Wangiri, la truffa dello squillo nata in Giappone è tornata

Tornata la truffa dello squillo. Ecco come funziona e in che modo difendersi: rischiamo di perdere soldi in una manciata di secondi

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

A tutti è capitato prima o poi di rispondere a una telefonata dopo un solo squillo e ritrovare dall’altra parte il silenzio assoluto. C’è un chiaro motivo per il quale quella chiamata viene “staccata” tanto rapidamente. Non c’è alcuna necessità di ricevere una risposta. È questo il primo passo della truffa Wangiri, che periodicamente torna a tormentare e reclamare denaro.

Cos’è la truffa Wangiri

Sembra proprio tornata di moda la storica truffa dello squillo. Non è mai sparita dalla circolazione, sia chiaro, però fa sentire il proprio peso in maniera alternata rispetto ad altri tipi di truffe telefoniche.

Il sistema prevede una chiamata molto breve, tanto da non consentire la risposta alla maggior parte dei riceventi. Un tipo di truffa nata in Giappone, che mira a colpire quante più persone possibili, nella speranza di ricevere una telefonata in risposta. Ciò al fine di far scattare un addebito.

Le fasi possono essere minimo due e massimo tre. La prima è sempre la stessa, ovvero la chiamata rapida con tasto rosso premuto in pochi secondi. La seconda può essere una telefonata dal ricevente che ha per poco mancato la risposta. Si ricontatta quel numero col sospetto che possa essere un amico o un parente. In alternativa la telefonata in risposta scaturisce per mera curiosità, dopo aver individuato una chiamata persa risalente magari a ore prima. Non si percepisce alcun rischio in un controllo. Al massimo, in caso di disturbatori, basterà riattaccate. Il problema è che quel gesto ha un costo allo scatto.

Come difendersi

Uno degli aspetti più importanti di questa truffa è la curiosità insita in tutti noi. Restare col dubbio dinanzi a una chiamata persa fa scattare qualcosa nel nostro cervello. Alcune generazioni sono più desiderose di conoscenza, sotto quest’aspetto, di altre. Basti mettere a confronto Gen X e Millennial. Questi ultimi raramente proveranno a richiamare. In molti casi non rispondono neanche ai numeri non in rubrica che realmente tentano di contattarli, senza scopo di truffa (preferenza per i messaggi, considerando come possano essere anche visualizzati in anteprima, dando più tempo per riflettere).

Sarebbe dunque il caso di trattare lo smartphone come una porta su un mondo non sempre sicuro. Ciò vale per la navigazione web ma anche per le chiamate. Nel rispondere non c’è rischio, nel richiamare sì. Abbiamo dunque spiegato il perché delle telefonate senza risposta. Al di là della mancata richiamata, ci si può difendere tramite app di riconoscimento di numeri sospetti. L’ultimo consiglio passa poi da una ricerca social. Molto di questi numeri sono segnalati online. Prima di richiamare, sarebbe magari il caso di incollarli su Google e capire di chi si tratti.

Che rischi si corrono

L’unico rischio derivante dalla truffa Wangiri è la perdita di una manciata di euro dal proprio conto. La propria telefonata verso quel numero viene infatti rapidamente indirizzata verso un differente contatto. Quest’ultimo risulta a pagamento e in pochi secondi spariranno 1-2 euro.

Non una cifra clamorosa, certo, ma il gran numero di soggetti truffati garantisce introiti notevoli ai malintenzionati. Generalmente i prefissi maggiormente adoperati per queto tipo di truffe, stando alle identificazioni dell’Interpol, sono relativi a Moldavia (+373), Kosovo (+383) e Tunisia (+216).