Chi può essere chiamato alle armi in Italia e cosa può succedere

In Ucraina, il Governo ha chiamato alle armi i civili per contrastare l'invasione russa: cosa succederebbe in Italia? I civili sarebbero chiamati a combattere? Ecco gli scenari

L’Italia ripudia la guerra. Lo dice l’articolo 11 della nostra Costituzione, lo ha ricordato in un’informativa alla Camera dei deputati il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha sottolineato la condanna, “con assoluta fermezza”, all’invasione russa in Ucraina. Se i cittadini di Kiev, i civili, sono stati chiamati alle armi per difendere il Paese dall’aggressione, cosa succederebbe in caso di un’entrata in guerra dell’Italia? Chi può essere chiamato alle armi? Ecco cosa può succedere.

I casi in cui l’Italia può entrare in guerra

L’Italia ripudia la guerra, come previsto dall’articolo 11 della Costituzione, ma questo non significa che non possa prenderne parte. La nostra Carta non accetta che il conflitto possa essere “uno strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” o usato “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Qual è l’eccezione? La Costituzione accetta lo scenario della guerra quando, “in condizioni di parità con gli altri Stati”, serva a “limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Ed è sostanzialmente ciò che ha portato l’Italia a entrare nella Nato (ecco come funziona).

Ovviamente, l’Italia può essere costretta a entrare in guerra nel caso in cui venga attaccata.

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Chi sarebbe chiamato a combattere in caso di guerra in Italia

Nel caso in cui l’Italia entrasse in guerra, i civili sarebbero chiamati a combattere come chiesto in Ucraina dal presidente Zelensky? Anche in questo caso occorre leggere la Costituzione:

  • articolo 52, comma 1: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino“;
  • articolo 52, comma 2: “Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici”.

Qui entra in gioco la legge che ha riformato il servizio di leva, la numero 226/2004, che ne ha fatto decadere l’obbligo: ad oggi, infatti, entrare nelle forze armate è un atto volontario. Il periodo può andare da 1 a 4 anni, con la possibilità di diventare effettivi al termine di tale periodo.

In caso di guerra l’obbligo può essere ripristinato? La risposta è nell’articolo 1929 del codice dell’ordinamento militare, sulla “sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino”. Il secondo comma stabilisce che:

  • il Consiglio dei ministri può deliberare a favore del ripristino dell’obbligo del servizio di leva, certificato poi dal decreto del presidente della Repubblica;
  • i casi in cui è previsto tale ripristino sono: personale volontario in servizio insufficiente; impossibilità di colmare le vacanze di organico in funzione delle predisposizioni di mobilitazione”.

Chi sarebbe chiamato alle armi, allo stato attuale, in caso di guerra?

  • Esercito;
  • Marina militare;
  • Aeronautica militare;
  • Carabinieri;
  • Guardia di Finanza;
  • chi ha cessato il servizio presso uno di questi corpi da non oltre 5 anni.

Per nessun esponente di questi corpi è possibile rifiutare la chiamata alle armi, a meno di impedimenti legati alla salute.

Chi non verrebbe chiamato a combattere in caso di guerra in Italia

L’articolo 1929 del codice dell’ordinamento militare, però, esclude anche alcune categorie dalla chiamata alle armi, anche in caso di guerra:

  • polizia di Stato;
  • polizia penitenziaria;
  • polizia locale;
  • vigili del fuoco.