Perché la moda sostenibile costa di più della fast fashion?

La moda sostenibile ha un costo più elevato, ma è da considerarsi "giusto" per il rispetto dei lavoratori e dell'ambiente

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

È vero, la moda sostenibile costa più della fast fashion. È una realtà, ma si potrebbe tentare di cambiare il punto di vista per capire non tanto perché la fast fashion costi così poco (i motivi sono tanti e ormai sotto gli occhi di tutti), ma al contrario cercare di spiegare perché la moda sostenibile costa il giusto rispetto alla qualità del prodotto, al suo impatto ambientale e sulla vita delle persone che lavorano in quella determinata azienda di moda.

È innegabile quindi che la moda sostenibile costi più della fast fashion, ma è necessario dire che è la fast fashion a costare troppo poco, arrivando a toccare addirittura punti di gratuità che hanno inevitabilmente un costo nascosto. Più trasparente è invece il ciclo di produzione della moda sostenibile.

Cos’è la moda sostenibile? Un confronto con la fast fashion

La moda sostenibile indica una produzione, distribuzione, vendita e smaltimento di oggetti quali vestiti e accessori che fanno riferimento al più ampio gruppo della moda. Spesso, per moda sostenibile si tende a pensare a fibre sintetiche, riciclate e ad altri materiali ottenuti in maniera etica, quindi senza deforestazione, sfruttamento animale e umano.

Eppure il concetto di sostenibilità è ben più ampio, e la moda sostenibile si può quindi incastrare in un immaginario modello di società che è costantemente e in maniera integrata attenta all’ambiente, al benessere della persona, degli animali e delle culture locali. Un modello che può essere immaginato grazie anche a uno sviluppo tecnologico altrettanto sostenibile. Quasi un’utopia rispetto alla realtà che oggi vive non soltanto il settore moda, ma ogni aspetto della società.

Basta infatti fare un breve confronto con il modello maggioritario, ovvero quello della fast fashion, per comprendere che è un sistema destinato a collassare. Giusy Cannone, fashion tech investment expert di Fashion Technology Accelerator e Venture, ha ricordato che per produrre una T-shirt in cotone sono necessari 2.700 litri di acqua. Il problema non sarebbe neanche nell’utilizzo di una maglietta che consuma tanta acqua, quanto il fatto che la usiamo molto poco rispetto a come usavamo gli abiti in passato.

Sempre secondo le stime riportate in un recente Ted X da Cannone:

Consumiamo 26kg di capi l’anno di cui 11kg devono essere smaltiti e solo l’1% riesce a essere riconvertito in nuovi capi, il resto finisce nelle discariche.

Dopotutto, lo dice il termine stesso fast fashion, una moda rapida, tanto rapida da produrre non 2 collezioni l’anno come in passato, ma anche 50 micro-stagioni, circa una a settimana. Questo comporta un aumento di produzione, un maggior consumo di risorse e un altrettanto aumento esponenziale di invenduto che, nella maggior parte dei casi, non finisce sugli scaffali in saldo, non viene riciclato in nuovi abiti, ma viene bruciato o gettato nelle discariche.

Discarica di vestiti
Fonte: 123RF
Discarica fast fashion

Moda sostenibile: costa troppo o costa il giusto?

A guardare le conseguenze della fast fashion, il cui unico pregio è il costo irrisorio, verrebbe voglia di acquistare solo moda sostenibile o, in alternativa, acquistare abiti usati. Eppure, un abito di un marchio sostenibile ed etico può arrivare a costare da due a sei volte in più rispetto a un capo di fast fashion. L’attualità non è clemente con chi vuole acquistare non solo un abito sostenibile per motivi etici, ma anche di qualità, perché tra inflazione e stipendi che non crescono allo stesso ritmo del costo della vita, spesso si porta il consumatore a scegliere una più immediata sensazione di convenienza.

I capi di fast fashion non sono però davvero convenienti, al massimo sono economici, ma tra una qualità quasi inesistente e una scarsa durabilità, l’aspetto della convenienza pende molto più a favore della moda sostenibile.

Quando si parla di moda sostenibile, si parla di un’azienda che utilizza fibre naturali e tessuti ecologici, che ha a cuore i diritti dei lavoratori e spesso promuove un’occupazione femminile o di soggetti altrimenti emarginati dalla società, come persone con disabilità, stranieri e non per ultimi carcerati. Questo tipo di gestione, insieme a tecnologie innovative, ha un costo più alto.

