Licenziamento per ostruzionismo, per la Cassazione è legittimo ma a queste condizioni

Con l'ordinanza n. 18296, in tema di licenziamento per ostruzionismo, la Corte pone un precedente giurisprudenziale molto utile alle aziende

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 11 Luglio 2024 15:50

Le motivazioni che spingono un’azienda o un datore di lavoro al licenziamento possono essere assai diverse tra loro. Laddove non vi siano difficoltà inerenti l’organizzazione o la produzione, che impongano una decurtazione della forza lavoro, è il comportamento del singolo dipendente a rilevare e a costituire una violazione di quel rapporto di fiducia, determinante per la prosecuzione dell’esperienza lavorativa.

Come nel caso affrontato dalla Suprema Corte e deciso con l’ordinanza n. 18296 depositata il 4 luglio, che vale la pena conoscere perché di orientamento per una pluralità di casi simili. Il lavoratore subordinato che compie gesti di ostruzionismo, non rispetta i propri obblighi contrattuali di diligenza e – conseguentemente – integra gli estremi per il recesso unilaterale.

Nella vicenda il dipendente aveva impugnato il provvedimento dei giudici di merito, finendo per giungere in Cassazione. Scopriamo insieme qual è stato l’esito del procedimento e cosa ha stabilito la Corte.

Licenziamento per ostruzionismo, il caso concreto

Come si può leggere nel testo dell’ordinanza della Cassazione, il Tribunale di Torre Annunziata con la pronuncia n. 2783/2019 aveva in primo grado:

  • accolto la domanda proposta dal lavoratore nei confronti della società che lo aveva assunto per svolgere le mansioni di autista, addetto al conferimento dei rifiuti con mezzi di grossa portata;
  • dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare, disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società al risarcimento del danno pari a dieci mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto incassata.

Ne è seguita impugnazione presso la Corte d’appello di Napoli che, con la sentenza 3739/2020, in accoglimento del reclamo ha rigettato la originaria domanda del lavoratore – ribaltando così l’esito della prima pronuncia.

Ma in concreto quali erano stati i fatti contestati? Ebbene, l’episodio riguardava il lavoratore in causa che – si legge nel testo dell’ordinanza della Cassazione – alcuni anni prima, durante l’orario di servizio aveva rifiutato di conferire ai centri di trattamento:

i rifiuti contenuti nel mezzo di grossa portata da lui condotto, adducendo ragioni contraddittorie, quali il ritardo nell’avanzamento delle operazioni di sversamento e poi ragioni di salute, ignorando altresì i ripetuti inviti del suo diretto superiore.

A seguito di questo comportamento non rispettoso delle direttive aziendali – il lavoratore era rientrato con il camion pieno di rifiuti in azienda – egli aveva esposto la datrice di lavoro a sanzioni per la violazione delle norme del Testo unico Ambientale e della normativa SISTRI (sistema informativo per la tracciabilità dei rifiuti pericolosi), oltre che ad ulteriori contestazioni del socio e committente unico dell’azienda partecipata Comune di Massalubrense.

Secondo il giudice di secondo grado l’episodio contestato risultava provato, integrando non un semplice caso di ‘pigrizia’ o scarso rendimento ma un grave e consapevole inadempimento, che rendeva irreversibile la perdita della fiducia del datore di lavoro.

Inoltre, si legge nell’ordinanza della Cassazione, la gravità del fatto era

desumibile anche dalla funzione e dalla attività svolta dal datore di lavoro.

Da sottolineare che, a avviso dei giudici del secondo grado, la condotta addebitata al lavoratore non rappresentava una mera insubordinazione – in questo caso punita dal Ccnl e dal Codice disciplinare con la sola sanzione conservativa e non con il licenziamento. Il comportamento integrava infatti un vero e proprio caso di ostruzionismo all’attività dell’azienda, tale da pregiudicare la buona organizzazione della stessa ed esporla a conseguenze sanzionatorie.

Contro tale conclusione il lavoratore aveva scelto la strada del ricorso per Cassazione.

La decisione della Suprema Corte

Con la stesura dell’ordinanza n. 18296, la Cassazione non ha accolto le richieste del dipendente licenziato. Infatti questo giudice:

  • ha rilevato in via preliminare che, in tema di licenziamento disciplinare, la nozione di insubordinazione non può essere circoscritta al semplice rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori,
  • ma può invece riguardare ogni comportamento mirato a mettere a rischio la corretta esecuzione e svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro della buona organizzazione aziendale.

In altri termini, nel concetto di insubordinazione rientrano anche gesti ed azioni che possono condurre al licenziamento disciplinare e che possono integrare un’ostruzionismo che va a diretto danno dell’azienda e delle sue attività.

In ragione di ciò, la Corte di Cassazione ha spiegato che nel caso concreto si è innanzi ad un:

grave e consapevole inadempimento dei compiti assegnati, caratterizzato da un comportamento ostruzionistico del lavoratore al momento della commissione del fatto e successivamente tentato di giustificare con problematiche di salute non idoneamente dimostrate, il tutto nell’assolvimento di funzioni particolarmente delicate per l’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro, esposta peraltro a violazioni civili ed amministrative in tema di tracciabilità e di conferimento di un ingente carico di rifiuti.

Pertanto secondo la Corte, in tali circostanze dall’insubordinazione non poteva scaturire una mera sanzione conservativa, ma anzi era giustificata la scelta del licenziamento disciplinare e per giusta causa. Per chiarire ulteriormente richiamiamo le limpide parole usate da questo giudice, il quale segnala che la condotta, articolata e complessa:

di natura commissiva ed omissiva, […]non può inquadrarsi nel mero rifiuto ad adempiere alle direttive dell’impresa ovvero in una correlata condotta finalizzata unicamente a pregiudicare il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali, bensì in un atteggiamento volutamente ostruzionistico, non ragionevole e non disponibile, potenzialmente foriero di conseguenze pregiudizievoli e pericolose per la salute pubblica: in quanto tale, costituente senza dubbio una grave negazione del vincolo fiduciario.

La Cassazione ha così confermato le conclusioni del secondo grado: il licenziamento per giusta causa, dovuto ad ostruzionismo del lavoratore, è dunque pienamente legittimo e valido.

Conclusioni

Come visto in questa vicenda, in materia di licenziamento disciplinare la nozione di insubordinazione non può essere circoscritta alla mera disobbedienza delle disposizioni del capo. Essa è più ampia, includendo ogni comportamento mirato a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro della buona organizzazione aziendale.

Si tratta cioè dell’ostruzionismo di chi, agendo o restando inerte, di fatto vìola il rapporto di fiducia con l’azienda in modo irreparabile, ostacolando il corretto svolgimento delle sue attività e potenzialmente causando un danno a quest’ultima – al pari ad es. del licenziamento per assenteismo.

Questa ordinanza rappresenta un punto fermo nel panorama giurisprudenziale in tema di recessi unilaterali, in particolare per le aziende e i datori di lavoro che ora sono pienamente consapevoli della legittimità di un licenziamento per ostruzionismo. Tuttavia sarà pur sempre necessario documentare e raccogliere elementi che dimostrino l’effettivo comportamento ostruzionistico e seguire le opportune procedure disciplinari previste dalle norme in materia.