“Alle aziende serve il learning punk”: dall’IA al Metaverso, le nuove tecnologie per la formazione

Come sta cambiando il modo che abbiamo di apprendere grazie alla tecnologia? Come si stanno trasformando le aziende. Ne abbiamo parlato con Federico Fantacone, esperto di tecnologie educative e di learning innovation

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Come sta cambiando il modo che abbiamo di apprendere, e imparare, grazie alla tecnologia? Come si stanno trasformando le aziende, e come il mondo del lavoro sta rivoluzionando i suoi processi interni, quale ruolo gioco la formazione e cosa serve per innovare e rimanere al passo? Domande fondamentali, ma ancora molto lontane dall’interesse di chi fa impresa in Italia, e dai lavoratori, che lungo il proprio percorso di crescita professionale ancora troppo poco spesso si trovano di fronte a questi interrogativi.

Se n’è parlato nell’ambito dell’evento “4 Weeks 4 Inclusion” di Tim, 4 settimane di maratona, conclusasi a novembre, con oltre 300 eventi dedicati alla diversità e all’inclusione, in occasione del webinar “Apprendere in solitudine? La sfida dei learning designer”, promosso da Gruppo Pragma, società della holding Ebano S.p.A., 100% femminile, innovativa e a vocazione totalmente digitale, punto di riferimento nel settore del corporate digital learning, del coaching e del mentoring.

L’apprendimento è un processo sociale per definizione, che si sviluppa attraverso le relazioni tra individui, oggetti e ambiente, ma anche tra l’individuo e se stesso. Nell’era digitale, le connessioni sociali si amplificano, ma emergono nuove forme di solitudine. Gli operatori della formazione, i learning designer in primis, affrontano una complessa sfida. La tecnologia offre formazione personalizzata e accessibile, ma bisogna che il mondo del lavoro, le aziende, i manager, i lavoratori ne colgano la centralità.

Federico Fantacone, esperto di digital learning e learning innovation, “learning punk” e conosciuto al pubblico per il suo podcast su Spotify “Storie di apprendimento straordinario”, racconta storie di apprendimento che sono eventi, dati, fatti, pratiche, metodologie e tecnologie che riguardano i processi di apprendimento, in particolare il corporate learning, cioè la formazione aziendale.

Parla di piattaforme di apprendimento nel flusso di lavoro (learning in the workflow), di adaptive learning, di gamification, di VR (Virtual Reality) learning, di nuove figure del mondo del lavoro come il learning innovation manager, ma anche di blockchain, metaverso e “allenamento di comportamenti in scenari immersivi”.

“L’ho chiamato apprendimento straordinario perché siamo immersi in una vera e propria rivoluzione che sta arricchendo drasticamente l’esperienza di apprendimento e il modo di pensarla e di crearla” racconta a QuiFinanza. “Learning Punk perché, per rivoluzionare l’apprendimento, è necessario un atteggiamento nuovo sia dentro i provider che dentro le organizzazioni cliente, un modo di fare più spericolato, più sbilanciato, più aggressivo”.

Interpreti di questo nuovo paradigma sono proprio gli edupunk, pedagogisti nati nelle università americane, un movimento, dice, che dovrebbe allargarsi sempre di più ed entrare nelle aziende, come “corporate learning punk“.

Fantacone, gli “human trend” ci dicono due cose fondamentalmente: da un lato che siamo sempre più soli, e dall’altro che le organizzazioni, le aziende e tutte le realtà lavorative dovranno sempre più allineare i propri valori, le proprie strategie, politiche e azioni con quelli personali dei loro lavoratori e con quelli della società nel suo complesso. Che ruolo giocano le tecnologie educative, ossia le tecnologie dell’ICT applicate ai processi educativi?

Solitudine, inclusività e apprendimento sono altamente connessi, condividono due grandi dimensioni, personale e sociale: io mi sento solo quando sento che le mie istanze personali sono ignorate dal mondo esterno. Mi sento solo se sono distante dagli altri, separato dagli altri. Queste stesse due dimensioni le troviamo nell’inclusività: un oggetto, un prodotto, una persona, un’organizzazione sono inclusivi quando comprendono i miei bisogni e quando anche mi fanno stare vicino agli altri, creano dei legami, mi fanno sentire accettato. E, ancora, ritroviamo queste due dimensioni  nell’apprendimento: un apprendimento efficace è un apprendimento che soddisfa i miei bisogni e che mi consente di apprendere dagli altri, soprattutto dai pari, in modo disintermediato. Le tecnologie per l’apprendimento digitale sono indirizzate proprio a soddisfare questi bisogni, quelli dei cosiddetti modern learner.

Chi sono questi “modern learner”?

Sono tutti coloro che, indipendentemente dall’età e per effetto di una vita crescentemente digitalizzata, hanno modificato drasticamente in questi anni le proprie preferenze di apprendimento, soprattutto all’interno delle organizzazioni e delle aziende.

Cosa intende per preferenze? Come deve essere oggi l’apprendimento per funzionare, per piacere ed essere efficace?

Sono 6 le qualità che un modern learner cerca nell’apprendimento: una formazione on demand; corta a piccoli morsi; una formazione personalizzata, interattiva e ripetitiva. Attenzione che la ripetizione non è noia, ma una qualità dell’apprendimento. A me piace chiamarla l’immersività dell’allenamento: ripeto a ciclo continuo, è un continuo procedere tra ripetitività e feedback. Ed infine divertente, hard fun, che si raggiunge con la gamification. L’apprendimento con tecnologie digitali soddisfa tutti e 6 questi elementi.

