Olio d’oliva e sostenibilità, l’Umbria laboratorio tra tradizione e innovazione

In Umbria gli olivicoltori stanno sviluppando pratiche sostenibili, nell'ottica dell'economia circolare e della valorizzazione del territorio, in sinergia con università e istituzioni

Foto di Alessandro Mariani

Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

Adagiato sulle colline che dominano la valle di Spoleto in Umbria, il Frantoio del Poggiolo è circondato da un oliveto composto da 5.500 piante secolari. A dicembre 2023 è stato premiato come miglior frantoio biologico al mondo. A certificarlo è stato il World’s Best Olive Oil, il ranking mondiale basato sulla somma dei punteggi ottenuti negli otto concorsi internazionali più importanti del settore extravergine.

Tra le colline umbre un’eccellenza biologica riconosciuta internazionalmente

“Nel 2001 abbiamo sentito l’esigenza di tutelare l’origine delle materie prime, attraverso l’analisi e i controlli di tutti i parametri della filiera produttiva: dalla selezione delle varietà di coltivazione, all’ottimizzazione dei metodi di raccolta e lavorazione, fino alla spremitura – spiega Maria Flora Monini, che gestisce insieme alla sua famiglia il frantoio. Un lavoro di selezione che facciamo con dedizione, per ottenere un prodotto di eccellenza a cui dare il nostro nome. Le varietà che abbiamo selezionato, alcune autoctone, altre importate, ci permettono di studiare con attenzione ogni fase e variabile della coltivazione, della raccolta e della lavorazione delle olive”.

Divulgare la cultura dell’olio extravergine di oliva è da sempre un obiettivo della famiglia Monini: “Durante l’anno, il frantoio apre le porte ad appassionati e gourmet, curiosi di scoprire i segreti dell’olio extravergine e le migliori tecniche di coltivazione sostenibile. La filosofia della famiglia è da sempre quella di produrre oli extravergini ineccepibili, di qualità superiore e costante nel tempo. La stessa filosofia ci ha portato a voler offrire una linea di prodotti biologici, certificati lungo tutta la filiera, dalla terra alla tavola, che sono le Monocultivar [prodotte da una sola tipologia di olive N.d.R.] 100% italiani e biologici del Poggiolo”.

Paesaggio e tradizione dell’olivicoltura in Umbria

Il frantoio si trova lungo la ‘Fascia olivata Assisi – Spoleto’, che si estende per oltre 40 chilometri lungo la base delle colline appenniniche umbre. Questo luogo, candidato a diventare patrimonio dell’umanità Unesco, è frutto di secoli di interazione tra l’uomo e la natura. La coltivazione dell’ulivo costituisce un esempio emblematico di paesaggio culturale vivente, in cui la configurazione del territorio è il risultato combinato delle forze naturali e dell’intervento umano prolungato nel corso del tempo. La mano dell’uomo è quindi intervenuta profondamente sul paesaggio, trasformando la natura per renderla il più possibile adatta alle proprie esigenze. Il territorio, però, non è stato stravolto, ma gentilmente trasformato. Una trasformazione e una coltura che possono avere un forte impatto sull’ambiente circostante.

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La ‘Fascia olivata Assisi – Spoleto’, candidata a diventare patrimonio dell’umanità Unesco

Il contributo dell’università per un’olivicoltura ecosostenibile

Primo Proietti, docente dell’Università di Perugia, studia da anni come rendere l’olivicoltura sostenibile. Il professore partecipa anche a OLIVE4CLIMATE – LIFE un progetto co-finanziato dalla Commissione Europea focalizzato sulla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso lo sviluppo di una filiera dell’olio extra vergine di oliva sostenibile. “L’impatto ambientale nell’olivicoltura è soprattutto causato dall’uso di sostanze chimiche e dal consumo di risorse non rinnovabili, cui conseguono anche emissioni di gas climalteranti, incluse quelle a monte, per la produzione di sostanze e mezzi tecnici e a valle, per il loro eventuale smaltimento. Come causa di impatto va inclusa anche l’eventuale bruciatura delle potature – chiarisce Proietti.

