Case green, direttiva Ue approvata: 5 milioni di case da rifare in Italia

Due gli obiettivi più importanti da seguire per i paesi: edifici a emissioni zero entro il 2030 e stop alle caldaie a gas entro il 2040

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Pubblicato: 13 Marzo 2024 14:54

Entro il 2030, tutte le nuove costruzioni dovranno essere a emissioni zero, con requisiti di efficienza più rigorosi. I piani nazionali per la ristrutturazione degli edifici dovranno essere implementati, mentre i sussidi per le caldaie a combustibili fossili, inclusi quelli a gas, saranno interrotti. L’obiettivo è raggiungere così le emissioni zero per l’intero parco immobiliare dell’UE entro il 2050.

Sono queste le principali novità contenute nella direttiva europea Case Green (nota anche come Energy Performance of Buildings Directive, EPBD). Il voto ha visto 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astenuti.

L’accordo ha ricevuto il sostegno della maggioranza dei gruppi parlamentari europei, inclusi Popolari, Liberali, Socialisti, Verdi e Sinistra, nonché da una parte dei Non Iscritti. Ciò che colpisce è che le tre forze di maggioranza in Italia, cioè Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, si sono compattamente schierate contro.

Le novità della direttiva

La principale novità del testo riguarda le ristrutturazioni degli edifici. Ogni Stato membro sarà tenuto a elaborare un piano nazionale che preveda una riduzione graduale del consumo energetico degli edifici residenziali: l’obiettivo è una diminuzione del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Entro il 2050, tutti gli edifici residenziali dovranno avere emissioni zero. L’unico vincolo per i paesi sarà garantire che almeno il 55% della riduzione del consumo medio di energia primaria sia ottenuto attraverso la ristrutturazione degli edifici con le peggiori prestazioni, quelli più energivori.

Inoltre, gli Stati membri devono ristrutturare almeno il 16% degli edifici non residenziali con le prestazioni più scadenti entro il 2030 e il 26% entro il 2033, stabilendo requisiti minimi per le prestazioni energetiche. La nuova legislazione non si estende agli edifici agricoli e storici, e i Paesi membri hanno la facoltà di escludere anche edifici di particolare valore architettonico o storico, strutture temporanee, chiese e luoghi di culto.

La Commissione europea stima che saranno necessari 275 miliardi di euro di investimenti all’anno entro il 2030 per la trasformazione energetica del parco immobiliare, corrispondenti a un incremento di 152 miliardi di euro rispetto alle attuali risorse annuali. Non sono previsti finanziamenti specifici, ma i Paesi possono accedere ai fondi dell’UE per supportare tali interventi. In particolare, i fondi potrebbero provenire dal Fondo sociale per il clima, dal Recovery Fund e dai Fondi di sviluppo regionale.

Come cambiano i bonus casa e nuove regole per le caldaie

Oltre alle ristrutturazioni, la direttiva avrà un impatto significativo sui bonus casa. Se, infatti, molti degli sconti attualmente in vigore scadranno alla fine del 2024, già nel 2025 troveremo tracce delle prescrizioni europee nel nostro sistema. Il cambiamento più evidente sarà legato all’ecobonus e agli sconti per le caldaie, dato che a partire dal 2025 gli apparecchi alimentati esclusivamente a metano non saranno più incentivabili. Discorso diverso per le caldaie in grado di funzionare con gas verdi, come il biometano o l’idrogeno verde; in questo caso, le linee guida della Commissione potrebbero consentire loro di accedere agli incentivi. Questa prospettiva guarda al target del 2040, quando le caldaie a metano dovranno essere completamente eliminate. Tuttavia, nel testo in votazione, la scadenza del 2040 non è vista come un termine rigido, ma più come un obiettivo da perseguire, con la possibilità di ritardi.

Non vi è alcun dubbio sugli apparecchi ibridi, come quelli che combinano caldaie e pompe di calore, gestiti da un’unica centralina, che saranno fondamentali nel nuovo sistema di agevolazioni. Inoltre, l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento e l’uso delle pompe di calore saranno cruciali, come sottolineato più volte nella direttiva. Ad esempio, questa tecnologia sarà essenziale per abilitare l’impiego di energie rinnovabili nei nuovi edifici a emissioni zero.

