Deforestazione, gli impatti del nuovo regolamento sullo sviluppo sostenibile

Deforestazione, sostenibilità, equilibri geopolitici e sociali mondiali: ne parliamo con Benoît Jobbé-Duval, direttore generale dell'ATIBT

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Donatella Maisto

Esperta in digital trasformation e tecnologie emergenti

Dopo 20 anni nel legal e hr, si occupa di informazione, ricerca e sviluppo. Esperta in digital transformation, tecnologie emergenti e standard internazionali per la sostenibilità, segue l’Innovation Hub della Camera di Commercio italiana per la Svizzera. MIT Alumni.

Gli approfondimenti sulle tematiche riguardanti la sostenibilità da parte di QuiFinanza sono sempre più numerosi e puntuali, per l’impatto che hanno anche sulla dimensione geopolitica e sociale globale e per l’importanza che ricevono da parte delle Istituzioni europee e dalle Organizzazioni internazionali.

L’importanza del regolamento UE sulla deforestazione è stato uno degli ultimi argomenti discussi.

Le foreste sono risorse cruciali per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) relativi alla produzione e al consumo sostenibili, alla riduzione della povertà, alla sicurezza alimentare, alla conservazione della biodiversità e al cambiamento climatico. La complessità di questo argomento non può non essere approfondito se non con Benoît Jobbé-Duval, direttore generale dell’ATIBT, International Tropical Timber Technical Association.

M. Jobbé-Duval, cosa rappresentano le disposizioni del regolamento europeo sulla deforestazione per le aziende, per i prodotti, per i consumatori e per lo sviluppo sostenibile?

Questo regolamento rappresenta un ulteriore passo significativo nella lotta alla deforestazione, attraverso un’azione mirata a diverse materie prime agricole e forestali che possono causare la deforestazione nei Paesi produttori.

Il nuovo regolamento influisce, infatti, sulla disponibilità sul mercato dell’UE e sull’esportazione fuori dall’UE di alcuni beni e prodotti associati alla deforestazione e al degrado forestale.

Il regolamento mira a ridurre al minimo il contributo dell’UE alla deforestazione e al degrado forestale a livello mondiale e ad aumentare la domanda e il commercio di beni e prodotti legali e a “deforestazione zero” nell’UE. Il testo impone agli operatori dell’UE di ridurre al minimo il rischio che prodotti provenienti da catene di approvvigionamento associate alla deforestazione o al degrado forestale vengano immessi sul mercato dell’UE o esportati da esso.

Con questo testo storico, l’Unione Europea vuole ridurre il suo contributo alla deforestazione e garantire ai cittadini che i prodotti che acquistano non hanno un impatto sulle foreste del mondo, posizionandosi come leader mondiale nella lotta alla deforestazione.

Per il settore del legno, dal 2013 gli operatori che commercializzano o importano legno e prodotti da esso derivati sono tenuti a rispettare il Regolamento dell’Unione Europea sul Legname (EUTR), un testo che mira a tenere fuori dal mercato dell’UE le risorse raccolte illegalmente.

Con la proposta di un nuovo regolamento sulla deforestazione zero (EUDR) stiamo assistendo a un cambiamento di scala: dalla lotta all’illegalità all’eliminazione della deforestazione e del degrado forestale. Mentre l’EUTR riguardava solo il legno, l’EUDR copre la carne bovina, l’olio di palma, la soia, il caffè, il cacao, la gomma e il legno, oltre ad alcuni dei loro derivati.

L’UE è responsabile del 16% della deforestazione dovuta al commercio internazionale, più del doppio degli Stati Uniti (7%) e più del triplo del Giappone (5%). Il problema della deforestazione importata è al centro delle questioni politiche ed economiche globali. Perché è un problema così grande? Cosa pensa non sia stato ancora fatto a livello internazionale ed europeo e quali iniziative concrete ritiene importanti per affrontare questo flagello?

La consapevolezza dei problemi climatici e dell’importanza di mantenere la copertura forestale, in particolare nelle regioni tropicali, è in realtà piuttosto recente. Le prove dell’emergenza climatica hanno cominciato ad accumularsi all’inizio degli anni ’90 con il primo rapporto dell’IPCC, un gruppo di esperti creato nel 1988. La nozione di pozzi di carbonio in relazione al mantenimento delle foreste naturali è un concetto che ha acquisito importanza in seguito al Protocollo di Kyoto del 1997. Fino a 20-25 anni fa, gli investimenti nei Paesi tropicali, in particolare nell’agroindustria, venivano effettuati senza tener conto dei problemi di deforestazione e perdita di biodiversità, anche se alcuni avevano già lanciato l’allarme anni prima. La Francia ha avviato una riflessione sulla deforestazione importata non più di 4 o 5 anni fa e l’idea è stata ripresa a livello europeo, per arrivare al regolamento che sta prendendo forma.