Il costo della moda sostenibile è quindi dovuto a una serie di fattori:

  • materiale sostenibile
  • produzione attraverso tecnologie innovative
  • produzione contenuta
  • salario equo
  • localizzazione in paesi con norme lavorative e produttive più stringenti
  • packaging rispettoso dell’ambiente

Queste e altre voci di spesa portano il prezzo finale dei prodotti della moda sostenibile a essere più alto della fast fashion. Se cambiamo il punto di vista, non sono più costosi della fast fashion, ma sono prezzi giusti rispetto alla qualità e all’etica lavorativa. Spesso infatti tendiamo a dimenticare che è stata la fast fashion a normalizzare i prezzi bassi, troppo bassi, e il fenomeno del greenwashing a deresponsabilizzare il consumatore rispetto all’informarsi su quali sono le conseguenze di una moda che non rispetta i limiti di velocità ed eticità.

Quanto costa davvero una maglietta? I benefici a lungo termine della moda sostenibile

Entriamo allora nel dettaglio dell’esempio sopra riportato, ovvero della T-shirt la cui produzione consuma 2.700 litri d’acqua.

Il costo medio di una maglietta è di 10-15 euro. Sotto ed entro questa cifra troviamo la fast fashion e l’ultra fast fashion; sopra la cifra media troviamo una produzione locale, materiali particolari o brand di lusso.

Sulla maglia pesano quindi materiali, processi di produzione (ovvero i lavoratori, le loro condizioni lavorative e i loro stipendi), l’impatto ambientale (ovvero le tecnologie utilizzate) e la certificazione di sostenibilità e conformità agli standard locali. Questi di conseguenza, se presenti, diventano un valore aggiunto e si traducono in qualità e durabilità del prodotto, in valore etico e una maggiore consapevolezza rispetto alla sostenibilità.

Come rendere la moda sostenibile più accessibile?

L’Unione Europea si è interessata in diverse occasioni delle conseguenze della fast fashion, non soltanto producendo rapporti e studi in merito, ma anche immaginando delle possibili soluzioni. Una di queste è far ricadere sui produttori i costi di gestione dei rifiuti tessili. Solo l’Europa infatti genera ogni anno 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti del settore tessile, una media pro capite di 12kg. Far ricadere sui produttori il costo di gestione dei rifiuti potrebbe avere due conseguenze: le aziende potrebbero sostenere il costo e non aumentare il prezzo della fast fashion oppure far ricadere sul prezzo finale ai consumatori la tassa sui rifiuti.

Si cerca quindi di puntare sulla responsabilità dei produttori, ma anche dei consumatori che, di fronte a un prezzo più alto di un prodotto che resta comunque di qualità più scarsa rispetto alla moda sostenibile, si orienti verso un acquisto più consapevole.

È inevitabile però che, per rendere la moda un settore non più così incisivo in negativo su ambiente e benessere delle persone, anche i governi devono fare la loro parte. Per esempio, è necessario investire nelle innovazioni e sostenere la moda sostenibile. In Italia, un compito simile può essere assolto dal Pnrr, mentre in Europa passa attraverso l’iniziativa del Regolamento Ecodesign, che impone requisiti stringenti, introduce un passaporto digitale sulla filiera di produzione e lavorazione dei prodotti e promuove alternative sostenibili come la donazione, il riciclo e la vendita di usato.

Mercatino usato
Fonte: 123RF
Moda sostenibile e abiti usati

Come rendere la moda (tutta) davvero sostenibile

Chi vuole ridurre il proprio impatto ambientale anche attraverso l’acquisto di prodotti quali vestiti e accessori, può adottare diverse strategie. Per esempio, si può scegliere di acquistare un prodotto usato, sia sulle bancarelle di un mercato, che passeggiando in mercatini vintage o negozi di abbigliamento e accessori selezionati e persino di lusso ma di seconda mano.

Un’altra possibilità è quella di acquistare pochi prodotti ma buoni, mettendo da parte la cifra necessaria nel tempo. Questo può essere possibile per un cappotto o una scarpa. Mettendo i soldi da parte dalla fine dell’inverno precedente all’inizio di quello successivo, sarà possibile acquistare un indumento sostenibile di qualità e rispettando il proprio portafoglio.

Non meno importante è la gestione degli attuali vestiti nell’armadio. Questi possono essere lavati con prodotti adeguati che ne mantengano le caratteristiche e, anche se il materiale è scarso, può essere trattato per durare di più nel tempo. Infine si può evitare di gettare gli abiti appena non sono più performanti. Un abito rotto si può riparare o dargli una nuova vita, un abito troppo largo si può stringere, uno stretto si può allargare o modificare, donare o addirittura rivendere come usato. Iniziare ad avere un comportamento più sostenibile non è “troppo costoso”.