Il futuro di Gaza, la ricostruzione parte dall’Università Iuav di Venezia

L'Istituto di architettura di Venezia ha un piano che parte da piccole cellule di ricostruzione, per aggirare i problemi della Striscia di Gaza

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 7 Febbraio 2025 18:15

L’Università Iuav di Venezia sta collaborando con le Nazioni Unite a un piano per la ricostruzione di Gaza. L’ateneo veneto è già esperto in ricostruzioni di questo tipo, a cui ha già partecipato in Ucraina e in Libano. Propone un approccio dal basso, che coinvolga piccole imprese in progetti di medie dimensioni che abbiano un impatto immediato sulla qualità di vita delle persone che abitano i luoghi colpiti.

Gaza ha alcune peculiarità che rendono la ricostruzione molto difficile. Un approccio diverso, ha spiegato il rettore dell’Università Benno Albrecht, è fondamentale per avere successo e per porre le basi per una pace duratura.

L’Università Iuav e la ricostruzione di Gaza

Lo Iuav, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, ha già elaborato un piano strategico per iniziare a ricostruire Gaza. Lo ha fatto grazie all’iniziativa dell’Onu per la creazione di un’agenzia, la Gaza Reconstruction Agency, che si occuperà proprio di far tornare la Striscia alla normalità. L’invasione di Israele ha però comportato la distruzione del 60% degli edifici.

Per risolvere questo problema, lo Iuav si è ispirato sia alla storia che alle sue esperienze più recenti. Il modello per le tempistiche di azione è quello di Londra. Dopo la Seconda guerra mondiale, la capitale inglese, danneggiata gravemente dai bombardamenti tedeschi, aveva subito iniziato la ricostruzione. I primi cantieri avevano aperto a pace appena raggiunta, grazie al fatto che i primi progetti erano stati approvati già nel 1943.

Serve quindi velocità, ma anche attenzione. I metodi del passato, secondo quanto dichiarato dal rettore dell’ateneo Benno Albrecht a Wired, potrebbero non essere sempre efficaci. L’ordine tradizionale per la ricostruzione di strade ed edifici potrebbe richiedere troppo tempo. Di conseguenza, meglio l’approccio già sperimentato dallo Iuav in Ucraina e in Libano. Coinvolgere le piccole imprese, costruire ogni edificio e infrastruttura necessaria subito, ma partendo da piccole comunità. Cellule da 50mila abitanti che possano tornare a vivere nelle proprie terre in pochi mesi.

I problemi e le speranze della ricostruzione di Gaza

Un approccio di questo tipo potrebbe essere fondamentale in particolare per Gaza, per diverse ragioni. Per prima cosa, la Striscia di Gaza è stata rasa al suolo. Nei circa 40 chilometri di litorale sono concentrati 34 milioni di metri cubi di detriti che, per ammissione dello stesso Albrecht, potrebbero richiedere 15 anni per essere spostati e smaltiti. In queste condizioni un approccio di grandi opere che pensi prima alle infrastrutture è quasi impossibile.

La logistica di Gaza è inoltre molto complessa. Lo hanno dimostrato i tentativi di far arrivare gli aiuti umanitari alla popolazione durante la guerra. Il mare da una parte, senza un grande porto a disposizione, e i pochi varchi controllati da Israele dall’altra, rendono l’arrivo di grandi quantità di mezzi e materiali da costruzione molto complesso. Non dovrebbero mancare, invece, i finanziamenti: i ricchi Paesi arabi del Golfo Persico dovrebbero contribuire generosamente alla ricostruzione.

Gaza, infine, è complessa dal punto di vista abitativo. Pur non essendo la “zona più densamente popolata al mondo” come a volte affermato da media e politici durante l’invasione di Israele della Striscia, rimane paragonabile a una capitale europea in termini di problematiche abitative. Tutti questi ostacoli, secondo Albrecht, vanno comunque superati, perché “da una buona ricostruzione passano le possibilità di pace”, ha affermato.