Sono state adottate diverse misure internazionali per combattere la deforestazione, come gli Accordi di Parigi o l’iniziativa REDD+. Questo regolamento dell’UE è la prima iniziativa che include misure come l’eliminazione delle importazioni di prodotti legati alla deforestazione destinati ai mercati.

Tuttavia, la deforestazione è un grave problema globale che richiede sforzi concertati sia a livello internazionale che europeo e c’è ancora molto da fare, tra cui aspetti come:

  • un rafforzamento della legislazione per combattere la deforestazione, la sua applicazione e la sua effettiva attuazione nei Paesi produttori;
  • un rafforzamento della cooperazione internazionale, poiché la deforestazione è un problema globale che richiede una stretta cooperazione tra i paesi;
  • considerazione e sostegno alle iniziative locali per combattere la deforestazione, in particolare quelle guidate dalle comunità indigene e del luogo. Queste comunità svolgono spesso un ruolo cruciale nella conservazione delle foreste ed è essenziale coinvolgerle attivamente nei processi decisionali e rispettare i loro diritti fondiari;
  • mobilitazione delle risorse finanziarie: i Paesi e le organizzazioni europee dovrebbero investire maggiormente in iniziative volte a prevenire la deforestazione e a promuovere una gestione sostenibile delle foreste. È inoltre essenziale esplorare nuove fonti di finanziamento, come le partnership pubblico-privato e i meccanismi di compensazione/pagamento per i servizi ecosistemici forestali;
  • incoraggiamento a una gestione sostenibile delle foreste promuovendo certificazioni di gestione sostenibile, come gli schemi FSC e PEFC, che consentono uno sfruttamento responsabile delle risorse forestali senza distruggere gli ecosistemi;
  • definizione e garanzia della proprietà fondiaria: la deforestazione è spesso causata da attività illegali, tra cui la conversione di terreni forestali in terreni agricoli, l’estrazione mineraria o il disboscamento non sostenibile. In molti casi, ciò è dovuto alla mancanza di diritti fondiari chiari, a conflitti fondiari e a una governance debole.

Il voto del Parlamento europeo sulla deforestazione è stato “un sì alla protezione delle foreste e delle savane e ai diritti delle popolazioni indigene. È anche un sì alle richieste dei cittadini europei che non vogliono alimentare la distruzione della natura attraverso i loro consumi”, come afferma Anke Schulmeister-Oldenhove, responsabile delle politiche forestali presso l’Ufficio politiche europee del WWF. C’è qualcosa di più dietro questo voto?

Al di là della protezione delle foreste e dei diritti dei popoli indigeni, ci sono diversi elementi importanti che possono essere associati a questo voto:

  • Innanzitutto, la lotta al cambiamento climatico: le foreste svolgono un ruolo cruciale nell’assorbimento dell’anidride carbonica e nella regolazione del clima. La deforestazione contribuisce alle emissioni di gas serra e peggiora il cambiamento climatico. Il voto del Parlamento europeo può essere visto come una misura per combattere il cambiamento climatico preservando le foreste.
  • Protezione della biodiversità: le foreste ospitano un’ampia varietà di specie vegetali e animali. La deforestazione porta alla perdita di habitat e alla distruzione degli ecosistemi, con gravi conseguenze per la biodiversità. Il voto può essere interpretato come un tentativo di preservare la biodiversità proteggendo le foreste.
  • Responsabilità delle imprese: il voto può essere visto anche come un segnale alle imprese affinché adottino pratiche più sostenibili nelle loro catene di approvvigionamento. L’obiettivo è evitare l’importazione di prodotti legati alla deforestazione, come l’olio di palma, la soia, la carne bovina e incoraggiare pratiche commerciali più responsabili.

Il regolamento riconosce anche la gestione sostenibile delle foreste tropicali attraverso certificazioni come FSC e PEFC. Queste sono molto esigenti nei loro criteri che, oltre agli aspetti prettamente forestali (gestione, tracciabilità), includono il rispetto delle comunità, i diritti e la sicurezza dei lavoratori, il rispetto dell’ambiente e la protezione della biodiversità.

Per il settore delle foreste tropicali, questo regolamento è una grande opportunità per riconoscere l’impegno dei gestori forestali del Bacino del Congo e dell’Amazzonia nella lotta contro la deforestazione e per la conservazione e il ripristino delle foreste tropicali.

Sebbene il testo del regolamento preveda l’inclusione di “altri terreni boschivi” oltre alle foreste, esso non include tutti gli altri ecosistemi naturali, come le praterie, le zone umide come la Pampa o il Pantanal, che rischiano di essere distrutti dai consumi. Era opportuno includerle nel regolamento, oppure hanno caratteristiche diverse nella loro gestione, o svolgono un ruolo diverso nell’ecosistema?