“L’irrigazione, sempre più diffusa negli oliveti per contrastare problemi legati alle carenze idriche e alle alte temperature, comporta un impatto ambientale significativo dovuto al consumo d’acqua e di energia necessari per il funzionamento degli impianti. Nella fertilizzazione, l’impatto ambientale è legato alla produzione, al trasporto e alla dispersione dei concimi sintetici. La difesa dell’olivo da erbe infestanti e parassiti attraverso fitofarmaci può avere un impatto elevato, specialmente con prodotti poco selettivi che minacciano organismi utili. Per quanto riguarda la potatura e la raccolta delle olive, l’impatto ambientale è principalmente legato alla meccanizzazione, con consumo di combustibili ed emissione di gas climalteranti. La pratica della bruciatura delle potature contribuisce poi all’inquinamento atmosferico e al rischio di incendi, comportando una perdita di sostanza organica preziosa”.

Strategie per un’olivicoltura sostenibile

È possibile abbattere drasticamente l’impatto ambientale in olivicoltura che, peraltro, risulta modesto rispetto a quello della maggior parte delle altre colture. Le strategie sono molteplici e applicabili alle diverse tecniche colturali, come spiega il professor Proietti: “Per ridurre l’impronta ecologica dell’irrigazione negli oliveti, si consiglia l’adozione di sistemi a microportata a goccia, che consentono un risparmio di acqua ed energia notevole. Per limitare l’impatto della fertilizzazione, si propone di ridurre l’uso di concimi chimici, ottimizzandone l’efficienza e sostituendoli con sostanze organiche. La fertirrigazione nei sistemi a microportata consente una riduzione del 25-30% delle dosi di concimi”.

Per quanto riguarda la gestione del terreno, Proietti suggerisce di limitare le lavorazioni meccaniche per ridurre i consumi di energia. “La lotta alle erbe infestanti ha visto una riduzione dell’impatto grazie a pratiche come la ‘lotta guidata’ e la ‘lotta integrata’, che si basano sul monitoraggio e sull’uso di organismi utili. L’utilizzo di sostanze che stimolano i processi naturali della pianta (i biostimolanti) può contribuire a ridurre le esigenze idriche e l’impiego di fitofarmaci. Per minimizzare l’impatto ambientale della potatura, si consiglia la trinciatura dei residui di potatura anziché la bruciatura. Questa pratica riduce l’inquinamento atmosferico e contribuiscono a un migliore equilibrio carbonio/azoto nel terreno” – spiega il professore dell’Università di Perugia.

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Raccolta delle olive in Umbria

La consapevolezza ambientale di produttori e consumatori

Gli olivicoltori hanno compreso, o stanno prendendo coscienza, che l’agricoltura non può più seguire un approccio basato sull’uso crescente di prodotti cimici. Sempre Proietti chiarisce: “Riconoscono la necessità di adottare strategie volte a ridurre l’impatto ambientale. Questa presa di coscienza è influenzata sia da una maggiore sensibilità alle questioni ambientali, sia dal cambiamento di atteggiamento di un numero sempre maggiore di consumatori nei confronti dei prodotti alimentari. Nonostante il prezzo di vendita rimanga il principale determinante nei comportamenti d’acquisto, si sta gradualmente riconoscendo l’importanza di nuovi criteri, tra cui l’impatto ambientale legato alla filiera di produzione di un prodotto specifico.

Negli ultimi decenni, si è diffusa la consapevolezza tra un ampio pubblico di cittadini che possono influenzare le pratiche produttive attraverso una ‘pressione selettiva positiva’, ovvero scegliendo prodotti con un minor impatto ambientale, seguendo una logica di consumo sostenibile conosciuta come green consumption. Pertanto, migliorare le performance aziendali in termini di sostenibilità, come l’implementazione di tecniche per ridurre l’impronta di carbonio dei propri prodotti, può comportare un vantaggio competitivo rispetto ad altri produttori”.

