Che gusto ha la carne coltivata in laboratorio?

Un viaggio sensoriale nel mondo della carne coltivata in laboratorio fatto attraverso diverse esperienze di assaggio. La sfida è quella di come distinguere i sapori

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Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

Ma la carne coltivata in laboratorio che sapore ha? Difficile dirlo, soprattutto non avendola mai assaggiata. Si può tentare di capirlo riportando le esperienze di chi l’ha provata. Casey Crownhart, ad esempio, una redattrice del MIT Technology Review, l’ha assaggiata insieme alla carne convenzionale e a un burgher a base vegetale.

Esperienze di assaggio tra carne coltivata, carne bovina e hamburger vegetale

Crownhart ha fatto un aprova, assaggiando un trio di miniburger. A sinistra un hamburger a base vegetale e a destra uno classico, fatto con carne bovina. Al centro il miniburger di carne coltivata in laboratorio, che ha catturato subito l’attenzione dell’autorice. Sotto la guida attenta della fondatrice e CEO della società di carne coltivata Ohayo Valley, Jess Krieger, Casey Crownhart ha intrapreso una sorta di viaggio sensoriale. Il sapore della carne coltivata per lei era sicuramente diverso dalla carne, ma forse non in modo negativo. Per lei l’hamburger coltivato in laboratorio assomigliava molto a quello dei sostituti vegetali per la carne.

La consistenza era simile. Dal punto di vista del sapore, ha pensato che la carne coltivata in laboratorio potesse essere un po’ più vicina all’hamburger di carne bovina. L’autrice, tuttavia, si è ritrovata a interrogarsi sulla sua percezione, chiedendosi se la conoscenza del sapore delle cellule animali avesse influenzato il suo giudizio.

Un viaggio sensoriale nel mondo della carne coltivata

L’esperta di cucina israeliana Michal Ansky, è stata invitata al primo test pubblico alla cieca che metteva a confronto il pollo coltivato in laboratorio con un prodotto allevato in modo convenzionale. Circondata dalle telecamere e seduta al bancone di un ristorante insieme ad altri due giudici, un ristoratore israeliano e un giornalista gastronomico, Ansky ha ispezionato due campioni, uno con carne coltivata e uno convenzionale, etichettati rispettivamente come A e B. Un team di avvocati garantiva che la degustazione fosse effettivamente alla cieca, e persino lo chef che aveva cucinato la carne con olio di girasole, senza sale né condimenti, non sapeva quale fosse quale. Il campione A era leggermente più scuro di quello B, ma altrimenti entrambi sembravano e odoravano allo stesso modo.

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Ansky ha assaggiato il contenuto della ciotola A, poi B, e di nuovo A. Si è lamentata che entrambi risultavano insipidi, privi del grasso che dona sapore al petto di pollo. Nonostante i campioni fossero stati finemente macinati, rendendo impossibile valutare la consistenza, Ansky avrebbe scommesso sul fatto che il campione A fosse il vero pollo, poiché aveva un sapore “di pollo”. La degustazione era stata organizzata dalla start-up di tecnologia alimentare SuperMeat con sede a Tel Aviv nel suo ristorante interno, The Chicken. Dietro il bancone del ristorante, una finestra si affacciava sul laboratorio in cui i campioni di carne coltivata dell’azienda erano stati generati da cellule staminali, alimentati in grandi bioreattori di acciaio inossidabile.

La conoscenza del sapore della carne influisce sul giudizio sulla carne coltivata?

Nonostante la partecipazione fosse limitata a giornalisti e curiosi, l’evento ha segnato una svolta nel mondo della tecnologia alimentare. Dal 2013, quando è stato presentato al pubblico il primo hamburger coltivato in laboratorio al costo di 330.000 dollari, le aziende di carne alternativa si sono avvicinate sempre più a un prodotto gustoso e quasi altrettanto conveniente quanto l’originale. GOOD Meat, la divisione di carne coltivata della società di tecnologia alimentare con sede in California, Eat Just, sta già vendendo in un ristorante di Singapore pollo coltivato in laboratorio. Diverse altre aziende promettono che i loro prodotti di pesce e bistecche coltivati in laboratorio saranno presto sugli scaffali dei supermercati negli Stati Uniti. Nonostante l’interesse per questi prodotti innovativi, una domanda rimane aperta: i consumatori sarebbero in grado di distinguere la differenza, e in caso affermativo, sarebbero comunque disposti a provarli?

SuperMeat ha deciso di mettere alla prova il proprio prodotto senza panatura, senza frittura e senza salse che solitamente mascherano la mancanza di sapore o consistenza. Nessun giudice ha trovato particolarmente delizioso né uno né l’altro tipo di carne. Uno dei giudici, il ristoratore e chef israeliano Yair Yosefi, ha dichiarato che una differenza c’era, ma non era in grado di dire quale fosse il pollo convenzionale. Forse il B. Ansky non era d’accordo. Il campione B aveva meno sapore, quindi doveva essere quello coltivato in laboratorio in modo sterile. Era così convinta della sua decisione che, quando il fondatore di SuperMeat, Ido Savir, ha annunciato che in realtà era quello A ad essere coltivato, lei ha cercato di correggerlo.

Confronto tra pollo coltivato e pollo convenzionale

Savir ha risposto affermando che il campione A è stato coltivato dall’altra parte della finestra, solo qualche giorno prima. Un giorno dopo, durante un’intervista telefonica al Times, Ansky ha condiviso le sue impressioni sulla degustazione dichiarando che quella è stata una delle poche volte nella sua vita in cui è stata felice di essersi sbagliata. Ansky ama la carne e la serve quasi ogni giorno alla sua famiglia. Tuttavia, è consapevole dell’insostenibilità della produzione attuale di carne e latticini.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura, la produzione di carne e latticini contribuisce al 14,5% delle emissioni globali di gas serra. I processi industriali dell’agricoltura animale inquinano sia l’aria che le risorse idriche, emettendo metano, un potente gas serra. Un studio pubblicato su Nature Food, mostra che i Paesi ad alto reddito potrebbero ridurre le loro emissioni agricole di quasi i due terzi passando a cibi a base vegetale. Questa transizione potrebbe liberare un’area di terra più grande dell’intera Unione Europea. Restituendo questa area al suo stato naturale, si potrebbero catturare circa 100 miliardi di tonnellate metriche di carbonio, equivalenti a 14 anni di emissioni agricole globali, entro la fine del secolo. Ansky sostiene che la questione va oltre il pollo, poiché le start-up di tecnologia alimentare stanno esplorando anche uova coltivate da cellule e prodotti lattiero-caseari.

Il gusto della carne coltivata in laboratorio rimane quindi un’esperienza soggettiva, influenzata dalle aspettative e dalla conoscenza individuale del sapore della carne. Mentre alcuni esperti del settore notano somiglianze con le alternative vegetali, altri sottolineano possibili avvicinamenti alla carne convenzionale. Il dibattito sulla carne coltivata in laboratorio continuerà a crescere, e solo se il suo gusto sarà all’altezza, la sua diffusione sul mercato potrà essere una soluzione sostenibile alle sfide ambientali legate alla produzione di carne.