Quanto è veramente efficace la terza dose e a cosa serve davvero

Sembrava diffusa l'idea che la terza dose di vaccino protegga poco contro la nuova variante Omicron. Ma è davvero così?

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Sembrava ormai diffusa l’idea che la terza dose di vaccino proteggesse poco contro la nuova variante Omicron, e che fosse inevitabilmente necessario quindi fare anche la quarta, non molto tempo dopo (qui i principali sintomi di Omicron). In realtà, dicono in maniera sempre più evidente gli studi, è vero che nel corso dei mesi si registra una riduzione del numero di anticorpi, ma rimane comunque una protezione che dura moltissimo, “sicuramente 9 mesi, ma probabilmente anche di più“.

A dirlo, anche alla luce del nuovo studio sulla quarta dose di vaccino che arriva da Israele, è il noto direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Giuseppe Remuzzi in una intervista a “L’aria che tira” su La7. Remuzzi è stato tra i primissimi in Italia, già a inizio pandemia, a parlare dell’assoluta necessità di curare il Covid tempestivamente, sin dai primissimi sintomi anche apparentemente banali, senza attendere l’ormai celebre “vigile attesa” prescritta fino a pochi giorni fa nelle linee guida del Ministero della Salute.

Come agisce davvero la terza dose: la spiegazione di Remuzzi

Nel nostro organismo abbiamo le cellule della memoria, i cosiddetti linfociti T, che si ricordano di aver già incontrato il virus, e quando vedono la terza dose aumentano enormemente di numero, e aumenta la loro efficacia nell’uccidere il virus, spiega Remuzzi.

“Quindi non dobbiamo interpretare la terza dose come una dose aggiuntiva (anche se per i soggetti fragili viene ufficialmente chiamata così, ndr), come se facesse qualcosa di più di quello che hanno fatto la prima e la seconda”. La terza dose fa una cosa che è qualitativamente diversa: interviene sulla risposta in un modo completamente nuovo. È per questo che nemmeno avremo bisogno di una quarta dose.

Quarta dose di vaccino sì o no?

La quarta dose sarà necessaria solo per le persone fragili e certamente per i trapiantati di organo, spiega ancora Remuzzi, che sono le persone più esposte alla malattia nonostante le 3 dosi di vaccino. Si è visto che con la quarta dose persino loro possono avere un vantaggio, “ma per loro ci vuole comunque sempre grande attenzione da parte di tutti noi”.

Anche l’EMA-Agenzia europea del farmaco, mette in guardia sui booster somministrati a intervalli molto brevi. L’Ema non ha ancora visionato i dati sulla quarta dose del vaccino anti-covid, precisa Marco Cavaleri, responsabile per i vaccini, ma “attualmente, non ci sono prove della necessità di una quarta dose nella popolazione generale”. Invece, “nelle persone con sistema immunitario gravemente indebolito e che hanno ricevuto già tre dosi, sarebbe ragionevole che le autorità sanitarie prendessero in considerazione la somministrazione di una quarta dose”.

Se facciamo troppi vaccini ravvicinati si rischia davvero che non abbiano più effetto? Il rischio sembra reale. Sottoporsi alla terza dose e poi dopo qualche settimana anche alla quarta potrebbe essere svantaggioso per il nostro sistema immunitario.

“E’ vero, soprattutto se si fa una dose troppo ravvicinata” prosegue. La terza dose, come per tutte le altre malattie che prevedono tre dosi, va fatta a una certa distanza, “perché le prime due dosi preparano il sistema immunitario, poi la terza innesca tutte le attività che sono accessorie ma importanti e che hanno bisogno di una preparazione da parte delle prime due: per questo deve passare un po’ di tempo tra le due e la terza”.

Cosa cambia per le terapie anti-Covid

Remuzzi torna anche sul punto delle cure anti-Covid, sollecitato da Myrta Merlino. Finalmente una sentenza del Tar del Lazio ha smentito di fatto la pratica della “tachipirina e vigile attesa”. Non la vieta, ma apre importantissimi interrogativi.

Il Tar, con sentenza pubblicata il 15 gennaio 2022, si è pronunciato su un ricorso promosso da alcuni medici che contestavano la validità della circolare del Ministero della Salute sulla Gestione domiciliare dei pazienti con infezione Covid, nella parte in cui, nei primi giorni della malattia, prevede la “vigilante attesa” e la somministrazione di paracetamolo (principio attivo della Tachipirina) e in particolare nella parte in cui sconsigliava ai medici di utilizzare determinati farmaci, come l’idrossiclorochina.

Sconsigliare di adottare determinate cure contrasta con il codice deontologico dei medici, dice la sentenza, che afferma invece che “l’esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull’indipendenza della professione, che costituiscono diritto inalienabile del medico” e prevede nel giuramento di Ippocrate “di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento”.

La sentenza del TAR del Lazio dice che la circolare con le linee guida del Ministro Speranza non impone solo “tachipirina e vigile attesa”, come a dire che si può fare diversamente, ma attenzione, perché comunque non ha annullato questa parte, ma solo quella in cui sconsiglia ai medici di non utilizzare determinati farmaci.

Come curare il Covid sin da primissimi sintomi, anche da vaccinati

“Fin dall’inizio, fin da febbraio/marzo 2020 – spiega Remuzzi – quello che abbiamo pensato di fare prima che ci fossero i tamponi è curare il Covid come cureremmo qualunque altra infezione delle alte vie respiratorie, quindi con antinfiammatori, per evitare l’evoluzione verso una sindrome iper infiammatoria che dipende da un eccesso di stimolazione del sistema immune”: è questa che poi porta la polmonite, non è tanto il virus che a un certo punto, dopo i primi 10 giorni, tende ad andarsene.

L’idea di Remuzzi e del suo team è sempre stata non perdere i primi 10 giorni con il paracetamolo e la vigile attesa: “I primi 10 giorni si perdevano, noi non l’abbiamo fatto”. Tuttavia, nonostante siano stati pubblicati due lavori che dimostrano un’importante riduzione della necessità di ospedalizzazione con l’uso precoce degli antinfiammatori, il gruppo di lavoro non è ancora arrivato a produrre un lavoro talmente forte e impeccabile da convincere le autorità regolatorie ad adottare questo approccio.

“Però i medici, dal momento che i nostri due studi sono pubblicati, dopo le adeguate revisioni, possono leggere la letteratura e curare i pazienti secondo queste indicazioni” dice. Va distinta infatti l’attività dei gruppi che si occupano di misure regolatorie, che si chiamano regolatorie proprio perché devono rispondere a determinate regole, con quella che è l’attività del medico, che non deve obbligatoriamente sempre seguire le linee guida del Ministero, “ma può informarsi e poi prendere la sua decisione”.

Ma come curare il Covid ai primi sintomi, quindi? Non con la tachipirina, come molti medici invece ancora fanno, bensì con gli antinfiammatori, i cosiddetti FANS, che come in una qualunque infezione delle alte vie respiratorie bloccano il virus (noi di QuiFinanza siamo stati tra i primi a parlane e a spiegarvi la cura domiciliare fornita dal prof. Remuzzi con i farmaci da assumere subito per i casi ancora iniziali e non gravi).