di prova”, un fattore che – combinato agli altri elementi di prova – potrà portare alla decisione del magistrato ma che, da solo, non è decisivo per l’esito della lite.
Considerati i poteri del giudice, è chiaro che le registrazioni sul lavoro dovranno essere sempre raccolte e usate con estrema cautela e non è detto affatto che le parole della conversazione, alla fine, diano ragione al dipendente.
Quando utilizzare le registrazioni, casi pratici e consigli
Il diritto di difesa non è limitato al puro e semplice processo, estendendosi a tutte quelle attività mirate a ottenere prove in esso utilizzabili, ancor prima che la controversia sia iniziata con citazione o ricorso.
Non è illegale registrare conversazioni con colleghi o superiori, in particolare quando si teme di essere oggetto di comportamenti illeciti o ingiusti, come ad es. discriminazioni, mobbing (che ha alcuni segnali tipici), minacce o altre violazioni contrattuali. Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 20487 del 2025, ricordando lo spartiacque tra diritto alla riservatezza dell’interlocutore e diritto del lavoratore a tutelarsi.
Attenzione però, come spiega la costante giurisprudenza i dati così ottenuti devono sempre essere utilizzati – esclusivamente e tempestivamente – per la finalità di tutela del proprio diritto e per il periodo strettamente necessario al perseguimento di questo scopo. La registrazione, pertinente e proporzionata, può essere uno strumento di prova anche decisivo. E, in linea generale, è preferibile custodire con cura le registrazioni, evitando di condividerle con terzi non coinvolti nella controversia.
I rischi dell’utilizzo illegale delle registrazioni a insaputa dei presenti
Senza una giustificazione correlata alla tutela di un diritto, la registrazione non autorizzata e clandestina può essere considerata una condotta illecita, capace di danneggiare la fiducia tra il lavoratore e azienda. Il rischio concreto è allora sfociare in un’infrazione disciplinare così grave, da portare al licenziamento in tronco.
D’altronde, la giurisprudenza (Cass. n. 16362/2018) ha espressamente ricordato che l’abuso della registrazione è considerabile un comportamento lesivo del vincolo fiduciario lavorativo. Al contempo, non vanno tralasciate le eventuali sanzioni penali, oltre che le richieste di risarcimento danni da parte dell’interlocutore, che si reputi leso dalla registrazione ottenuta a sua insaputa.
Per evitare rischi, in alcuni casi sarebbe preferibile documentare le proprie ragioni senza ricorrere a registrazioni audio, ad es. con messaggi di cellulare, e-mail o dichiarazioni di testimoni che servano a confermare la propria versione dei fatti.
Concludendo, il principio del bilanciamento tra diritto alla prova e tutela della privacy impone una rigorosa valutazione caso per caso. La Cassazione ha rimarcato che la registrazione di conversazioni non attinenti al rapporto di lavoro, o che coinvolgano soggetti terzi estranei, possono rappresentare una violazione della privacy, con conseguenze sia civili che penali.