L’Ucraina chiede armi e punta a un nuovo obiettivo: come cambia la guerra

Il vertice degli alleati occidentali a Ramstein rinnova il sostegno militare a Kiev. Zelensky vuole tutto e presto: carri armati, missili e il corridoio che collega il Donbass alla Crimea. Come finirà?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La cruciale riunione degli Alleati occidentali nella base militare Usa di Ramstein, in Germania, ha sancito una conferma importante: il supporto militare all’Ucraina continuerà. Volodymyr Zelensky aveva detto di aspettarsi “decisioni forti”, che sembrano arrivate in parte, e ha invocato a grandissima voce e con urgentissima necessità l’invio di tank per piegare l’esercito russo e, soprattutto, riprendersi la Crimea.

Usa, Regno Unito, Svezia e Danimarca hanno già annunciato nuove forniture di armi a Kiev. I primi, in particolare, dall’inizio della guerra hanno investito un totale di 26,7 miliardi di dollari per sostenere lo sforzo bellico ucraino (qui avevamo parlato del terribile attacco russo a Dnipro).

L’Occidente riunito in Germania

Quella di Ramstein del 20 gennaio è l’ottava riunione del “blocco occidentale”, che raccoglie circa 50 Paesi tra alleati Nato e altri partner. “È un momento decisivo per l’Ucraina e per tutto il mondo, e noi non smetteremo, non indugeremo e non esiteremo nell’aiutare Kiev”, ha detto il segretario della Difesa americano Lloyd Austin.

Nel gruppo è ovviamente compresa anche l’Italia, che per bocca del ministro Guido Crosetto ha ribadito la volontà di sostenere ancora la causa ucraina. “Nel corso della riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina ho incontrato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, con cui abbiamo discusso di strategie future e del contesto internazionale geostrategico. Ho ribadito che l’Italia, tra i protagonisti dell’Alleanza Atlantica, proseguirà nel sostegno all’Ucraina e al suo popolo. Continueremo a fare la nostra parte“.

Il vertice ha tuttavia registrato una discreta “prudenza” da parte tedesca (e polacca), che sottolinea l’assenza di decisioni definitive sull’invio di panzer Leopard alla resistenza ucraina. “Non c’è un’opinione unitaria sulla questione. La sensazione che ci sia una coalizione compatta determinata e la Germania sia un ostacolo è sbagliata”, dichiara il ministro della difesa tedesca Boris Pistorius. Poco dopo Berlino “recupera” però il polso della situazione, promettendo altri aiuti militari a Kiev in primavera pari a un miliardo di euro, per 3,3 miliardi totali da inizio guerra.

Anche l’Unione europea si è esposta sul sostegno bellico. L’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, nel corso del Consiglio Affari esteri di lunedì 23 gennaio chiederà l’ok politico da parte dei 27 Stati membri per una nuova tranche di aiuti militari da 500 milioni di euro all’Ucraina, sempre attraverso l’European Peace Facility (EPF). Il sostegno si completerà con ulteriori 45 milioni di euro per la missione di addestramento militare europea a favore delle forze armate (qui abbiamo parlato del piano di Zelensky per il 2023).

E l’Italia?

L’Italia farà la sua parte, assicura Crosetto. E vuole “passare dalle parole ai fatti nel più breve tempo possibile”. Il ministro della Difesa spiega che ogni nazione contribuirà fornendo materiale militare (batterie antimissili e mezzi terrestri) per aiutare le forze ucraine “a fronteggiare il peggioramento del conflitto che rischia di esserci nei prossimi mesi”. Verrà fornito anche materiale civile, come gruppi elettrogeni, tende e vestiario.

Lo sforzo italiano a supporto della causa di Kiev vale circa 1,5 miliardi di euro. Pare inoltre che il Governo Meloni avrebbe finalmente sciolto la riserva sull’ok finale al sesto decreto armi, che comprende una batteria Samp-T a Kiev. Si tratta del migliore scudo anti-missile per proteggere la capitale dai bombardamenti nemici.

Le armi occidentali cambieranno la guerra?

Una delle svolte più importanti di questa fase del conflitto riguarda la dichiarata caduta del “veto” statunitense sulla Crimea, che da territorio “dato ormai per russo” è tornata “riconquistabile” militarmente dall’Ucraina. Gli Stati Uniti potrebbero infatti autorizzare Kiev a utilizzare armi e mezzi blindati americani per colpire la penisola sul Mar Nero, considerata intoccabile da Mosca. Con tutti i rischi di escalation nucleare che ne conseguono.

