A partire dal 1° gennaio 2025, alle beneficiare dell’assegno di maternità spettano fino a 407,40 euro al mese per nascite, affidamenti preadottivi e adozioni senza affidamento.
Si tratta dell’assegno di maternità di base erogato dai Comuni alle madri che non hanno diritto all’indennità di maternità, come nel caso delle lavoratrici autonome o di chi non ha un’occupazione regolarmente assicurata. Infatti, per poter beneficiare dell’assegno di maternità statale, è necessario che l’ISEE sia inferiore alla soglia stabilita, che per il 2025 è di 20.382,90 euro.
Quanto spetta per la maternità
L’importo mensile dell’assegno di maternità è fissato annualmente dal Governo e rivalutato in base all’andamento dell’indice Istat dei prezzi al consumo, adeguandolo all’inflazione. Nel 2025, ad esempio, l’importo mensile dell’assegno di maternità è pari a 407,40 euro al mese, se spettante nella misura intera.
L’assegno di maternità spetta in misura piena quando la situazione economica della famiglia, verificata tramite l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), è al di sotto della soglia stabilita annualmente (20.382,90 euro nel 2025).
Se invece l’ISEE della famiglia supera la soglia stabilita, l’assegno non viene erogato in misura piena, ma ridotta. Tale riduzione dell’importo è calcolata direttamente dall’Inps utilizzando una scala di equità, un meccanismo che prevede una riduzione progressiva dell’importo all’aumentare del reddito.
Requisiti per richiedere l’assegno di maternità
L’assegno di maternità è una prestazione economica destinata a madri disoccupate, lavoratrici autonome e discontinue. Viene riconosciuto per un periodo massimo di cinque mesi e dipende dall’Isee.
I requisiti richiesti per il diritto all’Assegno di maternità di Stato sono:
- la residenza in Italia al momento della nascita del bambino o dell’ingresso in famiglia del minore adottato o in affidamento;
- la cittadinanza italiana o di uno Stato dell’Unione europea ovvero il possesso di titoli di soggiorno idonei in caso di cittadini extracomunitari.
Inoltre, alla madre è richiesto:
- se lavoratrice, un periodo di almeno 3 mesi di contribuzione tra i 18 e i 9 mesi precedenti il parto o l’effettivo ingresso del bambino in famiglia in caso di adozione nazionale, affidamento preadottivo, oppure ingresso in Italia in caso di adozione internazionale. Se durante il periodo di gravidanza ha cessato di lavorare per recesso, anche volontario, dal rapporto di lavoro, deve avere tre mesi di contribuzione nel periodo che va dai 18 ai 9 mesi antecedenti al parto;
- se disoccupata, di aver lavorato almeno tre mesi e perso il diritto a prestazioni previdenziali o assistenziali. Il tempo che intercorre tra la data della perdita del diritto alle prestazioni e la data del parto o dell’effettivo ingresso in famiglia del bambino, in caso di adozione o affidamento, non deve superare il periodo delle prestazioni godute e comunque non deve essere superiore a nove mesi.
La domanda va presentata al Comune di residenza (per questo viene chiamato anche “assegno di maternità dei Comuni”) al quale compete la verifica della sussistenza dei requisiti, entro sei mesi dalla nascita del bambino o dall’effettivo ingresso in famiglia del minore adottato o in affido preadottivo. Ad erogarlo invece è l’INPS, ma non è da confondere con l’indennità di maternità, concessa durante il periodo di congedo.
Vediamo quali sono le differenze.
Indennità di maternità
L’indennità di maternità, pari all’80% dello stipendio, spetta invece durante il periodo del congedo (ovvero l’astensione dal lavoro della lavoratrice) a:
- le lavoratrici dipendenti assicurate presso l’Inps;
- le disoccupate o sospese, secondo quanto previsto dall’articolo 24 del Testo Unico maternità/paternità (TU);
- lavoratrici agricole a tempo indeterminato o determinato che, nell’anno di inizio del congedo, siano in possesso della qualità di bracciante con iscrizione negli elenchi nominativi annuali per almeno 51 giornate di lavoro agricolo;
- le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti);
- le lavoratrici a domicilio e lavoratrici LSU o APU (attività socialmente utili o di pubblica utilità);
- lavoratrici dipendenti da amministrazioni pubbliche (incluse le lavoratrici dipendenti ex INPDAP ed ENPALS).
L’indennità è anticipata in busta paga dal datore di lavoro per le dipendenti mentre è, invece, pagata direttamente dall’Inps con bonifico postale o accredito su conto corrente bancario o postale per tutte le altre.