Rivoluzione verde: sostenibilità e innovazione nell’olivicoltura

A proposito di produttori, lo sviluppo sostenibile è diventato ormai centrale anche per loro. Non solo perché lo raccomandano le istituzioni, italiani ed europee, ma perché appunto lo richiede l’opinione pubblica. Costa d’Oro, marchio umbro che produce olio d’oliva da più di 50 anni, ha elaborato un piano di sostenibilità con il fine di contribuire a riscrivere le regole della agricoltura convenzionale, convertendola a un approccio green, con un occhio anche alla sostenibilità economica, alla resa e alla qualità del prodotto, come illustra Alessandra Filippi, Marketing and Sustainability Manager dell’azienda: “Con il piano di sostenibilità, chiamato «PLANET O-LIVE», Costa d’Oro si impegna a fare attivamente la sua parte per aumentare la produttività della filiera dell’olio da un lato e ridurne l’impatto sull’ambiente dall’altro, con una serie di azioni concrete tra cui: la diminuzione di pesticidi, l’uso più efficiente delle risorse idriche e dei fertilizzanti, la gestione del suolo mediante l’inerbimento, l’utilizzo di energie rinnovabili negli stabilimenti produttivi, gli accordi di filiera per sostenere la produzione italiana, il recupero e la piantumazione di nuovi ulivi, fino alla tracciabilità di ogni fase di produzione a garanzia della qualità verso il consumatore finale”.

Planet O-live Academy: formazione e collaborazione scientifica

Nel 2022 Costa d’Oro ha dato vita alla «PLANET O-LIVE ACADEMY», un comitato scientifico composto dal Centro di Ricerca Produzioni Vegetali della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università di Perugia. Accanto a loro, un team interno di Costa d’Oro, Confagricoltura e l’Associazione Produttori Olivicoli Umbri (Assoprol) hanno selezionato un gruppo di olivicoltori locali, guidato dal Professor Sebastiani della Sant’Anna di Pisa, che stanno lavorando per identificare e implementare pratiche sostenibili nelle aziende agricole.

L’obiettivo è includere quelle migliori nel ‘Manifesto della produzione sostenibile’, per poi distribuirlo agli olivicoltori. In parallelo, un secondo gruppo, guidato dal Professor Maurizio Servili dell’Università di Perugia, si sta concentrando sulla valorizzazione degli scarti del processo di estrazione meccanica degli oli vergini di oliva, promuovendo l’economia circolare. Inoltre, l’azienda umbra sta incentivando pratiche di sostenibilità lungo la filiera, coinvolgendo i fornitori attraverso la “Carta del fornitore di olio d’oliva”, con verifiche sul loro approccio alla sostenibilità.

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Raccolta delle olive in Umbria

La sinergia tra grande distribuzione e produttori locali, che caratterizza questo piano di sostenibilità, ha dato già i primi risultati concreti: “Gli olivicoltori della Academy hanno messo in pratica i miglioramenti concordati col Professor Sebastiani e alcuni di loro hanno già evitato di usare pesticidi non richiesti, grazie alle analisi delle foglie delle loro piante – spiega Filippi. Altri hanno avviato le pratiche per verificare come ottenere i crediti di sostenibilità e per loro abbiamo organizzato il primo webinar della Planet O-live Academy a settembre 2023, che ci ha permesso di raggiungere olivicoltori che rappresentano già circa 400.000 olivi e una superficie di circa 4.000 ettari”.

Recupero e sostenibilità sociale nell’olivicoltura umbra

Le caratteristiche ambientali del territorio umbro sono tra le più favorevoli per la produzione di olio. Il suo clima consente una maturazione lenta delle olive che abbassa il tasso di acidità e i suoi terreni collinari, particolarmente permeabili, consentono alle radici di assorbire facilmente le sostanze nutritive. Per proteggere questa tipicità l’azienda umbra ha sottoscritto un protocollo di intesa di lungo periodo con Assoprol, che oggi conta 800 olivicoltori e che da sempre promuove l’innovazione sostenibile delle prassi agronomiche preservando gli aspetti tipici dell’olivicoltura umbra.

Sostenibilità ambientale e non solo, come racconta Alessandra Filippi: “Con “Planet O-live” abbiamo rafforzato il nostro impegno per promuovere l’inclusione sociale, in particolare nel mondo olivicolo. Attraverso l’attuale collaborazione con “Le Olivastre”, associazione nata nel 2014 su iniziativa di tre donne che hanno deciso di recuperare un oliveto secolare abbandonato sulle colline del lago Trasimeno, Costa d’Oro si impegna a contrastare l’incuria, uno dei grandi problemi dell’olivicoltura italiana estremamente frammentata e spesso impervia, e a trasformare l’incolto attraverso la cultura del recupero”.