Aumenta poi il peso delle ristrutturazioni profonde: le risorse dei paesi membri dovranno essere prioritariamente indirizzate verso interventi che garantiscano un livello minimo di risparmi energetici. Inoltre, se la direttiva ammette tra le forme di sostegno quelle che comportano una riduzione delle tasse, come le detrazioni e i crediti fiscali, già ampiamente utilizzati in Italia, la EPBD menziona anche le modalità di sostegno che si traducono in risparmi direttamente nelle bollette dei cittadini. È il caso, ad esempio, dello sconto in fattura, che è praticamente scomparso nel nostro paese.

Pannelli solari sugli edifici pubblici

La direttiva impone l’obbligo di installare pannelli solari sui nuovi edifici pubblici e non residenziali, con una progressione che va dal 2026 al 2030. I requisiti varieranno in base alle dimensioni dell’edificio. Ad esempio, per tutti i nuovi edifici pubblici e non residenziali con una superficie coperta utile superiore a 250 metri quadri, il termine ultimo è fissato al 31 dicembre 2026. L’installazione graduale dei sistemi solari dovrà essere effettuata solo se “tecnicamente ed economicamente fattibile”, come specificato nel testo.

Inoltre, dovranno essere implementate strategie, politiche e misure anche per dotare di impianti solari gli edifici residenziali. Tuttavia, saranno i singoli Stati membri a definire gli standard minimi di efficienza energetica e a determinare su quali edifici intervenire e quale livello di ristrutturazione sarà necessario.

Com’è cambiata la direttiva

A trovare la quadra per la direttiva ci è voluto un anno esatto, con diversi paesi che hanno avuto da ridire su com’era stata inizialmente pensata la direttiva. Il testo finale votato ieri infatti risulta essere molto più flessibile rispetto alla prima versione.

Se nella versione precedente si prevedeva di raggiungere la classe energetica E entro il 2030 e la classe D entro il 2033, ora, i paesi membri dovranno elaborare piani specifici per ridurre i consumi del loro patrimonio edilizio residenziale, senza scadenze così ravvicinate ma tenendo il 2050 come anno ultimo in cui si dovrebbe raggiungere un patrimonio edilizio a zero emissioni.

È cambiata anche la data entro la quale arrivare al bando completo per gli apparecchi alimentati a combustibili fossili: se il termine precedente era il 2035, ora è stata spostata in al 2040.

Lo scenario italiano: quanti sono gli edifici da sistemare

Se l’Italia vuole seguire la direttiva, ha tanto lavoro da fare: secondo l’Istat, oltre l’82% degli edifici in Italia sono adibiti a scopo residenziale, corrispondenti a 12 milioni su un totale di 14,5 milioni di edifici. La maggior parte dei residenziali è caratterizzata da un’età avanzata: secondo l’Enea, quasi il 60% ha un’età media di 59 anni, e la loro classe energetica attuale è generalmente scarsa. Infatti, quasi la metà degli edifici residenziali attualmente presenti è classificata in classe G o E, che sono le classi energetiche più basse. Secondo le prime stime, su circa 12 milioni di edifici residenziali in Italia, circa 5 milioni con le prestazioni più basse saranno prioritari per interventi di miglioramento. Nei giorni scorsi, il team di Scenari Immobiliari aveva cercato di quantificare l’impatto finanziario sulle famiglie per raggiungere gli obiettivi entro il 2033, stimandole tra i 20.000 e i 55.000 euro circa.

Il miglioramento di almeno due classi energetiche comporta interventi esterni come la coibentazione dell’edificio e la sostituzione della caldaia, con la possibilità di installare pannelli fotovoltaici. All’interno delle abitazioni, per quelle in classi energetiche inferiori, sono necessari interventi come la sostituzione di infissi e finestre e la potenziale sostituzione degli impianti a gas con soluzioni meno inquinanti. Ma presto solo queste ultime potrebbero accedere agli incentivi disponibili.