A mio avviso, il testo si rivolge alle foreste soprattutto per il loro ruolo fondamentale nella fissazione della CO2 e nella lotta al cambiamento climatico. Nelle disposizioni di revisione del testo è prevista la valutazione dell’opportunità di estenderlo ad altri tipi di ecosistemi, come le aree interessate da lei citate.

Come influisce sulla sostenibilità economica e sociale il divieto di importazione nell’UE di vari prodotti che contribuiscono alla deforestazione?

Ovviamente, come è noto, questo divieto riguarda diversi settori, e in questa sede posso parlare solo del suo impatto sul settore forestale e del legno. Ho molta meno familiarità con i settori della soia, del cacao, dell’olio di palma e della carne bovina.

Per quanto riguarda il settore forestale, le conseguenze potrebbero essere le seguenti:

  • Incentivi per le aziende che esportano nell’UE a passare alla certificazione forestale e quindi ad adottare modelli commerciali più sostenibili.
  • Creazione di nuove opportunità economiche per le aziende forestali con lo sviluppo di nuovi settori economici basati su questa economia sostenibile, come il turismo, anche se quest’ultimo rimane complicato in Africa centrale.
  • Questo regolamento può contribuire alla conservazione delle foreste e spingere i governi a concentrarsi maggiormente sulla loro gestione sostenibile, dando così maggiore considerazione a questo settore forestale spesso sottovalutato.
  • Il divieto può anche incoraggiare la promozione di pratiche commerciali eque e condizioni di lavoro dignitose, ponendo l’accento su catene di approvvigionamento responsabili.
  • Il divieto può, infine, contribuire a sensibilizzare i consumatori e le aziende sui temi della deforestazione e della sostenibilità.

Cosa significa oggi rappresentare gli operatori e le industrie forestali, principalmente con sede in Africa, i fornitori di prodotti in legno tropicale e tutti gli altri operatori del settore coinvolti nella gestione responsabile delle foreste? Come si è evoluto il vostro approccio tra l’anno della creazione di ATIBT, nel 1951, e oggi?

Quando l’associazione è stata fondata, nel 1951, il suo obiettivo era quello di contribuire a una migliore comprensione dei legni tropicali e dei metodi di raccolta in un periodo in cui le foreste europee erano state devastate dalla guerra. Era importante migliorare l’approvvigionamento di legno per affrontare la sfida della ricostruzione europea.

A partire dagli anni ’90 è stata data priorità alla creazione di piani di gestione, sulla falsariga di quanto era stato fatto nelle foreste europee durante il XX secolo. Questo ha portato alla prima generazione di piani di gestione. Le prime rotazioni di 25-30 anni si concluderanno nei prossimi anni e dovremo pensare alle regole per il loro rinnovo.

A cavallo del nuovo millennio, la certificazione di gestione sostenibile ha iniziato a farsi strada e la nostra associazione la promuove da allora. Poi, intorno al 2012, sono arrivati i regolamenti europei, con il FLEGT e l’EUTR, che abbiamo contribuito a promuovere e spiegare.

Oggi direi che la priorità rimane la lotta al legno illegale, la promozione e l’incoraggiamento della certificazione, la riflessione sui piani di gestione e, naturalmente, l’accompagnamento delle nuove normative contro la deforestazione importata.

Soprattutto, vogliamo continuare a promuovere il modello di gestione sostenibile certificata, per continuare a dare valore alle foreste tropicali, a creare posti di lavoro nelle aree remote e a gestire questa risorsa rinnovabile, il legno, in modo sostenibile.

Il ruolo dei commercianti certificati come attori della conservazione e la necessità di sviluppare meccanismi di finanziamento innovativi sono due sfide importanti per lo sviluppo di fonti di finanziamento innovative e basate sul mercato per la conservazione della biodiversità. Quali sono le fonti di finanziamento innovative? Che ruolo hanno la credibilità e la trasparenza nella gestione delle foreste certificate?

Credibilità e trasparenza sono fondamentali per il futuro della certificazione. Va ricordato che la certificazione si basa su standard discussi da tutte le parti interessate, in modo aperto, e che permettono di arrivare a regole che possono evolvere regolarmente, sempre per rafforzare e dare credibilità a questo modello.

Questo modello deve affrontare molte sfide, tra cui quella del finanziamento, poiché attualmente i mercati non ricompensano sufficientemente le aziende per i loro sforzi di certificazione.