E come sono queste tecnologie? Quali caratteristiche le rendono così efficaci?

Queste tecnologie sono prima di tutto adattive: le tecnologie di apprendimento cambiamo e si adattano al flusso di lavoro. Poi sono immersive, sono quelle anche di applicazione all’apprendimento delle meccaniche di gioco, cioè quelle che hanno a che fare con il gaming e la gamification, cioè quelle che hanno a che fare con il gaming e la gamification. E poi sono tutte sociali. Potremmo definirla come la settimana qualità, quella che accomuna tutte le altre e le potenzia: la dimensione sociale dell’apprendimento, quello che noi in gergo chiamiamo il social learning. Se ci pensiamo bene, infatti, una formazione on demand e una formazione micro, a piccoli morsi, è tanto più potente e veloce quanto più il gap di apprendimento è soddisfatto ricorrendo ai pari, in particolare ai Subject Matter Expert dell’azienda, opportunamente attivati. Analogamente, una formazione personalizzata non è una formazione che pretendo soddisfi i miei egoistici e diversi bisogni di apprendimento, ma una formazione che mi mette in contatto con quelli che condividono i miei stessi problemi di apprendimento. Infine, una formazione interattiva, simulativa, ripetitiva, cioè orientata all’allenamento, è tanto più efficace quanto più si fa in team anziché individualmente. Questa è proprio la logica della gamification: i giochi funzionano quanto più sono multiplayer.

In che modo Metaverso e Intelligenza artificiale incidono in questo scenario e quanto riescono, o possono, essere inclusivi?

Oggi il social learning è fortemente indirizzato dalle tecnologie immersive, dal Metaverso per esempio. Non a caso il suo fondatore, Mark Zuckerberg, lo definisce l’esperienza relazionalmente più ricca quando non sia possibile incontrarsi di persona. Idem l’Intelligenza artificiale generativa, che riporta all’interno dell’apprendimento il tema del dialogo, che è la forma più adattiva di apprendimento.

Cosa può e deve fare chi fa formazione aziendale?

Intanto adottare un atteggiamento di sperimentazione. Per riuscire a essere ben implementato, questo atteggiamento dovrebbe basarsi su un framework di riferimento, che ci ricordi tutte le opzioni metodologiche e tecnologiche che oggi il progettista di formazione ha a sua disposizione. Per esempio, esiste l’apprendimento intergenerazionale e quello intervallato, che sono altre metodologie poco utilizzate che è necessario adesso rimettere in campo. Poi bisogna ricordarsi che esistono due grandi generazioni di tecnologie per l’apprendimento digitale: una da abbandonare e l’altra da abbracciare.

Quali sono?

Quella da abbandonare è la tecnologia che creava sostanzialmente un’esperienza di apprendimento di tipo meccanico, scelta obbligata fino a una decina di anni fa: entro nel Learning Management System aziendale, accedo ad un corso o ad un percorso, lo completo, faccio un test, lo supero, fine. Qui la dimensione sociale non isolata dell’apprendimento era relegata soltanto ad una partecipazione, ad un forum di discussione, di solito deserto, o alla relazione con l’assistenza tecnica o, quando c’era, con un tutor di tipo metodologico.

E la tecnologia da preservare e potenziare invece?

Quella più recente generazione di tecnologie eterogenee per l’apprendimento, tutte accomunate dal fatto di sforzarsi per creare un’esperienza non meccanica, ma organica. Sicuramente un apprendimento che mi raggiunge dovunque io sia, adattivo, per cui l’apprendimento si modifica durante la mia esperienza di apprendimento in tempo reale. Altamente immersivo, anche se io preferisco dire iperreale, cioè più reale del reale. Grazie alla convergenza delle applicazioni, all’apprendimento della realtà virtuale, della realtà aumentata e della realtà mista, fino al Metaverso applicato all’apprendimento. E infine, l’apprendimento deve essere dialogico. Le nuove tecnologie consentono sì di avere un’esperienza digitale, ma basata sul dialogo. Mi riferisco all’Intelligenza artificiale generativa e ai chatbot for learning, che possono essere applicati attraverso ChatGPT e il più potente GPT-4 (OpenAI), le applicazioni di Meta (LLAMA) e quelle analoghe di Google (Bard), o quelle degli outsider – solo apparentemente – come gli italo-americani di Anthropic, padri di Claude.

Nelle aziende quindi, in tutte, serve la figura dell’instructional designer…

Assolutamente sì, anche se mi piace di più chiamarla smart designer. Tutte le aziende dovrebbero affidarsi a un professionista che oggi deve essere almeno 4 cose insieme: un progettista di comportamenti, cioè un behavioral designer, perché un qualsiasi contenuto didattico che non possa essere tradotto in un comportamento non può essere appreso. Non a caso prima parlavamo di allenamento. Lo smart designer poi deve essere un game designer, cioè un esperto di applicazione di meccaniche di gioco all’apprendimento. Deve essere poi anche un esperto di narrazione, di novel writing. E infine un fanatico del Metaverso e dell’Intelligenza artificiale generativa applicate all’apprendimento.