Iva non riscossa, mancano 25 miliardi di euro l’anno. Italia sopra la media Ue

In Italia l’Iva non riscossa vale circa 25 miliardi di euro l’anno. I dati Ue sul tax gap, il confronto europeo e cosa comporta per i conti pubblici italiani

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Claudio Cafarelli

Giornalista e content manager

Giornalista pubblicista laureato in economia, appassionato di SEO e ricerca di trend, content manager per agenzie italiane e straniere

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Il gettito Iva non incassato continua a rappresentare una criticità strutturale per i conti pubblici italiani, nonostante un miglioramento rispetto al periodo precedente alla pandemia. Nel 2023 il cosiddetto “Iva gap”, ovvero la differenza tra l’imposta teoricamente dovuta e quella effettivamente riscossa, si è attestato al 15%, pari a circa 25 miliardi di euro.

Il dato segna un lieve peggioramento rispetto al 14,5% del 2022, ma resta nettamente inferiore al 19,3% registrato nel 2019. Le stime preliminari per il 2024 indicano una nuova, contenuta risalita al 15,3%. I numeri emergono dal rapporto Mind the Gap, pubblicato dalla Commissione europea insieme a due documenti tecnici che offrono una mappatura dettagliata delle perdite fiscali nell’Unione. Il quadro che ne deriva mostra come il recupero registrato negli anni immediatamente successivi al Covid stia rallentando, riportando il tema dell’evasione e dell’inefficienza della riscossione al centro del dibattito economico.

Il confronto con la media europea

Nel confronto con gli altri Paesi dell’Unione, l’Italia si colloca al di sopra della media Ue, che nel 2023 presenta un’Iva mancante pari al 9,5% del gettito potenziale. Questo divario evidenzia come, pur avendo compiuto progressi significativi negli ultimi anni, il sistema italiano continui a soffrire di una perdita di gettito superiore rispetto a quella osservata in gran parte d’Europa.

A livello complessivo, il gap Iva dell’Unione è salito nel 2023 a 128 miliardi di euro, contro i circa 101 miliardi del 2022. Si tratta di un’inversione di tendenza dopo il forte recupero del biennio 2021-2022, periodo caratterizzato da una ripresa economica sostenuta e da una serie di fattori straordinari che avevano favorito una maggiore compliance fiscale.

Le cause del peggioramento nel 2023

Secondo la Commissione europea, l’aumento del gap Iva osservato nel 2023 è riconducibile a una combinazione di fattori macroeconomici e strutturali. Il rallentamento dell’economia, l’incremento dei fallimenti d’impresa e l’attenuarsi degli effetti di alcune misure emergenziali hanno contribuito a ridurre la capacità di riscossione e il rispetto degli obblighi fiscali.

Nel caso italiano, un ruolo rilevante era stato svolto tra il 2021 e il 2022 dall’estensione della fatturazione elettronica e dalla crescita dei pagamenti digitali, strumenti che hanno reso più difficile l’occultamento delle transazioni. A questi si era aggiunto l’effetto del Superbonus 110%, che aveva incentivato l’emersione di base imponibile in un settore storicamente esposto all’evasione come quello dell’edilizia.

Nel 2023, la spinta di questi fattori si è indebolita. La riduzione degli incentivi fiscali legati al Superbonus, insieme a una crescita più contenuta dei pagamenti elettronici e a un contesto economico meno favorevole, ha esercitato nuove pressioni sull’Iva mancante.

I Paesi più virtuosi e quelli più in difficoltà

Il rapporto europeo evidenzia forti differenze tra gli Stati membri. Tra i Paesi con i migliori risultati figurano Austria, con un gap dell’1%, Finlandia al 3% e Cipro al 3,3%. In questi contesti, l’efficienza dei sistemi di riscossione e l’elevata diffusione di strumenti digitali contribuiscono a mantenere molto contenuta la perdita di gettito.

All’estremo opposto si collocano Romania e Malta, che registrano rispettivamente un’Iva mancante del 30% e del 24,2%. Questi valori indicano criticità profonde nel funzionamento dei meccanismi di controllo e nella capacità di contrastare l’evasione.

L’Italia si posiziona in una fascia intermedia, ma distante dai Paesi più virtuosi. Questo collocamento riflette progressi parziali, ma anche la persistenza di fragilità strutturali che limitano l’efficacia delle politiche di contrasto.

Perché ridurre l’Iva mancante è una priorità

Per la Commissione europea, la riduzione dell’Iva non riscossa rappresenta una leva fondamentale per rafforzare le finanze pubbliche senza ricorrere a nuovi aumenti di imposte. Recuperare anche una parte del gettito perso consentirebbe di ampliare gli spazi di bilancio, sostenere gli investimenti e ridurre la pressione fiscale su contribuenti e imprese che rispettano le regole. Il tema assume inoltre una valenza strategica per il corretto funzionamento del mercato unico. In un contesto di crescente digitalizzazione e di scambio di dati fiscali tra Paesi, un livello elevato di evasione Iva può creare distorsioni competitive e penalizzare le imprese più strutturate.

I dati del rapporto Mind the Gap mostrano quindi come la sfida dell’Iva non riscossa resti aperta. Per l’Italia, il consolidamento dei risultati ottenuti negli ultimi anni passa dalla stabilizzazione degli strumenti digitali, dal rafforzamento dei controlli e da politiche in grado di favorire una compliance fiscale duratura, anche in una fase economica meno favorevole.