I nostri membri hanno messo in atto misure efficaci per una gestione forestale sostenibile, ambientale e sociale attraverso sistemi di certificazione riconosciuti come il PEFC (PAFC nel bacino del Congo) e l’FSC. Attraverso questo approccio, vorremmo ricordare il ruolo dei gestori forestali certificati come attori della conservazione. Questo modello è innovativo perché permette di ottenere sia redditività economica che benefici ambientali. Sono quindi le stesse aziende forestali a contribuire alla conservazione. Questo modello dovrebbe quindi essere riconosciuto come parte della soluzione, accanto alle misure di conservazione “classiche” come le aree protette e i parchi nazionali.

È, quindi, importante cercare ulteriori finanziamenti, riconoscendo i servizi ambientali e sociali forniti dalle aziende certificate.

Il finanziamento del carbonio è il meccanismo di finanziamento più noto e funzionale (con un mercato esistente). Tuttavia, è stato osservato che il settore della silvicoltura tropicale sostenibile e del legno non ha accesso al finanziamento del carbonio come concepito dai meccanismi di “certificazione volontaria del mercato del carbonio”.

Inoltre, la questione dei crediti di carbonio rientra in una logica di “compensazione” (l’acquirente utilizza i crediti per compensare le proprie emissioni). Tuttavia, ora si sta facendo strada l’idea di uscire da questa logica e di parlare, invece, di “contributo” allo sforzo globale per combattere il cambiamento climatico, che comporta non solo una riduzione globale delle emissioni, ma, anche, la protezione della biodiversità. Questa logica di contributo piuttosto che di compensazione è stata, infatti, favorita alla COP27. Si parlerebbe, quindi, di “contributo al carbonio” o di “contributo alla biodiversità”, finanziato, ad esempio, sotto forma di certificati che non danno diritto alla compensazione.

L’ATIBT crede nello sviluppo del concetto di “certificati di impatto positivo sulla biodiversità, sul clima e sulla società” ed è impegnata nell’iniziativa OBC (Organization for Biodiversity Certificate), che mira a creare uno strumento operativo per la valutazione degli impatti positivi locali sulla biodiversità o sulla capacità di carico della biodiversità, sulla base di una proposta metodologica costruita sul consenso tecnico e scientifico.

È, quindi, indispensabile attuare strategie di finanziamento e interventi di conservazione alternativi per salvaguardare gli stock di carbonio e la biodiversità in queste foreste vulnerabili.

La situazione umanitaria nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) continua a deteriorarsi, soprattutto nella parte orientale del Paese. Pochi giorni fa, l’UE ha stanziato altri 32,7 milioni di euro per sostenere la risposta umanitaria alla crisi nel Paese. Questo nuovo finanziamento si aggiunge ai 45,7 milioni di euro annunciati all’inizio dell’anno e porta il totale dei finanziamenti per la RDC a quasi 80 milioni di euro per il 2023. La Repubblica Democratica del Congo è fondamentale per uno dei critical raw material che la sua terra accoglie, il Cobalto, la cui produzione copre più del 50% di quella globale. La Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO) è sostanzialmente fallita. Cosa significa per lei lavorare in questo contesto per preservare la biodiversità in un momento di grave crisi?

Purtroppo, i nostri contatti con le autorità della Repubblica Democratica del Congo sono molto scarsi e nel Paese esistono pochissime aziende forestali legali, dove la maggior parte della produzione di legname non è regolamentata. Inoltre, le difficoltà logistiche del Paese, unite alla debolezza della governance, costituiscono una sfida importante per l’attuazione di una gestione forestale sostenibile. La nostra associazione ha contatti con centri di ricerca e un’unica azienda forestale che incontra notevoli difficoltà a sopravvivere.

Come abbiamo indicato in un recente articolo della nostra newsletter, parte della soluzione risiede nella formalizzazione delle imprese attualmente informali, principalmente artigianali. Il CIFOR cerca di aiutare gli artigiani informali a formalizzarsi, cosa non facile. Non solo le regole e la durata del processo non sono chiare, ma manca anche la fiducia nell’amministrazione. Ci sono molte preoccupazioni riguardo alle sanzioni e alle tasse esagerate che devono affrontare gli imprenditori formali. Inoltre, il sistema di sicurezza sociale non funzionante rimane un importante deterrente, non incoraggiando le aziende e i lavoratori a passare alla contrattazione formale.

I progetti del CIFOR, iniziati a Kisangani nella provincia di Tshopo, permettono di informare gli artigiani sulle procedure di formalizzazione e sulla legislazione che li riguarda. Questo permette non solo di rispettare la legislazione, ma anche di essere competenti nel rispondere alle false accuse di illegalità o di mancato pagamento delle tasse.

In breve, questo Paese rimane una grande sfida!

Benoît Jobbé-Duval
Benoît Jobbé-Duval