L’amministrazione Biden sembra tuttavia voler correre il rischio di un deciso inasprimento del conflitto. A certificarlo a Ramstein è il numero uno dello Stato Maggiore dell’esercito Usa, il generale Mark Milley: “Il pacchetto militare Usa e quelli degli alleati mostrano il nostro impegno comune a dare la possibilità all’Ucraina di andare all’offensiva e liberare i territori occupati”. L’obiettivo è, in prima battuta, “intimidatorio”: l’Occidente vuole mostrare a Vladimir Putin che Kiev è in grado di attaccare la Crimea, sperando di spingere il presidente russo a “cedere” e a intavolare negoziati di pace. Per questo motivo gli Usa hanno annunciato che invieranno all’Ucraina cento veicoli corazzati da combattimento Stryker e spinge la Germania perché ceda i panzer Leopard.

La grinta e la solidarietà bellica di Milley lascia però presto il posto alla razionalità dell’uomo di guerra. Secondo il generale, nel 2023 sarà difficile che l’Ucraina possa cacciare tutte le forze russe dal suo territorio. “Non dico che sia impossibile, ma credo realisticamente che quest’anno si potrà stabilizzare il fronte, si potrà organizzare operazione tattiche per liberare la maggior parte di territorio possibile”. Intanto si sono inaspriti ogni oltre limite i combattimenti lungo tutta la linea del fronte, in particolare nella regione meridionale di Zaporizhzhia. “Una cosa mai successa prima”, afferma Vladimir Rogov, membro del Consiglio dell’amministrazione della parte della regione sotto il controllo russo.

Obiettivo Crimea

Gli Stati Uniti potrebbero insomma autorizzare l’Ucraina a utilizzare i missili a lunga gittata americani per colpire la Crimea. Secondo il New York Times, gli attacchi andrebbero lanciati dalle basi dove è attualmente stanziato l’esercito di Kiev a Kherson. Zelensky rilancia intanto l’offensiva sulla penisola contesa, già confermata in cima all’agenda del suo governo durante il collegamento video con il forum di Davos. “La Crimea è la nostra terra, il nostro territorio, il nostro mare e le nostre montagne. Dateci le vostre armi e ci riprenderemo le nostre terre“.

Lo scenario di una possibile pace che vedeva la penisola ormai una parte definitivamente sotto controllo russo sembra tramontato del tutto. Ma l’Ucraina è davvero in grado di riprendersi la Crimea? La risposta non è semplice. Al momento propende per il “no”, ma vanno comunque considerati alcuni elementi.

Innanzitutto va sottolineato che in Russia questa minaccia sembra essere presa molto sul serio: segnale che gli aiuti occidentali possono davvero spostare gli equilibri sul campo. Poi è necessario precisare che per “presa della Crimea” si intende per metonimia la riconquista del corridoio terrestre che unisce il Donbass alla Crimea: una striscia compresa fra Melitopol e Mariupol, con in palio snodi primari lungo l’autostrada M14.

In questo senso gli Stati Uniti avrebbero scarso interesse a incentivare una campagna di riconquista vera e propria della penisola, mentre considererebbe più utile scalzare i russi dall’area prendendo due piccioni con una fava. Il primo è evitare che il Mar d’Azov diventi definitivamente un lago russo, il secondo è riportare la situazione territoriale a febbraio 2022, prima dell’invasione. Tutto, o molto, si deciderà in primavera, quando le offensive da parte di entrambi gli schieramenti sprigioneranno tutta la loro forza.

La risposta della Russia

Non si è fatta attendere, come al solito, la replica della Federazione Russa. Mosca sa bene che, con un inasprimento del conflitto, cresce il rischio di un coinvolgimento diretto della Nato. E oppone la consueta “propaganda deterrente”, mettendo in guardia “i Paesi ostili” dalle conseguenze negative della decisione di fornire carri armati pesanti all’Ucraina. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, sostiene che l’Occidente si sta “illudendo” su una possibile vittoria di Kiev e si dice convinto che “i carri armati occidentali non cambieranno nulla sul campo di battaglia”.

C’è anche spazio per un “messaggio” diretto all’Italia nella comunicazione del Cremlino, che già giovedì aveva riferito di aver intercettato “missili di fabbricazione italiana” in Ucraina. “Un veicolo corazzato dell’esercito ucraino Iveco LMV 4×4 di fabbricazione italiana è stato distrutto durante l’operazione militare speciale. La sorte dei mezzi militari trasferiti al regime di Kiev è prevedibile e poco invidiabile“, riporta l’ambasciata russa a Roma.